Il Centro Commerciale di Kremenchuck e l’Isola dei Serpenti: due episodi della guerra in Ucraina che chiamano in causa competenze tecniche specifiche analoghe e che sono stati dibattuti in maniera un po’ superficiale proprio a causa della loro natura tecnica.
Cercherò di evitare di cadere troppo nello specifico perché da un lato ci sono aspetti classificati che non possono essere approfonditi in pubblico, e dall’altra non vorrei rendere l’argomento troppo lungo e noioso per i più.
In entrambi i casi assistiamo alla collisione fra una specifica procedura tecnico-militare chiamata “Targeting”, e le esigenze dell’informazione e della propaganda.
Cominciamo dal Targeting. Si tratta di una complessa procedura cui abbiamo già accennato in precedenza, che viene posta in essere da un lato per massimizzare la precisione degli attacchi in profondità, e dall’altra per rispondere ad una serie di requisiti imposti dal moderno Diritto Internazionale dei Conflitti Armati.
Se la prima esigenza può apparire ovvia, la seconda non lo è affatto. Il punto è che l’evoluzione del diritto bellico negli ultimi anni del XX Secolo ha portato a definizioni sempre più stringenti e a limitazioni significative (e necessarie) nell’esercizio della cosiddetta “violenza legittima” da parte degli Stati nel gestire la forza militare. Senza scendere troppo in profondità, l’uso legittimo della forza viene distinto in due momenti: quando avviene a contatto con il nemico, e cioè la minaccia reciproca è evidente, e allora l’uso della forza da parte dei combattenti di entrambe le parti è considerato giustificato dal diritto di ciascuno all’autodifesa; e quando avviene NON a contatto diretto, e allora deve essere regolato e giustificato attraverso le cosiddette “regole di ingaggio”. Tali regole sono stabilite dall’autorità politica che gestisce lo strumento militare, in base alle esigenze dettate dalla missione assegnata alle forze militari e ai limiti imposti dal diritto internazionale, e sono tratte da un catalogo esistente fin dal tempo di pace e redatto in modo da rispondere alle esigenze imposte dai trattati internazionali e dalle conseguenti leggi nazionali.
Le Regole di Ingaggio sono fissate dall’Autorità politica competente, che potrà essere il Governo Nazionale o – nel caso di operazioni NATO – il Consiglio Atlantico, ed assegnate al Comandante Operativo in Teatro. Queste regole, oltre a porre limiti ben precisi all’uso della forza, pongono anche il Comandante e la catena di comando a lui sottoposta al riparo dall’azione legale che potrebbe essere intentata contro di lui dall’Autorità giudiziaria competente che potrebbe agire d’iniziativa. Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante per le democrazie dove esiste la separazione dei Poteri dello Stato: un Procuratore può infatti agire indipendentemente dalla volontà del proprio Governo se lo ritiene opportuno, e quindi un Comandante potrebbe sentirsi limitato nella sua capacità di eseguire un compito per quanto questo possa apparirgli legittimo.
Pertanto, se un bombardamento diretto ad un Posto Comando nemico è condotto in base alle Regole di Ingaggio assegnate e produce ugualmente vittime civili, il Comandante non ne potrà essere considerato responsabile; se invece tale attacco ha violato le regole, il Comandante ne risponderà alla propria Autorità giudiziaria.
Naturalmente queste Regole NON garantiscono l’assenza di vittime civili e di danni collaterali: li limitano soltanto… Idealmente li limitano quasi a zero, in pratica rappresentano un filtro contro un’applicazione indiscriminata dell’uso della forza oggi disponibile.
Le Regole di Ingaggio sono estremamente dettagliate, e includono aspetti come il tipo, il calibro e la potenza del munizionamento utilizzabile, l’obbligo di “occhi sul bersaglio” mentre avviene il tiro, il livello gerarchico dell’Autorità che autorizza l’azione di fuoco e il tipo di danno che si intende infliggere. Le procedure del Targeting a loro volta sono tali da garantire e documentare l’implementazione delle stesse regole nella pianificazione e nell’esecuzione della specifica missione di attacco.
Questo significa che di ogni attacco eseguito “in profondità”, e quindi non a diretto contatto con il nemico e in condizioni di giustificare l’uso della forza con il diritto all’autodifesa, esiste oggi una specifica documentazione attestante l’implementazione delle regole di ingaggio durante la pianificazione e l’esecuzione dell’attacco, nonché l’effetto ottenuto con l’attacco stesso e gli eventuali danni collaterali registrati in seguito.
Si tratta insomma di una procedura estremamente complessa, che però consente anche un uso accurato e preciso delle armi a disposizione e limita almeno in parte le devastazioni che un uso indiscriminato di tali armi potrebbe causare.
Naturalmente, la procedura che ho descritto è quella impiegata in Occidente. No ho modo di dire fino a che punto questa sia praticata dalle Forze Armate russe: per gli aspetti tecnici immagino di sì, in quanto consente un impiego razionale dello strumento disponibile; per quelli legali non ne sono sicuro, in quanto la Russia non opera come uno Stato di diritto, e dubito che il generale Dvornikov o il suo successore temano di essere inquisiti da un giudice russo per un uso eccessivo della forza da parte loro.
Il caso del centro commerciale di Kremenchuck è emblematico.
Abbiamo detto da tempo che la Russia è a corto di missili, in particolare di missili moderni e di precisione. Questo significa che la scelta del munizionamento ormai è limitata a quanto ancora disponibile, e il Comandante locale si può trovare a dover selezionare un missile non abbastanza preciso, come è capitato nel caso in esame, dove è stato impiegato un missile anti-nave piuttosto antiquato e assolutamente non idoneo a colpire con precisione un edificio specifico all’interno di una città.
Non voglio credere che l’intento di chi ha autorizzato il bombardamento fosse colpire il centro commerciale: oltre ad essere una barbarie, ha avuto anche l’effetto di rafforzare il morale dei combattenti ucraini e di deprimere quello di chi l’ha lanciato e quindi non ha contribuito allo sforzo militare russo. Quindi si è trattato di un errore (fino a prova contraria) dovuto ad una non corretta applicazione delle norme del Targeting: non solo è stato scelto un missile non idoneo, ma evidentemente non c’era un controllo visivo sull’esecuzione del lancio altrimenti si sarebbe visto che il missile stava andando fuori bersaglio.
A mente del diritto internazionale esiste quindi una responsabilità specifica da parte del Comandante Operativo a cui risale l’Autorità sotto cui è stato eseguito l’attacco: responsabilità che dovrebbe essere chiarita in un processo per crimini di guerra.
Di contro però, con l’arresto dell’invasione lungo quasi tutto il fronte, la Russia ha la necessità di proiettare l’immagine di un’offensiva costante, e può farlo solo mantenendo un ritmo costante nei bombardamenti in profondità. Ad ogni costo.
E l’Isola dei serpenti?
Nessun danno collaterale qui. Ma sempre una questione di targeting.
Lo avevamo scritto mesi fa: l’isola non era tenibile in alcun modo. Le sue coordinate essendo ben note, poteva essere colpita a volontà e con la massima precisione e siccome non poteva essere rifornita con regolarità non poteva neppure difendersi dai bombardamenti. La scelta stessa di occuparla dimostrava come l’esigenza di offrire all’opinione pubblica una storia di “conquista” abbia prevalso sul buon senso e sulla protezione di propri stessi militari.
Il controllo dell’isola per quattro mesi è costato ai russi un numero impressionante di vite (per non parlare del materiale bellico perduto, inclusa la nave ammiraglia della Flotta del Mar Nero) senza fornire alcun ritorno operativo visto che le rotte in uscita da Odesa sono comunque interdette dalla presenza di naviglio armato.
Sull’Isola dei Serpenti gli ucraini hanno fatto il tiro al bersaglio per quattro mesi, esattamente come sull’aeroporto di Kherson: con l’uso dei satelliti e dei sensori marittimi e l’impiego di missili occidentali era possibile battere l’isola e le navi che cercavano di rifornirla con continuità e precisione, imponendo alla marina russa un tasso di attrito assolutamente sproporzionato rispetto alla sua missione.
Il fatto stesso che lo Stato Maggiore russo si sia intestardito nel voler prolungare l’occupazione così a lungo dimostra come la condotta delle operazioni militari sia completamente sottoposto alle esigenze della politica e della propaganda, e questo conferma l’irrazionalità militare di gran parte dell’invasione così come è stata condotta finora e l’assoluta mancanza di rispetto della dirigenza russa non solo delle norme del diritto bellico, ma anche della vita dei propri stessi soldati.
Nessuna sorpresa se il morale dell’esercito russo è così basso da consentire la prosecuzione delle operazioni offensive solo in un settore così limitato…
Orio Giorgio Stirpe