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Ricevo diverse richieste di commento sugli esiti delle trattative diplomatiche fra Trump e Putin. Come ho già avuto modo di scrivere in passato, quando non c’è niente da commentare io in genere non commento; e infatti qui c’è poco da commentare. Siamo di fronte ad una sorta di spettacolo teatrale in cui due attori molto in voga salgono sul palco per farsi applaudire, ma non hanno nemmeno uno straccio di sceneggiatura da seguire: sono lì solo per prendere gli applausi che ritengono di meritarsi e per ricordare al pubblico che loro sono i più grandi, perché altrimenti lo stesso pubblico potrebbe accorgersi che in realtà hanno perso da tempo il loro smalto.

 

Cominciamo da Trump: a lui della guerra in Ucraina non importa niente. È una contingenza fastidiosa, dove lui non è protagonista e che ha promesso di affrontare in maniera decisiva senza avere la più pallida idea di come farlo. Però ha una fede messianica nelle proprie capacità negoziali e nella posizione di potenza degli Stati Uniti, e quindi ritiene che il solo fatto di porsi come mediatore gli consentirà di mediare un “accordo”: un accordo qualunque. Sa che per gran parte dei suoi elettori qualsiasi accordo sarà visto come un successo esaltante che confermerà le sue doti di grande mediatore (i suoi ministri continuano a ripetere pubblicamente la loro ammirazione quasi canina per queste sue presunte doti) e che magari aiuterà anche a coprire il fatto che la politica dei dazi non stia dando esattamente i risultati promessi. I contenuti dell’accordo non sono importanti: l’importante è che l’accordo ci sia e che i media ne parlino il più diffusamente possibile. Che le basi per una tregua – e men che meno per la “Pace” – non esistano, per lui è irrilevante.

Ormai questo è evidente tanto a Zelensky che ai vari leaders europei: a vario titolo si erano tutti convinti inizialmente che Trump facesse sul serio e che avesse davvero delle buone carte in mano (per usare l’eufemismo che a lui piace tanto), ma ormai si sono resi conto che in realtà sta bluffando alla grande e purtroppo fra i leaders mondiali l’unico a credere veramente al suo bluff è proprio lui. In realtà il Presidente ha carte tali da fare male tanto all’Ucraina che alla Russia, ma non abbastanza da costringerle a fare quello che vuole. Il problema è sempre lo stesso: quello in corso in Ucraina non è il solito conflitto limitato come quelli visti negli ultimi cinquant’anni, ma è una guerra totale fra due Nazioni avanzate: a causa dei continui rilanci, ormai la posta in gioco è troppo alta per entrambi i contendenti perché questi si possano accontentare non solo di un armistizio senza vincitori né vinti, ma neppure di una “vittoria mutilata”. Questo perché entrambi ritengono che se lo facessero l’instabilità interna che ne seguirebbe – politica, economica, e soprattutto sociale – sarebbe tale da mettere a rischio le istituzioni (e nel caso di Putin il suo Regime). Siccome poi la situazione militare, al contrario di quanto appare attraverso la lente “cinematografica” dei media, è di stallo dinamico, nessuno dei contendenti ha un vero incentivo a ricercare anche solo una tregua, perché questa potrebbe avvantaggiare soprattutto l’avversario.

Il fatto che tanti nell’opinione pubblica occidentale anelino ad un accordo qualsiasi che ponga fine ai combattimenti non cambia di un millimetro la situazione, che è tale da non offrire alcuno spiraglio diplomatico: non a caso NESSUNO a parte Trump si è mai offerto quale mediatore diplomatico, benché una mediazione di successo avrebbe offerto opportunità politiche illimitate. Neppure il Papa, l’ONU, l’India o la Cina si sono mai offerti per un ruolo così prestigioso: nessuno si vuole “bruciare” per un fallimento che è ovvio a chiunque ragioni con la sua testa e non soltanto con il cuore.

Ma allora perché Trump si è esposto? Perché, come detto sopra, lui dispone di una posizione MEDIATICA tale per cui qualsiasi risultato riesca a offrire al suo pubblico verrà in ogni caso accolto come un trionfo: anche se il risultato consiste solo in uno scambio di un centinaio di prigionieri (del tipo di cui ce ne sono stati dozzine dall’inizio della guerra) e nella mera dichiarazione di principio di essere disponibili a proseguire le trattative in vista di una semplice tregua di trenta giorni limitata ai bombardamenti di centrali energetiche.

 

Ma se in sostanza è tutta “fuffa”, perché i belligeranti si sono prestati alla sceneggiata?

Come detto, Trump non ha la forza di costringere nessuno a fare quello che lui vuole, anche se magari crede di averla; però ha effettivamente la forza di far loro del male. Ora, probabilmente a Putin questo è ormai quasi indifferente visto il livello di sofferenza che ha già impunemente imposto al suo popolo; ma a Zelensky preme evitare la perdita del sostegno strategico americano (soprattutto in termini di intelligence e di munizioni). A fronte di questo, dopo una comprensibile confusione iniziale in cui credeva di avere a che fare con un normale Presidente americano, ha accolto i suggerimenti dei suoi più accorti sostenitori europei, e in particolare britannici, che gli hanno semplicemente suggerito: “tu digli di sì!”… Che è poi quello che in genere conviene dire quando si ha a che fare con uno come Trump. In fondo, dirsi disposti a una tregua che si sa essere puramente ipotetica, è ben poca cosa a fronte di mantenere la disponibilità della ricognizione satellitare americana. Quanto agli accordi economici, all’Ucraina occorrerà tutto il sostegno possibile nel dopoguerra: assicurarsi legalmente da subito quello americano è assolutamente ragionevole, le clausole economiche sono state riviste in maniera altrettanto ragionevole con la consulenza europea, e soprattutto ancora non sono state finalizzate… Gli annunci di Trump sono una cosa, la firma dei documenti esecutivi spesso è cosa diversa; come i dazi al Canada dimostrano chiaramente.

Quanto a Putin, quello che la guerra l’ha iniziata e non intende porvi fine senza aver ottenuto “tutti i risultati dichiarati all’inizio”, a lui preme una cosa sola: uscire dall’isolamento diplomatico impostogli dalle sanzioni occidentali e dall’incriminazione da parte della Corte Penale Internazionale, e tornare ad essere pubblicamente la controparte diretta del Presidente degli Stati Uniti; riassumere cioè la posizione mondiale che secondo lui gli spetta di diritto. Naturalmente anche lui preferisce che Trump non gli “faccia male” (e cioè non cominci per stizza a mandare in Ucraina tutto il materiale che volendo potrebbe mandare, e che altererebbe in maniera sostanziale l’equilibrio militare sul campo), e quindi si mostra disponibile e conciliante. Non dice “no”, si limita a dire “sì, ma…”: in fondo ha in comune con Trump l’interesse a rimanere sul palco il più a lungo possibile. Insomma: sia per Trump che per Putin, la trattativa è un fine in sé stessa, non un mezzo per addivenire a un risultato. Questo è l’unico motivo per cui la trattativa stessa non terminerà: che ci sia, conviene a tutti; che porti a qualcosa, non interessa veramente a nessuno… A nessuno che conti.

La guerra, purtroppo, continua…

 

ORIO GIORGIO STIRPE