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Dopo aver sommariamente esaminato lo status militare delle opposte fazioni, vediamo in che modo il loro rapporto definisca la situazione sul campo.

 

Le perdite, come abbiamo visto, sono difficilmente quantificabili ma sono sicuramente molto gravi; potrebbero anche esserlo più di quanto non appaia, perché per disabilitare al combattimento un soldato o un carro armato non è necessario ucciderlo o distruggerlo: può essere sufficiente traumatizzarlo o lasciarlo senza parti di ricambio. Molti soldati russi professionisti stanno semplicemente rescindendo il proprio contratto, e non essendo ufficialmente in guerra questo non costituisce reato; molte artiglierie ucraine smettono di sparare perché a corto di munizioni di origine russa. La stanchezza comincia a giocare un ruolo sempre più evidente: gli uomini in uniforme non sono automi e non li si può semplicemente spingere all’infinito; lo stesso vale per i mezzi: si possono anche alimentare con carburante e munizioni, ma con l’uso ininterrotto anche le parti metalliche si logorano inesorabilmente.

 

Un aspetto per me rilevante che ho già indicato più volte, ma che non vedo menzionato da molti altri osservatori, è come il fronte sia complessivamente sempre meno attivo.

Abbiamo visto che il conflitto è cominciato il 24 febbraio con un’offensiva generalizzata lungo tutta la linea di contatto fra Russia e Ucraina, estesa anche alla Bielorussia; in seguito alla sconfitta subita nello scomposto assalto a Kyiv, l’intera zona operativa settentrionale è stata disattivata: gli ucraini hanno ripreso possesso della loro frontiera con la Bielorussia e anche con la Russia fino all’altezza di Kharkiv. I russi nel frattempo a sud erano avanzati fin quasi a Mykolaiv, e poi erano stati respinti fino quasi a Kherson, ma nel frattempo la loro offensiva si era concentrata al solo Donbass e a Mariupol.

Caduta finalmente Mariupol, gli ucraini hanno ottenuto una serie di vantaggi tattici a est di Kharkiv e il fronte “caldo” si è ulteriormente ristretto alla zona centrale del Donbass; qui la battaglia infuria più feroce che mai, ma tutto il resto del lungo fronte che corre da Kharkiv a Kherson appare sostanzialmente fermo.

 

Osserviamo con più attenzione il settore “caldo” del fronte: ha la fisionomia tipica delle battaglie “a saliente”, con gli ucraini che ne difendono l’interno e i russi che lo assaltano dall’esterno. Al centro della base della porzione ucraina del saliente si trova Kramatorsk, su cui convergono le strade della zona, e che costituisce il centro di gravità della battaglia: siccome è anche l’ultima grande città del Donbass in mano ucraina, il suo possesso indicherà il vincitore della battaglia per il possesso della regione indicata dai russi come il proprio obiettivo.

Data la forma e le dimensioni del saliente, che consentono agli attaccanti di batterlo da tutte le parti, la situazione dell’attaccante appare migliore; d’altra parte la conformazione del terreno, con il fiume e le paludi che proteggono il saliente a nord e le fortificazioni campali permanenti costruite lungo l’arco temporale di ben otto anni di conflitto al sud fanno sì che chiudere la morsa recidendo il saliente alla base si sia rivelata una mossa tanto ovvia quanto difficile da portare a termine.

Per eseguire un attacco “a tenaglia” occorre infatti poter alimentare contemporaneamente due azioni d’attacco contemporaneamente, e questo richiede uno sforzo logistico doppio, coordinato e costoso in termini di mezzi e di materiali. Ma se il fronte “caldo” si è tanto accorciato, è proprio a causa dell’incapacità materiale dei russi di mantenere lo sforzo in più punti contemporaneamente. Di fatto, l’attacco “a tenaglia” contro il saliente non si è mai materializzato: abbiamo piuttosto assistito ad una migrazione periodica del punto di massimo sforzo da Izyim (nel nord) a Popasna (nel sud) e infine a Severodonetsk (al vertice del saliente), senza che questo sforzo arrivasse a determinare alcun guadagno significativo di terreno.

A Severodonetsk addirittura abbiamo assistito ad un ritorno controffensivo ucraino, e adesso il centro urbano e industriale appare spaccato a metà: quella che doveva essere una manovra in profondità si è trasformata in una battaglia di attrito dove i combattenti si contendono poche centinaia di metri di macerie.

Più a sud, dove avrebbe dovuto attivarsi la branca meridionale dell’ipotetica “tenaglia”, abbiamo posizioni come quella di Avdiivka, alla periferia di Donetsk, che è contesa addirittura dal 2014: qui dall’inizio del conflitto a febbraio l’avanzata è stata di decine di metri, nemmeno centinaia. Popasna è stata investita ai primi di marzo ed è stata finalmente occupata solo alla fine di maggio; il fronte peraltro è ancora a ridosso delle ultime case.

L’area che però lascia più perplessi è quella della branca nord della “tenaglia”. Ricordate Izyum? Da quanto tempo si sente parlare delle forze russe ammassate da quella parte e pronte a spingersi a sud sopra e intorno a Slaviansk? Personalmente mi aspettavo che la caparbia e costosissima pressione frontale su Severodonetsk avesse lo scopo di attirare le riserve ucraine in fondo al saliente per poi aggirarle con un attacco fulmineo almeno dal nord…

Ma le riserve ucraine sono state impegnate già da tre giorni, e le forze di Kyiv hanno già ristabilito l’equilibrio delle loro forze senza che l’attacco da Izyum si sia materializzato.

Semplicemente, anche i fianchi del saliente si stanno progressivamente “raffreddando”.

 

La conclusione logica dell’analista è che i russi non siano in grado di spostare la gravitazione delle loro forze e del loro fuoco abbastanza in fretta da sbilanciare i propri avversari. Un chiaro sintomo di stanchezza operativa.

Gli ucraini del resto hanno ormai avuto da settimane l’opportunità di colpire a sud la testa di ponte russa di Kherson, che si sostiene su due soli ponti sul Dnipro, ma non ne hanno potuto approfittare: la stanchezza operativa non è solo un problema dei russi.

Per “stanchezza” non si intende solo lo stato di affaticamento dei soldati dopo tre mesi e mezzo di guerra: si intende l’abbassamento dei livelli di rifornimento, il logoramento dei materiali, la crescente tensione del fronte interno e la flessione della motivazione al combattimento, che colpisce in diversa misura i soldati di entrambi gli schieramenti.

L’effetto di questa “stanchezza operativa”, che è funzione dello status delle opposte fazioni esaminato ieri, è un costante accorciamento della porzione “calda” del fronte e una riduzione visibile della capacità delle rispettive unità di assumere l’iniziativa in punti diversi.

Se nessuno dei contendenti è capace di colpire in un punto inaspettato, il fronte “freddo” si estende: ora sembra essere localizzato non al Donbass centrale, ma alla sola area di Severodonetsk, il cui possesso peraltro è poco rilevante non solo per l’esito del conflitto, ma anche solo per quello della battaglia per Kramatorsk, visto che oltre Severodonetsk c’è il fiume.

 

Certo, può ancora essere possibile che si preparino delle sorprese. Un buon comandante con una valida riserva alla mano dovrebbe essere intento a prepararne una, e potrebbe sorprenderci in qualsiasi momento. Solo che i russi buoni comandanti finora non ne hanno esibito neppure uno (infatti Putin continua ad “avvicendarli”), e di riserve ormai sembrano non averne praticamente più; gli ucraini paiono avere comandanti migliori, ma sono tragicamente a corto di riserve anche loro, e ne hanno impegnate diverse solo tre giorni fa.

Quindi appare più probabile che il processo di “raffreddamento” del fronte sia destinato a proseguire nei prossimi giorni.

 

Cosa accade quando il processo è completo, e anche l’ultima porzione “calda” di fronte si spegne?

Si chiama stasi operativa.

Il fronte si blocca del tutto perché l’attaccante ha “culminato” esaurendo la sua capacità offensiva a dispetto di tutte le possibili pressioni del potere politico che lo controlla, e il difensore manca della capacità controffensiva necessaria ad assumere a sua volta l’iniziativa.

Si tratta del risultato che nessuno dei contendenti desidera, perché indica impotenza reciproca, lungo un fronte insoddisfacente per entrambi.

Politicamente, un incubo per l’orso Vladimiro. Ma anche un’opportunità per cominciare a parlare di diplomazia: se gli eserciti si debbono fermare, tanto vale farli sostare lungo un fronte sostenibile, che almeno da Kharkiv a Popasna potrebbe essere per esempio il fiume Donec.

Un fronte che potrebbe diventare una linea di cessate-il-fuoco.

 

Orio Giorgio Stirpe