Ad oltre cento giorni dall’inizio del conflitto, qual è lo stato dei contendenti?
L’esercito ucraino ha iniziato la guerra con circa 25 Brigate operative; ha avviato la mobilitazione generale richiamando i riservisti, avviando la leva in massa, equipaggiando la polizia in ruolo da combattimento secondo il concetto della Guardia Nazionale, aperto i magazzini con armi e mezzi dismessi di recente e perfino accolto volontari dall’estero.
Nel corso degli ultimi tre mesi e mezzo le perdite sono state pesantissime. Non esistono cifre ufficiali attendibili, e siccome per definizione “non si fa intelligence sulle forze amiche” non ho neppure dati ufficiosi disponibili; ma in base alla situazione oggettiva e alle poche notizie in merito disponibili ed estrapolabili, direi che sia congruo parlare di circa diecimila morti e almeno ventimila feriti.
Disponendo di un esercito di leva mobilitato le perdite umane – per quanto dolorose – possono essere riassorbite con una certa facilità, almeno finché il morale rimane alto. Il personale richiamato in servizio viene impiegato per ripianare le perdite delle Brigate esistenti, mentre quello mobilitato per la prima volta viene addestrato per costituire nuove unità.
Allo stato dell’arte, gli ucraini hanno mantenuto l’esistenza in servizio delle loro Brigate in essere al 24 febbraio, e in più ne hanno costituite un certo numero di nuove, mantenute nelle retrovie più o meno fino a questo momento con compiti di difesa territoriale e soprattutto di addestramento, ed ormai più o meno pronte ad entrare in linea.
Più difficile è quantificare le perdite in termini di mezzi: l’inferiorità degli ucraini in termini di carri armati ad inizio conflitto era schiacciante, per non parlare dell’artiglieria. Operando in difensiva ed avendo ancorato la difesa ai centri abitati anche a causa del fango che rendeva impraticabili le campagne, la mancanza di mezzi da combattimento per fanteria era meno grave. I carri armati sono stati risparmiati per almeno due mesi in modo da adoperarli per i primi contrattacchi di fine aprile, ma comunque ne sono stati perduti almeno la metà. In compenso però un gran numero di carri sono stati catturati a quelle formazioni russe che si sono ritrovate senza carburante e hanno dovuto abbandonarli, e altri ne sono stati forniti dalle Nazioni NATO con disponibilità di mezzi ereditati dal Patto di Varsavia.
Ora come ora, le brigate attive al 24 febbraio hanno probabilmente una dotazione di mezzi inferiore a quella di tale data, ma non di molto; hanno visto ruotare almeno il 50% del personale, ma sono indurite dai combattimenti, hanno acquisito esperienza e sono comprensibilmente stanche. Le brigate mobilitate invece sono probabilmente fresche in quanto non ancora impiegate (o impiegate in misura minima), ma mancano di esperienza e soprattutto sono quasi certamente equipaggiate come fanteria leggera e non in grado di affrontare una battaglia manovrata in profondità, né in difensiva né tantomeno in controffensiva; sono però utili per la difesa statica di centri abitati e posizioni fortificate.
Quel che è probabilmente migliorato rispetto all’inizio delle ostilità è l’artiglieria: non solo ha ricevuto aiuti sostanziali e di qualità dall’Occidente, ma ha anche acquisito esperienza ed il suo impiego è diventato molto più efficace, riducendo nel contempo l’efficacia – inizialmente devastante – dell’artiglieria russa. Soprattutto, l’introduzione in servizio dei materiali occidentali ha ridotto il problema del munizionamento per i pezzi di origine sovietica con un calibro prodotto solo in Russia e nelle stesse fabbriche ucraine distrutte dai bombardamenti; l’arrivo di munizionamento di origine indiana ha solo contenuto il problema, e l’artiglieria ucraina rischiava di rimanere senza munizioni. L’arrivo dei materiali occidentali con calibro 155mm ha consentito l’invio di munizionamento occidentale in quantitativi illimitati. La disponibilità di radar, computer e consiglieri NATO ha inoltre aumentato drasticamente la precisione del tiro, così che le artiglierie russe adesso devono assolutamente cambiare schieramento immediatamente dopo ogni intervento per evitare di essere colpite dal fuoco di reazione avversario: cosa che ne limita enormemente la potenza di fuoco.
L’esercito russo ha iniziato le ostilità con circa 60 Brigate e ne ha immesse in combattimento un’altra decina nel corso dei primi due mesi, richiamando forze fin dal Pacifico e mobilitando assetti della propria Guardia Nazionale, compresi i famosi miliziani ceceni, il Gruppo Wagner e le milizie del Donbass. A parte queste ultime, le Brigate russe erano fin dall’inizio molto più “pesanti” di quelle ucraine in termini di equipaggiamento, in particolare riguardo ai carri armati e alle artiglierie semoventi, e quindi i “BTG” (Battalion Task Groups) russi erano oltre che più numerosi, anche dotati di maggiore capacità di fuoco rispetto ai battaglioni delle brigate ucraine.
Anche qui le perdite sono state pesantissime. La NATO stima che le forze impiegate per l’invasione abbiano subito dal 24 febbraio un attrito pari a circa il 30% della capacità operativa, il che in teoria le porrebbe nell’impossibilità di proseguire le operazioni offensive.
In particolare si sono quasi sicuramente superati i diecimila morti, un numero anche doppio di feriti, e in più un elevato numero di militari professionisti ha rotto il contratto rifiutandosi di riprendere il combattimento. Qui anche se i numeri appaiono simili a quelli delle perdite ucraine, la situazione è resa più grave dal fatto che circa tre quarti dei militari russi sono professionisti e non sono rimpiazzabili in meno di un anno. I coscritti sono poco addestrati ed estremamente demotivati. Per questa ragione, dopo un tentativo fallito di coinvolgere Nazioni amiche in una guerra da queste non condivisa, la Russia ha dovuto cercare di rastrellare volontari dove poteva, reclutando mercenari, inviando miliziani ceceni, richiamando truppe schierate all’estero e alzando i limiti di età per i volontari.
In termini di mezzi sicuramente sono andati perduti più di mille carri armati e più di cento aerei da combattimento ed altrettanti elicotteri: mezzi non rimpiazzabili in alcun modo a causa della mancanza di riserve e del blocco dell’industria pesante a causa delle sanzioni occidentali.
Per questa ragione, allo scopo di restituire ai propri BTG la capacità operativa necessaria a riprendere il combattimento offensivo, i russi hanno dovuto ricorrere alla pratica del “raggruppamento”: si tratta di sciogliere del tutto le unità più danneggiate e di distribuire personale e mezzi presso le altre in modo da riportarle ai livelli numerici richiesti. In questo modo il numero complessivo di BTG e delle relative Brigate (ogni Brigata disponeva di almeno tre BTG) si è ridotto ma almeno sulla carta la loro capacità operativa si è ristabilita.
Non dispongo di dati precisi, ma estrapolando le perdite posso dire che per recuperare almeno in teoria l’operatività delle Brigate calate del 30%, occorreva scioglierne quasi un terzo, quindi se il raggruppamento è stato condotto a termine ora la disponibilità di Brigate dovrebbe essere di circa una cinquantina. Si vede quindi che la grande superiorità numerica iniziale dell’esercito russo si è drasticamente ridotta (a “sciabolate”, da 70 contro 25 a 50 contro 30). Considerato che la dottrina richiede una superiorità pari o superiore a 3:1 per un attacco di successo, le cose non sembrano volgere a favore dei russi.
Fin qui ho fatto un esame quantitativo, e per di più estremamente approssimato. Il fatto è però che qualsiasi professionista sa bene come il “raggruppamento” sia deleterio per il morale e il rendimento delle unità che si trovano a ricevere mezzi e uomini poco o del tutto sconosciuti, non abituati ad operare insieme. Se poi si tratta di personale demoralizzato dalla perdita di un commilitone ogni tre e di materiale logorato dalle operazioni e non sufficientemente manutenzionato, il rendimento in operazioni sarà chiaramente meno soddisfacente di quello iniziale.
Vediamo dunque che l’ovvia conseguenza di questa disamina è un drastico rallentamento del ritmo operativo: infatti il fronte è fermo ormai da settimane lungo tutta la linea che corre da Kharkiv a Kherson, e i russi mantengono l’offensiva con grande sforzo e perdite considerevoli solo nel ristretto arco che va da Izyum a Horlivka; su tutto il resto del fronte le forze di entrambe le parti stanno prendendo fiato.
Il consolidamento del fronte e la forte riduzione del divario di forze però favorisce per definizione il difensore, che può ruotare forze fresche nel settore minacciato con più facilità dell’attaccante, ed è quanto abbiamo appena visto a Severodonetsk.
Da qualsiasi parte la guardiamo, questa guerra non va nel senso desiderato dall’orso Vladimiro.
Orio Giorgio Stirpe