I russi hanno preso Severodonetsk; a carissimo prezzo, e solo dopo averla distrutta completamente, ma l’hanno conquistata. Abbiamo discusso ieri se questo possa essere o meno considerato un successo, ma qui oggi cerchiamo di guardare al futuro.
Per completare il successo, ora i russi devono necessariamente conquistare la città gemella di Severodonetsk: Lysychansk, che in sostanza costituisce la parte occidentale della stessa città tagliata in due dal fiume Donec. La sua posizione elevata e il fatto di trovarsi sulla riva occidentale del fiume rendono l’attacco ancora più complicato per i russi, ed è per questo che continuo a chiedermi la ragione di tanto accanimento in questo assalto frontale.
D’altra parte è probabile (e auspicabile per risparmiare ulteriori perdite non giustificate) che gli ucraini lascino Lysychansk spontaneamente, anche per annullare lo sforzo effettuato dai russi poco più a sud, e che costituisce il tentativo militarmente più ragionevole di aggirare i difensori avversari. La scelta di continuare a resistere imprimerebbe un ulteriore gravissimo attrito agli attaccanti, ma esporrebbe gli ucraini al rischio di avere alcune Brigate accerchiate, e secondo me non ne varrebbe la pena: in ogni caso il tentativo di ottenere un successo militare rilevante tagliando fuori i difensori del Donbass è fallito, e tutto quello che è rimasto in mano ai russi in premio per le loro perdite è un cumulo di rovine. Il fronte si è accorciato favorendo i difensori, e occorre ricominciare da capo ad avvicinarsi ad un altro centro urbano fortificato… E intanto le perdite russe si accumulano senza che ci siano in vista rinforzi di alcun tipo, né in termini di personale addestrato, né di materiale militare efficiente.
L’obiettivo fondamentale della battaglia del Donbass, Kramatorsk, è più lontano che mai, protetto da altre cinture fortificate e da altri centri urbani. Se i russi intendono proseguire l’offensiva in questo settore continueranno a subire perdite di uomini e mezzi che finora hanno assorbito cannibalizzando unità ritirate da altri fronti, gettando in battaglia miliziani male addestrati e svuotando depositi di materiale obsoleto, diluendo non solo la forza numerica ma anche la qualità delle loro Brigate. Quanti uomini e mezzi hanno ancora a disposizione per sostenere un potenziale offensivo tale da consentire loro di avanzare ancora?
Ovviamente nessuno dispone di numeri certi, probabilmente neppure Gerasimov; le fonti occidentali cui si riesce ad accedere forniscono dati che suggerirebbero di interrompere l’offensiva già adesso, ma sappiamo che i russi in generale e Putin in particolare possono essere più propensi di noi a correre rischi anche gravi pur di perseguire i propri obiettivi. Personalmente non credo che l’esercito russo sia in grado di continuare ancora a lungo su questo ritmo, neppure su un fronte oramai davvero ristretto. Quella che era un’offensiva strategica si è ridotta prima ad una campagna e poi ad un’operazione singola, e ormai è degenerata su un piano esclusivamente tattico incapace di produrre risultati militarmente decisivi. Un po’ come durante la Prima Guerra mondiale.
La Grande Guerra, come fu chiamata allora, si distinse da tutti i conflitti precedenti per una serie di ragioni. Senza cercare di concentrare in questo post uno studio che richiederebbe un paio di tomi come minimo, diciamo che l’industrializzazione di massa aveva consentito di equipaggiare eserciti molto più grandi del passato, e lo sviluppo delle comunicazioni via filo aveva consentito di mantenere il controllo di forze molto lontane fra di loro, portando alla creazione di fronti continui che dovevano necessariamente essere attaccati frontalmente. La difesa prevalse sull’attacco a causa di questa continuità che preveniva la manovra offensiva, e l’attaccante semplicemente non riusciva ad accumulare un potenziale offensivo tale da poter non solo perforare il fronte difensivo, ma anche sfruttare lo sfondamento. La guerra così si risolse in un attrito costante, che giunse al punto di rottura per ragioni più economiche che militari.
La Seconda Guerra mondiale fu invece una guerra di manovra; lo sviluppo delle forze meccanizzate e dell’aviazione tattica tornarono a consentire la costituzione di concentrazioni offensive capaci di sfondare il fronte nemico prima che fosse possibile per i difensori raccogliere forze sufficienti per turare la falla.
La Guerra Fredda è stata caratterizzata ovviamente dalla presenza delle armi nucleari, che ponevano ogni scontro convenzionale di grandi dimensioni a rischio di escalation: così abbiamo visto solo una successione di conflitti asimmetrici a bassa intensità intervallati da pochi, violenti scontri ad alta intensità tutti di breve durata e consistenti in una sola operazione pianificata e condotta in modo non troppo dissimile dalla Seconda Guerra mondiale, ma con armi più efficaci.
Ora ci troviamo per la prima volta dal 1945 (almeno in Europa) a vedere un conflitto ad alta intensità di durata prolungata… E quello che vediamo sul campo sembra indicare che siamo tornati alla Grande Guerra. Cos’è successo?
E’ successo che il concetto della “guerra di movimento” che aveva scardinato la “guerra di posizione” della Prima Guerra mondiale era basato sulla capacità di concentrare rapidamente forze meccanizzate e corazzate nelle proprie retrovie senza che il nemico se ne rendesse conto, per poi lanciarle in un punto preciso, rompere il fronte e proseguire in profondità. Ma oggi la ricognizione strategica (soprattutto satellitare, ma non solo) è tale da rendere impossibile accumulare il potenziale offensivo necessario senza che il difensore se ne renda conto per tempo e organizzi a sua volta le proprie forze meccanizzate per affrontare la minaccia.
L’impossibilità da parte russa di lanciare un attacco di sorpresa con le proprie superiori forze corazzate è dovuta sostanzialmente ai sistemi di ricognizione strategica della NATO e soprattutto alla rete satellitare americana che sostengono la difesa ucraina fin dal primo giorno. La disponibilità di ingenti sistemi d’arma difensivi quali i missili Javelin e Stinger ha reso possibile anche alla fanteria leggera sostenere assalti corazzati male coordinati, e l’artiglieria impiegata a massa richiede molto tempo per essere rischierata nei punti necessari.
Una più oculata pianificazione può permettere di schierare fin dall’inizio la massa di artiglieria nel punto giusto, assicurando il potenziale offensivo necessario, seppure al prezzo di gravi perdite per gli attaccanti, ed è quanto abbiamo visto nelle ultime settimane nel Donbass. Ma nel frattempo, l’arrivo di moderni sistemi occidentali comincia ad erodere anche questo vantaggio: le artiglierie da 155mm e gli HIMARS non sono intesi a colpire le formazioni d’attacco russe; sono destinati a colpire le artiglierie russe nel momento stesso in cui queste sparano. Questo è destinato non solo ad erodere lentamente la schiacciante superiorità numerica delle artiglierie di Putin, ma soprattutto a ridurre il loro ritmo di fuoco: sapendo di essere a rischio di controfuoco avversario, gli artiglieri russi spareranno un solo colpo per pezzo per poi di spostarsi velocemente e cambiare schieramento prima di essere fatti segno a fuoco a loro volta.
Questo significa che non solo le unità di manovra russe si stanno lentamente logorando per l’attrito e la cannibalizzazione necessaria ai continui raggruppamenti, ma anche l’artiglieria comincia finalmente a vedere erosa la sua superiorità di fuoco.
E mentre il tempo passa, le nuove Brigate ucraine si addestrano e ricevono il loro equipaggiamento. Contrariamente a quanto sostenuto da molti, il tempo non gioca nella squadra dell’orso Vladimiro.
Orio Giorgio Stirpe