Ultime notizie

Default Placeholder

Putin è stato «cristallino». Lo ha detto l’Altro rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell. «Non vuole fermare la guerra perché ha obiettivi militari e finché non li raggiunge continuerà a combattere, lo ha detto a chiunque gli ha parlato», ha sottolineato a margine del G7.

Si tratta di una posizione nota fin dal 24 febbraio, anche se Mosca continua a ripetere che è Kyiv ad avere un approccio “rigido” che ostacola le trattative (e i minions del Cremlino si affrettano a fare da cassa di risonanza accusando Zelensky di impedire un accordo di pace. Certo: se la Russia insiste a pretendere concessioni territoriali da parte ucraina come condizione per trattare, è normale che il presidente ucraino si opponga a tali concessioni, soprattutto considerando che il suo esercito non data affatto perdendo.

La Russia si trova in una posizione impossibile, a cui l’ha condotta il decisionismo del suo presidente. Ha iniziato un conflitto sulla base di presupposti sbagliati dando per scontata la propria superiorità militare; ma adesso, di fronte all’impossibilità di conseguire il successo sul campo, non può permettersi di abbassare le sue pretese perché così facendo renderebbe ovvia la propria sconfitta militare. D’altra parte non è neppure ragionevole aspettarsi che l’Ucraina accetti una menomazione territoriale nel momento in cui si sta difendendo con successo: come giustamente ha osservato Zelensky, non è compito suo salvare la faccia a Putin. Il suo compito è difendere l’Ucraina.

Spetterebbe semmai all’Occidente il compito di salvare la faccia a Putin, ma occorrerebbe per questo quantomeno la sua collaborazione. Il problema è che Putin non sembra affatto disposto a collaborare. Per questa ragione gli americani, i britannici e il governo ucraino avvertono che la guerra potrebbe essere ancora lunga.

Washington parla di almeno un anno; Kyiv è più ottimista, e fa riferimento alla fine dell’estate. Entrambi fanno i propri calcoli basandosi sullo stesso concetto, da noi già espresso nei giorni passati: una volta esaurito il potenziale offensivo convenzionale del suo esercito, la Russia dovrà inevitabilmente fermarsi e la guerra diventerà di posizione, con le due parti immobilizzate sul terreno ed intente ad imporsi un lento attrito reciproco con l’artiglieria. Durante questa fase probabilmente prolungata, entrambe le parti cercheranno di recuperare un nuovo potenziale offensivo per riprendere l’iniziativa.

Data la situazione di stallo della propria industria bellica e la mancanza di alleati significativi disposti ad aiutarla, la Russia si troverà in svantaggio di fronte ad un’Ucraina con il morale altissimo e con l’Occidente intero alle spalle intento a riarmarla. Succederà così probabilmente che sarà l’Ucraina alla fine a riprendere l’offensiva, spingendo lentamente i russi fuori dai suoi territori. Sulla tempistica di questo processo gli ucraini sono chiaramente più ottimisti degli americani, che del resto all’inizio della guerra davano Kyiv per spacciata nel giro di tre giorni.

Ricevo molti commenti da parte di gente anche assolutamente non “tifosa” di Putin, che tendono a criticare la mia visione in quanto sarei troppo drastico nel dare la Russia per militarmente finita. Lo capisco: sono ottanta anni che viviamo con l’immagine in testa di un esercito russo sterminato nei numeri e implacabile nella determinazione dei suoi soldati; solo che oggi non è più così, e non lo è ormai da tempo. In un articolo di Jacopo Iacoboni sulla Stampa di oggi, si parla di “Generali impreparati e male informati”, e di un “Putin ormai è chiuso nel suo mondo”. Non è certo una citazione presa dai miei post, ma dell’intervista a Marat Gabidullin, l’ex comandante del Wagner Group, l’agenzia di mercenari provenienti dall’esercito russo adoperata come punta di lancia in tutti gli interventi all’estero. In un estratto, Gabidullin afferma: «La Russia non aveva le informazioni e l’intelligence giuste sull’Ucraina. Non ha un Comando centrale unificato sul campo. Ha un miscuglio di gruppi che non si coordinano tra loro, l’esercito, la Rosgvardia, i kadyroviti, e i generali del Cremlino si fanno belli con le morti di chi si sacrifica sul campo. Alla fine la guerra la Russia la perderà, ma le vittime civili saranno ancora tante, le vittime militari saranno ancora tante, la guerra non sarà breve».

Non solo Putin, ma anche la grande maggioranza degli analisti occidentali sono stati colti di sorpresa dalla sostanziale insipienza della performance militare russa. Questa realtà però appariva abbastanza evidente già dopo i primi cinque giorni di combattimenti, quando era evidente che i paracadutisti e le Forze Speciali venivano lanciati troppo in avanti a farsi ammazzare su obiettivi che non potevano essere raggiunti per tempo dalle forze di terra: sprecare così le unità di élite in un’evidente sopravvalutazione delle capacità proprie e sottovalutazione di quelle avversarie è un segnale assolutamente evidente di fallimento imminente. Quindi la conclusione di Gabidullin è netta: «Putin sta mandando a morire i nostri uomini. Invadere l’Ucraina è stato un grave errore, se non viene fermato può andare avanti all’infinito».

Cosa potrebbe fare l’Europa per accelerare un risultato accettabile? Sono un soldato e non un diplomatico, quindi mi addentro in un campo non mio. Di sicuro cercare di convincere Zelensky a fare concessioni non servirà: a differenza di Putin lui non è un autocrate e risponde ad un Parlamento. Data la situazione e l’attitudine della popolazione ucraina dopo l’aggressione, i massacri e le vittorie sul campo, una politica di concessioni verrebbe rigettata dalla popolazione e l’Ucraina rischierebbe di implodere. L’opinione pubblica occidentale a questo non pensa, ma a Zelensky è sicuramente molto chiaro.

Quel che si può fare è continuare a sostenere l’Ucraina in modo “condizionato”, cioè prevenendo qualsiasi escalation da parte di Kyiv, quale ad esempio un’invasione del territorio russo internazionalmente riconosciuto, continuando a fare pressioni sulla Russia (l’aggressore) più che sull’Ucraina (l’aggredito), spiegando nel contempo al pubblico occidentale come stanno realmente le cose. Quello che trovo manchi clamorosamente nel nostro Paese, è infatti un chiaro messaggio da parte delle Autorità, con briefing quotidiani o perlomeno settimanali da parte del Governo per offrire un punto di vista ufficiale e chiaro che possa rappresentare un punto di riferimento nel dibattito pubblico.

Dobbiamo quindi rassegnarci ad un conflitto più o meno bloccato e prolungato nel tempo, con Putin disperatamente aggrappato al potere e deciso a negare fino all’ultimo l’evidenza della sconfitta, con tutti gli ulteriori lutti che questo comporta?

Non necessariamente.

Gran parte degli errori russi dipendono dalla visione distorta di Putin, influenzata dal suo isolamento, dalla sua stessa propaganda, dalla sua età ormai avanzata, e probabilmente anche dalla sua salute. Per i minions dello Zar in Occidente parlare male di Putin è come bruciare il Corano per gli islamisti: un’offesa intollerabile. Ma Putin, che pure è una persona intelligente, preparata e capace, ha passato i 70 anni; per trenta è stato al potere con un notevole successo, e il successo alimenta la sicurezza di sé, spesso oltre misura. Se poi fossero vere le indiscrezioni sulla sua salute, potrebbe essere influenzato nelle sue decisioni dalla necessità di completare il suo successo prima di soccombere alla natura.

Questo aspetto, naturalmente, deve essere chiaro anche a chi gli è vicino: quelle stesse persone che – per puro istinto di sopravvivenza – gli impedirebbero un’irrazionale escalation nucleare. I Servizi Segreti ucraini parlano di tumore irreversibile, e anche di un colpo di stato imminente. Potrebbe essere solo propaganda, ma potrebbe essere vero.

L’uscita di scena dell’orso Vladimiro potrebbe rappresentare la conclusione più indolore per l’Ucraina, per il mondo, e soprattutto per la Russia stessa.