Ultime notizie

Default Placeholder

La guerra ormai è ad un punto tale per cui possiamo cominciare a trarre qualche conclusione sul suo andamento, ed in particolare su cosa sia andato in maniera diversa da quanto ci si aspettava.
Probabilmente l’aspetto più rilevante è il rendimento complessivo dell’esercito russo: non basta ripetere che la pianificazione operativa iniziale era sbagliata.
Questo fatto è innegabile, e ne abbiamo già discusso ampiamente. Ma una volta riconosciuto l’errore concettuale di base, e cambiata l’impostazione operativa accorciando il fronte con la ritirata da Kyiv, il rendimento in combattimento dei BTG russi avrebbe dovuto migliorare.
Così non è stato. Come mai?

Ovviamente ci sono numerose cause esterne, che hanno pesantemente condizionato il modo in cui i soldati russi combattevano: innanzitutto le disastrose conseguenze dell’errore iniziale hanno irrimediabilmente segnato le loro capacità, a causa delle gravissime perdite subite nei combattimenti iniziali in termini di uomini, mezzi e soprattutto morale.
Ma un esercito esperto e strutturato di solito è capace di riprendersi dalle conseguenze di una sconfitta; quindi, questo primo aspetto non è sufficiente.
Le interferenze politiche sulle decisioni militari sono proseguite anche dopo la ritirata da Kyiv, continuando a condizionare pesantemente la direzione del conflitto e a provocare errori piuttosto gravi, tali da provocare nuove gravi perdite e cali di morale… Ma anche questo grave problema non avrebbe dovuto riflettersi eccessivamente al livello tattico.
E’ a tale livello che lo scarso rendimento dimostrato va attribuito completamente all’organizzazione militare più che al sistema-Russia nel suo complesso.

Chi scrive ha dovuto interessarsi professionalmente del modo di combattere russo in maniera praticamente ininterrotta a partire dal 1988, quando l’Armata Rossa sovietica era all’apice della sua potenza e noi ci preparavamo incessantemente (ormai da quarant’anni) a difendere la frontiera orientale da una possibile invasione da parte del Patto di Varsavia.
L’analisi delle forze, delle capacità e delle metodologie di azione del nostro potenziale avversario era un’attività continua da parte di tutti gli eserciti della NATO, e si rifletteva in frequenti esercitazioni in cui si cercava di simulare la presunta azione nemica nel modo più accurato possibile.
Grazie all’intelligence comune in ambito NATO disponevamo dell’organico quasi completo delle forze contrapposte lungo la Cortina di Ferro, e avevamo anche un’idea piuttosto precisa di come il nemico si preparasse a combattere: insomma, disponevamo di quella che si chiama la “dottrina militare” dei sovietici, che vedevamo confermato dall’andamento delle LORO esercitazioni. Esistevano un certo numero di possibili varianti che rendevano complicato prevedere esattamente la manovra avversaria, e questo rendeva sia interessante che difficile il nostro lavoro durante le esercitazioni e durante la pianificazione reale.
Con la fine della Guerra Fredda e lo scioglimento del Patto di Varsavia, siamo entrati in possesso dell’effettiva pianificazione operativa sovietica e abbiamo potuto confrontarla con quanto da noi previsto, correggendo così gli errori che avevamo commesso (per esempio noi aspettavamo l’invasione dall’Ungheria attraverso la Jugoslavia, e abbiamo scoperto che invece sovietici e ungheresi intendevano passare attraverso l’Austria… Il che per ammissione dei colleghi ungheresi sarebbe stato estremamente difficile per loro).
La caduta dell’Unione Sovietica, contrariamente a quanto affermato dalla propaganda del Regime di Putin, portò a considerare la nuova Russia più come un partner che come un potenziale avversario, e per alcuni anni lo studio del “nemico” divenne del tutto astratto: si usava per le esercitazioni un avversario “sovietico” per ordinamento e dottrina, ma basato in territori di fantasia posti in Africa o in Medio Oriente. Nel frattempo però l’intelligence seguiva gli sviluppi nei Paesi vicini come Ucraina, Bielorussia, Iran o anche la stessa Russia…
Con l’invasione della Georgia la Russia è tornata al centro dell’attenzione anche se non è ridiventata l’avversario classico delle esercitazioni; l’aggiornamento intelligence sugli sviluppi dottrinali e organizzativi russi però continuava man mano che il Regime di Putin si faceva più assertivo, così siamo arrivati a quest’anno con un’idea abbastanza precisa dell’esercito russo e della sua organizzazione, e un po’ più vaga delle sue capacità.

E’ dunque sulle effettive “capacità” militari russe che si discuteva di più.
Il problema era che avevamo un’idea piuttosto precisa dei mezzi a disposizione dei russi, del loro livello tecnologico e soprattutto del loro livello di manutenzione; l’insieme di questi dati puntava ad un esercito relativamente pesante e numeroso, ma dalle capacità limitate.
Esiste però un tipico meccanismo mentale nei militari in generale, che tende a limitare il rischio di sottovalutare l’avversario. Tale tendenza, protratta nel corso degli anni ed acuita dall’esperienza passata relativa ai numeri particolarmente elevati dall’Armata Rossa, ha condotto all’eccesso opposto e cioè alla sopravvalutazione del nemico.
Tale errore dipendeva anche dalla naturale tendenza a mettere in risalto le capacità avversarie per affinare le proprie. La propaganda russa in questo aiutava, proiettando all’estero un’immagine di potenza militare che sapevamo essere esagerata, ma non sapevamo esattamente di quanto. Nel dubbio, si prendevano le affermazioni di capacità russe al valore nominale.
Questo era possibile in quanto se per esempio il numero di carri armati, la loro tipologia e il livello di mantenimento erano dati fissi facilmente verificabili, le capacità dei Comandanti, il grado di addestramento della truppa e il morale complessivo delle Brigate corazzate non lo erano: si tendeva così a massimizzarli per compensare le carenze materiali e continuare ad attribuire all’avversario un’elevata capacità complessiva.
Del resto, la stessa aggressività militare russa in Crimea, nel Donbas e in Siria lasciava pensare che Putin stesso credesse nella forza del suo strumento militare: non avrebbe corso rischi così elevati se avesse avuto dubbi sulle capacità effettive del suo esercito.

Durante le esercitazioni, simulando la manovra dei russi, oltre ad attribuire loro quantitativi di equipaggiamento superiori a quelli reali (sempre per non rischiare di sottovalutare il nemico), si tendeva sempre a minimizzare i loro problemi logistici e tecnici con un’espressione particolare tratta direttamente da Star Trek: l’avversario era perennemente capace di “adattarsi” come i Borg, correggendo cioè i suoi errori e compensandoli “in qualche modo”.
Ricordo numerose discussioni anche piuttosto accese a riguardo durante le esercitazioni, dove per assurdo erano sempre proprio gli americani a sovrastimare le capacità di “adattamento” dei russi quando li si metteva in condizioni precarie attraverso la nostra manovra e il nostro Targeting.
Questo probabilmente era funzionale alla loro necessità psicologica di disporre di un avversario alla loro stessa altezza, però ha anche portato ad un calcolo errato dei rapporti di forza all’inizio del conflitto in Ucraina.

In definitiva tanto la NATO che la Russia il 23 febbraio – quando ormai l’intenzione russa di attaccare era evidente a tutti gli addetti ai lavori – si aspettavano lo scoppio di un conflitto convenzionale ma ASIMMETRICO: cioè fra due contendenti assolutamente non paragonabili in termini di potenziale militare. Di qui l’offerta americana di un “passaggio sicuro” a Zelensky nel momento in cui avesse dovuto abbandonare la capitale all’inizio della guerra.
In un conflitto asimmetrico, il difensore non riesce a mantenere un fronte coeso e non può contestare il terreno all’invasore con mezzi convenzionali: è costretto a cedere il territorio rivendicato dall’attaccante, ed eventualmente cerca di reagire in seguito con mezzi non convenzionali attraverso guerra partigiana, insorgenza ed eventualmente anche terrorismo.

Più disincantati sulle effettive capacità russe – da loro effettivamente testate sul terreno dal 2014 – gli ucraini la vedevano in maniera differente: consci quanto la NATO della effettiva situazione dei rapporti di forza numerici, che non erano di per sé tali da garantire la vittoria ai russi, ritenevano di essere in grado di contenere l’assalto iniziale sfruttando le carenze addestrative, logistiche e morali dei loro nemici, e di poter stabilizzare il fronte secondo le regole di un conflitto assolutamente simmetrico fra avversari sostanzialmente allo stesso livello.
Disgraziatamente per l’orso Vladimiro, la NATO aveva torto e gli ucraini avevano ragione.

Orio Giorgio Stirpe