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Quando durante un conflitto si viene a creare una situazione di stallo militare, con l’aggressore che non riesce a progredire e il difensore che non può respingerlo, l’attaccante ha bisogno di creare confusione per distrarre l’opinione pubblica altrui e soprattutto propria dalla situazione bellica effettiva dove i successi promessi tardano ad arrivare, e se possibile pure per cercare di disperdere le energie degli avversari.

In questi giorni infatti assistiamo ad una ridda di eventi – alcuni reali, altri ancora da dimostrare e molti del tutto artificiali o inventati – tesi a distrarre l’attenzione dal fatto che l’invasione è bloccata e i militari russi non sanno più come cercare di risolvere la situazione in cui il loro leader politico li ha messi.
Alcuni eventi possono perfino essere sfuggiti di mano, come il caso delle torture con castrazione e omicidio diffuse online dagli stessi social russi e da essi commentati con favore, o le dichiarazioni dei diplomatici russi a Londra secondo cui i prigionieri di guerra dell’Azovstal, arresisi attraverso la mediazione della Croce Rossa Internazionale, non andrebbero fucilati ma piuttosto impiccati con disonore. Dubito che tali comportamenti abbiano l’avvallo dell’autocrate massimo – che stupido non è – ma evidentemente suscitano l’approvazione di un’ampia fascia di pubblico russo e/o russofilo che secondo il monitoraggio indipendente dei social internazionali manifesta perfino un certo entusiasmo.

Altri eventi sono invece chiaramente studiati e messi in atto secondo una pianificazione deliberata, come il bombardamento della prigione, quello di Mykolaiv o l’ennesimo annuncio dei missili Zyrcon per la marina russa.
Attribuire l’attacco al carcere di Olenivka agli ucraini è chiaramente pretestuoso: a parte che solo i complottisti possono trovare un motivo per farlo, non si capisce come sia possibile che nessuna guardia russa o filo-russa sia stata ferita e solo i prigionieri (o meglio una parte di essi) siano stati colpiti, neanche che gli ucraini volessero evitare di fare del male ai loro nemici… Per non parlare delle anomalie sui pezzi intatti di HIMARS sul sito e degli effetti termici visibili sui filmati russi. Di contro, i russi hanno il problema di cosa fare con dei prigionieri protetti dalla Convenzione di Ginevra e dalla Croce Rossa, ma che secondo loro sono “nazisti” da impiccare… E – forse – ci sono anche delle torture da nascondere per sempre.
I bombardamenti sono da sempre il modo più semplice per i russi di nascondere le pause nella guerra di movimento: un’esibizione di forza clamorosa e inutile, tesa più a riempire le pagine dei giornali che a risolvere la guerra, e ancora più utili se vanno a colpire personalità note.
L’esibizione di forza muscolare della marina – abbastanza ironica dopo le figuracce rimediate nel Mar Nero dalla flotta russa – rientra anche nel novero delle procedure normali della propaganda russa, sempre intenta ad assegnare alle proprie forze armate nuove armi futuristiche e a ribadire la superiorità tecnologica del proprio Paese rispetto ai suoi rivali. Poco importa che il mondo sappia benissimo che la Russia è drammaticamente a corto di missili moderni, che sta impiegando armi obsolete radiate da anni e che non sembra più in grado di condurre un Targeting decente degli obiettivi sensibili avversari: la popolazione (e i minions in Occidente) deve essere confortata nella sua illusione di forza e di invincibilità.

Anche da parte ucraina si ricorre ad azioni spettacolari per contrastare la propaganda nemica e per rinsaldare il morale del fronte interno: in quest’ottica occorre vedere l’ormai famosissimo servizio fotografico di “Vogue” sulla coppia presidenziale, ed anche l’attacco con i droni a Sebastopoli, che sicuramente risulta spettacolare come il volo su Vienna di D’Annunzio, ma che ha ben poco valore in termini militari.

Molto più vicino a noi però – non solo geograficamente – si colloca un’altra azione diversiva russa che in effetti la NATO si aspettava da un po’; parlo della recrudescenza di violenza nel Kosovo.
Non starò qui a rivangare la storia della crisi e poi della guerra in Kosovo nel 1998-99 e gli strascichi dei successivi vent’anni: io in Kosovo ci sono stato, e non da semplice osservatore o combattente, ma in un ruolo tale da avere la massima visibilità sulla situazione e ho le idee piuttosto chiare sui pochi pregi e sui molti difetti di tutti i protagonisti della scena locale.
Quello però che è ovvio è che l’unica parte ad avere interesse in un precipitare improvviso della crisi in quel teatro è la Russia: non conviene né alla Serbia né ad albanesi e kosovari, e ancor meno alla NATO e alla EU che hanno abbastanza problemi per inventarsene di nuovi. Le attività clandestine degli estremisti serbi, controllati solo fino ad un certo punto dalla dirigenza politica di Belgrado che rimane coerentemente filo-russa fin dai tempi di Milosevich, sono monitorate costantemente tanto dagli assetti NATO in loco che dai Servizi delle Nazioni più direttamente interessate, a partire dai nostri.
Il paradigma propagandistico rimane lo stesso degli anni ’90: i serbi sono come i russi, gli albanesi sono dei barbari musulmani (?) sostenuti dall’Occidente e intenti a sradicare il Cristianesimo dalla Terra dei Monasteri, e la Russia è l’ultimo baluardo della cristianità.

Tranquilli: non ci sarà nessuna guerra in Kosovo. Quella c’è già stata 23 anni fa ed è finita da un pezzo: i serbi non hanno nemmeno gli occhi per piangere e non sono in grado di montare un attacco contro la KFOR della NATO che difende tuttora la regione, anche se ormai si tratta di una forza piuttosto ridotta. Parliamo in tutto di poco più di 3500 uomini, che però sono più che sufficienti a proteggere la regione dall’esercito serbo, che può schierare se mobilitato tre Brigate contro il Kosovo.
La minaccia militare quindi semplicemente non esiste, anche considerata l’assoluta supremazia aerea della NATO. Esiste però naturalmente un notevole potenziale per creare instabilità e inscenare incidenti anche sanguinosi, e tanto può bastare per rivitalizzare la propaganda nazionalista nell’area.
La cosa però è di particolare interesse per noi italiani in quanto il contingente nazionale più vasto in Kosovo è il nostro; nostro è uno dei due Comandi Regionali (l’altro è americano), e soprattutto nostro è il battaglione che costituisce la “Riserva Strategica” basata in Italia, finora mai attivata, destinata ad intervenire in caso di guai seri.

Il momento è chiaramente scelto bene: come al solito i russi sanno crearsi le condizioni giuste per le loro operazioni ibride. Il contingente della NATO, sotto comando italiano ininterrotto dal 2014 al 2021, è in questo momento sotto comando ungherese, e sappiamo come gli ungheresi siano fra i membri della NATO i meno disposti al confronto contro i russi; inoltre il Governo italiano è in crisi, e questo potrebbe (?) ritardare l’eventuale attivazione della Riserva Strategica.
Insomma: KFOR mantiene la sua posizione di dominio strategico della regione, ma di tutti i momenti possibili, questo è forse quello in cui la sua forza è minore; interessante vedere la scelta dei tempi per l’avvio dei disordini.
Non ci sarà nessuna escalation del conflitto ucraino, e nemmeno un suo allargamento al Kosovo; però l’orso Vladimiro continua a cercare di destabilizzare l’Europa al meglio delle sue capacità.

Orio Giorgio Stirpe