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Il Presidente Biden ha pubblicato sul New York Times un’editoriale esplicativa della sua politica sull’Ucraina, in cui non solo si è impegnato a inviare nuovi armamenti più potenti, ma ha anche garantito come gli Stati Uniti non intendano fare pressioni sull’Ucraina affinché ceda territori alla Russia pur di arrivare a un cessate il fuoco.

 

Si tratta di un punto fondamentale, perché tanto la posizione diplomatica russa che le pressioni di osservatori e forze politiche impegnati nella ricerca di una rapida soluzione diplomatica prevedono essenzialmente proprio questo. Si tratta di una soluzione apparentemente semplice ed economica (per il resto del mondo) che sembrerebbe riportare le cose a come erano prima della guerra, con l’economia riassestata grazie alle materie prime a basso costo dalla Russia e il semplice fastidio di dover ridisegnare le cartine geografiche delle zone di confine fra Mosca e Kyiv, di cui in fondo non importa niente a nessuno.

In supporto a questa visione si sono diffuse tutta una serie di teorie generalmente provenienti da San Pietroburgo, secondo le quali quella russa in fondo sarebbe una reazione comprensibile alle “provocazioni” occidentali e ucraine, e quindi la colpa del perdurare della guerra sarebbe tutta di Zelensky che si rifiuta di accettare una soluzione tutto sommato ragionevole… E naturalmente sarebbe anche tutta di Biden che rifiutandosi di fare pressioni sull’”attore comico” prolungherebbe ad arte il conflitto per indebolire la Russia “sulla pelle degli ucraini” e facendo pagare il conto del conflitto agli europei.

La miopia infantile di questa visione – dettata fondamentalmente in chi ci crede dal desiderio appunto infantile di far cessare ad ogni costo un incubo molesto – è resa evidente dal fatto che in base ad essa sarebbero proprio gli ucraini a pagare il costo della pace: con la loro terra; centinaia di migliaia di persone dovrebbero scegliere se abbandonare le loro case o accettare di vivere in un Paese che li ha aggrediti e sotto una dittatura che agisce impunita. In compenso però noi (forse) vedremmo tornare i prezzi ai livelli di gennaio, e naturalmente non dovremmo più preoccuparci di una guerra che non ci fa dormire la notte per gli incubi da apocalisse atomica.

 

C’è un motivo se i confini politici del pianeta non sono più stati cambiati dal 1945, se non in esito ad accordi internazionali sanciti dall’ONU e con l’accordo delle popolazioni coinvolte: si tratta di una prassi consolidata, volta appunto ad evitare i conflitti fra stati-Nazione. Quegli stessi conflitti che hanno flagellato la nostra storia per millenni, alla base di quasi tutte le guerre. E’ sempre per questo che la conflittualità nell’ultimo secolo ha cambiato natura, con insurrezioni e guerriglie molto più frequenti che nel passato: si trattava appunto di “conflitti per procura”, alternativi alle guerre fra stati-Nazione. Guerre definite “a bassa intensità”.

Già: perché si tratta generalmente di conflitti con morti e distruzioni in misura molto inferiori a quelli “ad alta intensità”, con un impatto sull’economia planetaria e sulla società globale infinitamente minore rispetto al passato. I russi in Ucraina hanno perso in un mese più soldati di quanti ne hanno perduti in Afghanistan in dieci anni. Gli ucraini perdono in un giorno più soldati di quanti ne abbiamo perduti noi in dieci anni di Peacekeeping. Gli effetti della guerra in Ucraina si sentono in Africa e in America Latina, mentre quelli del conflitto palestinese si leggevano solo sui giornali.

 

Se per porre fine al conflitto in Ucraina si accettasse di concedere a Putin quei vantaggi territoriali che richiede – o anche parte di essi – tutti i dolorosi progressi nel controllo dei conflitti armati conquistati negli ultimi ottanta anni sarebbero annullati. Qualsiasi Nazione saprebbe che esiste la possibilità di vendicare un torto storico attraverso una guerra di aggressione capace di modificare un confine percepito come ingiusto da parte della popolazione. Le spese belliche aumenterebbero a dismisura tanto fra i potenziali aggressori quanto fra i potenziali aggrediti. I leader nazionalisti di tutto il mondo guadagnerebbero consensi e così il militarismo militante. Le immagini dei bambini in uniforme intenti a pulire le armi da orripilanti che sono diventerebbero la normalità… Sarebbe un mondo molto peggiore di quello che abbiamo oggi.

Le rivendicazioni territoriali sopite nel mondo sono innumerevoli. La Germania rivuole la Prussia, la Polonia reclama i suoi territori orientali, Romania e Ungheria non hanno mai digerito il loro confine, e non parliamo di Grecia e Turchia; quanti italiani non rivorrebbero l’Istria (me compreso che sono di origine istriana), e quanti austriaci non rivorrebbero il Sud Tirolo? Perfino Danimarca e Canada hanno un contenzioso territoriale… In ciascuna di queste Nazioni esistono leader politici nazionalisti e fasce di popolazione sensibili ad un messaggio sciovinista. Vogliamo davvero tornare a quei tempi?

 

E’ questo che ha a cuore Washington quando afferma di non voler fare pressioni per concessioni territoriali da parte dell’Ucraina pur di ottenere la fine del conflitto: le preoccupazioni per Taiwan sono solo la punta dell’iceberg di una minaccia di instabilità globale che distruggerebbe il sistema economico mondiale basato sul libero commercio e che favorisce le economie sviluppate piuttosto che le potenze militari.

A questa situazione si riferisce Ursula von der Leyen quando parla della necessità di una “sconfitta” russa: si tratta di impedire che una potenza militare riesca ad imporre un cambio territoriale con la forza delle armi, perché un simile evento stravolgerebbe la situazione in Europa, minando alla base i principi e i valori su cui poggia l’Unione Europea, proprio nel momento in cui la Germania decide di riarmarsi per difendersi dalla Russia (che punta missili nucleari Iskander su Berlino da Kaliningrad).

 

La trattativa deve esserci, naturalmente. Il conflitto deve essere fermato e una soluzione pacifica deve essere trovata. Ma non sulla base di un compenso territoriale a favore dell’aggressore. Si può discutere di federalismo, di diritti delle minoranze, di sostegno economico, di protezione linguistica, di acquedotti e di gasdotti, di collaborazione internazionale, di zone smilitarizzate… Una sorta di “pacchetto Alto-Adige” potrebbe rispondere alle rivendicazioni delle popolazioni di Crimea e Donbass e l’Occidente potrebbe accollarsene le spese.

Oppure si può semplicemente cominciare a parlare, anche senza una soluzione preconfezionata davanti, semplicemente perché combattere è diventato controproducente. Ed è QUESTO lo scopo dell’aiuto militare occidentale all’Ucraina: non sconfiggere la Russia ed invaderla, ma rendere impossibile all’esercito russo proseguire la sua offensiva e costringerlo a fermarsi e porsi sulla difensiva, con l’incubo di una controffensiva ucraina sempre più probabile… Così che a Putin convenga finalmente accettare di discutere SENZA il pregiudizio di una concessione territoriale.

Occorre fermezza nel trattare con un orso. Soprattutto se si chiama Vladimiro.

 

Orio Giorgio Stirpe