Ieri ho detto la mia sulla valenza militare degli ultimi “avvenimenti” riportati dai media come di portata epocale (cattura dell’Isola dei Serpenti e di Lyshyansk), cercando di ricondurli alla loro vera natura episodica.
Oggi cercherò di spiegare il mio punto di vista sul perché le cose appaiano diverse a chi deve affidarsi ai media (mainstream o social) per cercare di seguire la situazione.
Uno dei miei numerosi oppositori sulla bacheca FB ha usato un’espressione particolarmente efficace per descrivere le sue perplessità sulla mia esposizione della situazione: dice che “alla casalinga di Voghera appare ovvio che i russi continuano ad avanzare e quindi stanno vincendo, e che l’Ucraina sta crollando poco a poco”…
Vero: con tutto il rispetto per le casalinghe di Voghera che non hanno fatto studi militari, ritengo sia corretto aspettarsi che tale sia la loro lettura della situazione. L’errore non è delle “casalinghe”, ma di chi fornisce loro l’informazione. E da qui parte la mia critica.
Ricordate i briefing di Norman Schwarzkopf durante “Desert Storm”? Sono passati 30 anni, e a me sembra ancora ieri… Fu l’unico Comandante Operativo occidentale che riuscì ad imporsi al suo stesso Governo sulla gestione mediatica del conflitto, che seguì in prima persona. Ingabbiò completamente i media interdendo loro l’accesso al fronte, fornì le informazioni dimostrandole con dati visivi, rispose alle domande che voleva, e nel giro di pochi giorni tutto si concluse esattamente come aveva detto lui.
Oggi al suo posto abbiamo il briefing quotidiano del Ministero della Difesa russo, che cerca di fare altrettanto; solo che i suoi briefing ormai durano da 133 giorni. Naturalmente c’è anche il dettaglio che la Russia non è una democrazia, e l’informazione è apertamente manipolata dal Governo che infatti continua a presentare la guerra come un’”operazione speciale” contro il “nazismo”.
Certamente anche Schwarzkopf presentava le cose nel modo più idoneo a supportare le sue operazioni, ma lo fece per pochi giorni e soprattutto le sue operazioni andarono esattamente secondo i piani; quindi, ebbe ad “aggiustare” la realtà molto poco: ricordiamoci che durante quella guerra gli americani non persero neppure un carro armato.
Intendiamoci: il Ministero della Difesa russo fa il suo lavoro. Il problema è che non esiste una sua controparte valida con cui confrontare analiticamente la sua versione per trarne un’immagine della situazione almeno parzialmente obiettiva: ne esistono dozzine, scoordinate e con una credibilità variabile da zero a cento che il lettore medio non può valutare in alcun modo.
Se dalla parte russa abbiamo una versione unica e chiara, da quella occidentale abbiamo una cacofonia di opinioni contrastanti che vanno dai proclami del Governo britannico, che sarebbero militarmente corretti se non si chiudessero sempre con previsioni propagandistiche che fanno il gioco di Boris Johnson, passando per i discorsi quotidiani di Zelensky che ovviamente è parte in causa e deve sostenere il morale del suo popolo, fino all’infinita galassia di commentatori da tastiera come il sottoscritto, di cui un numero imprecisabile è riconducibile direttamente alla propaganda russa.
Non esiste una “voce” singola, qualificata e riconosciuta ufficialmente che cerchi di riassumere la situazione in modo obiettivo ad uso del pubblico occidentale. E questo è un guaio.
I commentatori da social, come me del resto, sono in gran parte “tifosi” da tastiera, entusiasti del loro partito e che lo sostengono con tutte le loro forze, ed è comprensibile che offrano nel 90% dei casi delle versioni assolutamente parziali e non obiettive quando non addirittura in malafede.
Ma i media mainstream? Qui è dove casca l’asino. I reporter di guerra professionali non esistono più (spero qualcuno ricordi ancora un grande professionista come Marcello Alessandri della RAI). I giornalisti raccolgono le loro notizie in rete, le confezionano come più appare loro opportuno e le passano a chi di dovere, che le presenta nel modo più idoneo non a spiegare la situazione, ma ad attrarre ed interessare il pubblico. Spesso i testi sono anche relativamente obiettivi, ma i titoli sono quasi sempre “sparati” per dimostrare che la notizia riportata è importante: anche quando non lo è.
All’inizio della guerra moltissime notizie erano importanti per davvero, ma ricevevano un’attenzione limitata a causa del loro numero e della difficoltà di valutarle da parte di chi non aveva una formazione professionale adeguata: le tre battaglie dell’aeroporto di Hostomel per esempio hanno avuto un carattere decisivo per l’intera campagna del nord, ma pochi le hanno notate; per non parlare del massacro degli spetznaz lanciati troppo in avanti verso Leopoli, che ha posto letteralmente fine alle operazioni in profondità da parte dei russi, episodio che scommetto quasi nessuno ricorda.
L’Isola dei Serpenti invece fin dal primo giorno riceve una copertura mediatica sproporzionata alla sua importanza, che è prossima a zero: è solo una bella storia, ma non decide il corso del conflitto. Stessa cosa per Severodonetsk: i russi ne parlano continuamente, i blog la rilanciano entusiasti, e i media mainstream raccolgono quello che trovano. Lo rielaborano, gli danno un titolo roboante, e lo sbattono in prima pagina…
Dove la casalinga di Voghera lo legge.
Lo rilegge tutti i giorni, quindi si convince che deve essere vero; in più è una notizia che offre una “tendenza” tale da lasciar capire da che parte penda la bilancia, e quindi sembra non solo rilevante, ma anche offrire una chiara chiave di lettura della situazione.
Poco importa che i 1500 chilometri del fronte siano ormai quasi “freddi” e che l’invasione condotta dal secondo esercito più potente del mondo progredisca solo in un settore largo 50, e che quasi niente in quel settore offra obiettivi tali da decidere la guerra. Poco importa, perché nessuna voce ufficiale lo spiega apertamente.
L’opinione diffusa secondo cui l’esercito russo avanzi come una specie di rullo compressore, lento ma implacabile, intento a triturare gli ucraini a dispetto di tutti gli sforzi, è un’immagine frutto non tanto della propaganda russa (che fa il suo lavoro) ma del rilancio sconsiderato delle notizie di fonte dubbia effettuato dai media mainstream che non dispongono di una voce ufficiale e credibile che risponda a quanto affermato da Mosca, e il cui scopo è “vendere” la notizia e non informare la “casalinga di Voghera”.
Il problema è che l’Occidente non è “in guerra”, e quindi la NATO non fornisce tale servizio. Il conflitto è ancora solo politico, e quindi dovrebbe essere l’Autorità politica che ci rappresenta un po’ tutti a fornire tale rapporto di situazione che funga da riferimento comune. La EU ha svolto questo servizio durante la pandemia attraverso l’EUCDC. Purtroppo però non esiste un ente comunitario deputato a svolgere un tale servizio in caso di crisi militare.
L’Europa non ha un Ministero della Difesa.
Ma dovrebbe averlo. Questa credo sia la prima lezione da apprendere dall’orso Vladimiro.
Orio Giorgio Stirpe