Come abbiamo visto, la Russia è obbligata ad assumere una postura operativa di natura difensiva (al netto di dimostrazioni offensive di facciata come a Bakhmut), mantenendone una offensiva in campo strategico dove assistiamo alla prosecuzione della campagna di bombardamento dell’infrastruttura energetica.
Poiché la campagna strategica NON ha un impatto diretto ed immediato su quella terrestre, per il momento la lasciamo fuori dal discorso: non ha infatti la capacità di ridurre la volontà di combattere degli ucraini e può solo influenzare – a lungo termine – quella degli occidentali a fornire sostegno.
Con il ripiegamento da Kherson condotto con ordine e senza perdite esiziali, il Generale Surovikin ha dimostrato una capacità professionale molto superiore a quella dei suoi predecessori, quindi dobbiamo aspettarci adesso un impiego più oculato delle risorse militari russe. La difesa quindi sarà organizzata in maniera congrua alle capacità residue dell’Armata.
Come abbiamo visto, la forza dell’esercito russo in Ucraina ha una consistenza più o meno fissa di circa duecentomila uomini: questo numero non può essere aumentato a causa dell’incapacità del sistema economico-militare di sostenerne logisticamente di più. Nei mesi passati tale numero era calato di molto a causa delle perdite e dell’impossibilità di rimpiazzarle, e questo ha condotto alla mobilitazione d’emergenza; la mobilitazione a sua volta, a causa delle sue enormi carenze, ha portato ad una drastica diluizione dell’aspetto qualitativo dell’Armata, però di contro ha consentito non solo di rimpiazzare le perdite umane sul campo, ma anche di creare un vasto bacino di rimpiazzi per compensare le perdite future.
Insomma: adesso l’esercito russo dispone di molti soldati male addestrati e male equipaggiati, e di relativamente poche Unità veterane e bene organizzate. Con uno strumento del genere, a fronte di un avversario più numeroso in Teatro e relativamente meglio equipaggiato e motivato, appare praticamente impossibile riprendere l’iniziativa in tempi brevi, ma è sicuramente possibile organizzare una difesa efficace.
Il problema è QUALE tipo di difesa organizzare.
Esistono diverse opzioni di manovra difensiva nella guerra moderna, che prevedono organizzazioni sul terreno completamente diverse fra loro. Senza scendere troppo nel dettaglio – chi fosse interessato può facilmente ritrovare un ottimo articolo in merito di Nane Cantatore della settimana scora – basta dire che il difensore si può schierare in configurazioni differenti tanto su linee continue che per capisaldi, e che può organizzarsi per una varietà di manovre possibili che vanno dalle più statiche alle più mobili, sempre a seconda dell’equipaggiamento disponibile e dell’addestramento dei propri soldati.
Oltre ad equipaggiamento e addestramento, e ovviamente alla situazione contingente, un importante fattore di scelta è determinato dalla dottrina militare di riferimento, che a sua volta porta alla scelta del tipo di equipaggiamento e di addestramento del proprio esercito.
Qui Surovikin ha il suo problema più grande: la dottrina dell’esercito russo – che aveva determinato tanto le caratteristiche del suo equipaggiamento prebellico che le modalità addestrative dei suoi soldati, per la difensiva prevede la manovra dinamica di gruppi tattici a livello battaglione (i “BTG”), supportati da campi minati e da fuoco d’interdizione a massa dell’artiglieria per colmare i vuoti fra un BTG e l’altro. I BTG dovrebbero alternare azioni difensive dinamiche (in Occidente chiamate “contrasto dinamico”) e decisi contrattacchi destinati a rompere il ritmo di attacco avversario e a dissanguare le forze nemiche.
Si tratta di una dottrina operativa estremamente aggressiva e dinamica, che riflette la tendenza russa a prediligere l’offensiva sulla difensiva, ma che aveva il suo presupposto su un esercito fondamentalmente meccanizzato e con un addestramento adeguato a tale tipo di manovra.
Il problema di Surovikin è che lo strumento militare attuale non consente questo tipo di manovra difensiva: le perdite in carri armati e mezzi da combattimento per fanteria sono state esiziali e vengono compensate solo in parte con materiale molto meno moderno, poco mobile e comunque scarsamente numeroso, mentre il personale mobilitato non dispone dell’addestramento – spesso neppure dell’equipaggiamento – indispensabile per condurre manovre complesse come quelle previste da una difesa manovrata in profondità.
Partendo dal presupposto che Surovikin sappia quello che fa, nel vedere come sta organizzando la difesa del fronte abbiamo la conferma che la situazione dell’esercito russo sia esattamente quella da noi descritta, e che quindi non consenta la messa in campo di un dispositivo difensivo come previsto dalla sua dottrina.
La scelta di Surovikin, per come la vediamo sul terreno, è per una difesa lineare, senza spazi vuoti fra i BTG, contraddistinta da fortificazioni campali permanenti che presuppongono l’impiego massiccio di fanteria leggera destinata a guarnirle da terra come nelle trincee della I Guerra mondiale.
Questo tipo di difesa è rigida, priva di flessibilità, richiede un elevato numero di soldati ma anche un addestramento limitato e un basso numero di veicoli da combattimento. Obbliga l’avversario ad attacchi frontali con un elevato tasso di perdite iniziali e consente in teoria la copertura dell’intero fronte prevenendo infiltrazioni ed attacchi di sorpresa.
Si tratta di una scelta tattica particolarmente idonea a terreni accidentati, quindi non ideale nella pianura sarmatica, ma ha il pregio di offrire una sorta di riparo invernale per i soldati migliore di quello offerto dalla difesa mobile, in quanto le trincee possono essere convenientemente attrezzate nel corso del tempo.
Considerate le controindicazioni per una difesa lineare, la decisione di Surovikin di optare per essa ci conferma come la Russia sia ora costretta a combattere con un esercito di bassa qualità, con una larga disponibilità di soldati poco addestrati ed un ridotto numero di mezzi da combattimento per la guerra mobile, e che questa sia una situazione destinata a protrarsi quantomeno per tutto l’inverno.
Una difesa lineare offre anche dei vantaggi accessori che si confanno alla situazione delle forze russe: la difesa “spalla a spalla” in trincea richiede una minore cooperazione fra Unità contermini e consente di schierare in difesa reparti poco amalgamati fra loro, come BTG veterani, compagnie mobilitate e milizie territoriali, politiche o perfino religiose dotate di motivazioni differenti fra loro. Il consumo di carburante è estremamente limitato e quello di munizionamento è ridotto per la mancanza di necessità di fuoco di interdizione.
Questo tipo di difesa, come sa bene chiunque abbia studiato la storia della grande Guerra, si presta a subire perdite elevate soprattutto fra le fanterie della prima linea; ma l’ampia disponibilità di rincalzi nelle retrovie assicura la possibilità di un rapido rimpiazzo dei caduti e quindi una certa sostenibilità della difesa.
Inoltre le poche unità mobili superstiti del “vecchio” esercito – soprattutto paracadutisti meccanizzati delle VDV e reparti mercenari Wagner – possono essere preservati e tenuti in riserva per contrattacchi locali dietro le linee difensive ed essere quindi impiegate nella maniera più confacenteal loro addestramento pre-24 febbraio.
La scommessa di Surovikin è di riuscire con questo tipo di manovra difensiva a contenere le operazioni controffensive ucraine per tutto l’inverno, logorando la loro superiorità numerica e cercando di flettere così la curva del Momentum nella speranza che in primavera-estate l’industria bellica russa sia in grado di rimpiazzare le perdite subite quest’anno in termini di veicoli corazzati e quindi di consentire una ripresa dell’iniziativa e delle operazioni offensive volte se non più a sottomettere Kyiv, almeno a convincerla ad un compromesso accettabile per Mosca.
Non è affatto detto che la scommessa si riveli vincente: ma evidentemente è quanto di meglio Surovikin possa offrire al suo Paese.
Si tratta di una situazione molto simile a quella già vista nel Golfo Persico degli anni ’80, durante la guerra fra Iran e Iraq. Una situazione in cui, grazie alle iniziative dell’orso Vladimiro, l’esercito russo somiglia più a quello degli ayatollah oggi suoi alleati, che non all’Armata Rossa di quegli stessi anni.
Orio Giorgio Stirpe
I punti rilevanti. L’alto ufficiale ha gestito il ritiro sulla riva orientale del Dnipro con ordine, evitando perdite pesanti (come il disastro avvenuto a Kharkiv). Ha organizzato difese migliori nel settore sud: alcune sono statiche (trincee, sbarramenti) ma gli stessi ucraini hanno riconosciuto che rappresentano degli ostacoli e sono utili agli occupanti per superare l’inverno. Ha sferrato la campagna di demolizione delle infrastrutture dell’Ucraina con raid precisi: gli ultimi, sabato, hanno colpito Kiev, ma anche Kharkiv nell’est e Odessa a sud, quest’ultima lasciata quasi completamente senza elettricità.
È una strategia, ricorda Dara Massicot, che prevede la disarticolazione della vita quotidiana di un Paese: dunque niente acqua e luce, attacchi a centrali, stazioni e uffici amministrativi, pressione per creare ondate di profughi e impedire al governo di gestire la situazione. Nei manuali russi questo tipo d’assalto è previsto all’inizio di un conflitto ma qui è stato rinviato perché il Cremlino pensava di dover governare l’Ucraina con un regime amico e dunque mettere fuori uso i network civili sarebbe stato un boomerang. I bombardamenti hanno saturato le difese nemiche, la resistenza ha consumato le sue scorte per intercettare la minaccia. È anche vero — aggiungiamo — che Kiev sta ricevendo dalla Nato molti sistemi per contrastare i colpi. Gran Bretagna, Francia, Polonia, Spagna, Stati Uniti, Norvegia ne hanno mandati e promessi, mezzi nuovi come i Nasams o i vecchi Hawks. Vedremo se basteranno.
La ricercatrice ritiene che, rispetto al passato, i report inoltrati da Surovikin al Cremlino siano più accurati e precisi, da qui la consapevolezza di Putin che la guerra richiede altro tempo: infatti il leader lo ha riconosciuto in pubblico. La sintesi di Dara Massicot è che non bisogna sottovalutare l’Armata e le mosse del generale, senza però escludere degli errori del Cremlino o dello Stato Maggiore, come ha fatto in precedenza. Il pensiero dell’esperta è un’osservazione realistica in parallelo a quelle più negative sullo «stato» degli invasori, con i noti riferimenti ai problemi dei riservisti, all’equipaggiamento insufficiente, all’alto consumo di armi di precisione, ai tanti caduti rispetto a risultati minimi. Già il fatto che Mosca avverta i cittadini su una missione di lungo termine è un segnale. Ma lo sono anche i danni senza fine sofferti dall’Ucraina che deve anche tener testa alla spinta nel Donbass, area di Bakhmut.
Andando oltre gli scenari, un paio di annotazioni sulle forniture. Il Marocco — secondo i media — è pronto a inviare Kiev pezzi di ricambio per i carri armati T 72, mossa auspicata da Washington. Sono componenti acquistate nel periodo 1999-2001 da Rabat in Bielorussia, Paese alleato degli invasori. Ma questi sono i «giri» delle armi. I russi, invece, hanno ripreso ad utilizzare i droni-kamikaze iraniani Shahed 136, assenti per qualche settimana: possibile che Teheran ne abbia spediti di nuovi in attesa di far arrivare anche dei missili. La collaborazione tra i due Paesi è in crescita. L’intelligence statunitense afferma che la Repubblica islamica sta per avere da Mosca i caccia Su 35E, possibile una coproduzione di velivoli senza pilota. Prove di amicizia concreta davanti a sfide comuni.
Come abbiamo visto, la Russia è obbligata ad assumere una postura operativa di natura difensiva (al netto di dimostrazioni offensive di facciata come a Bakhmut), mantenendone una offensiva in campo strategico dove assistiamo alla prosecuzione della campagna di bombardamento dell’infrastruttura energetica.
Poiché la campagna strategica NON ha un impatto diretto ed immediato su quella terrestre, per il momento la lasciamo fuori dal discorso: non ha infatti la capacità di ridurre la volontà di combattere degli ucraini e può solo influenzare – a lungo termine – quella degli occidentali a fornire sostegno.
Con il ripiegamento da Kherson condotto con ordine e senza perdite esiziali, il Generale Surovikin ha dimostrato una capacità professionale molto superiore a quella dei suoi predecessori, quindi dobbiamo aspettarci adesso un impiego più oculato delle risorse militari russe. La difesa quindi sarà organizzata in maniera congrua alle capacità residue dell’Armata.
Come abbiamo visto, la forza dell’esercito russo in Ucraina ha una consistenza più o meno fissa di circa duecentomila uomini: questo numero non può essere aumentato a causa dell’incapacità del sistema economico-militare di sostenerne logisticamente di più. Nei mesi passati tale numero era calato di molto a causa delle perdite e dell’impossibilità di rimpiazzarle, e questo ha condotto alla mobilitazione d’emergenza; la mobilitazione a sua volta, a causa delle sue enormi carenze, ha portato ad una drastica diluizione dell’aspetto qualitativo dell’Armata, però di contro ha consentito non solo di rimpiazzare le perdite umane sul campo, ma anche di creare un vasto bacino di rimpiazzi per compensare le perdite future.
Insomma: adesso l’esercito russo dispone di molti soldati male addestrati e male equipaggiati, e di relativamente poche Unità veterane e bene organizzate. Con uno strumento del genere, a fronte di un avversario più numeroso in Teatro e relativamente meglio equipaggiato e motivato, appare praticamente impossibile riprendere l’iniziativa in tempi brevi, ma è sicuramente possibile organizzare una difesa efficace.
Il problema è QUALE tipo di difesa organizzare.
Esistono diverse opzioni di manovra difensiva nella guerra moderna, che prevedono organizzazioni sul terreno completamente diverse fra loro. Senza scendere troppo nel dettaglio – chi fosse interessato può facilmente ritrovare un ottimo articolo in merito di Nane Cantatore della settimana scora – basta dire che il difensore si può schierare in configurazioni differenti tanto su linee continue che per capisaldi, e che può organizzarsi per una varietà di manovre possibili che vanno dalle più statiche alle più mobili, sempre a seconda dell’equipaggiamento disponibile e dell’addestramento dei propri soldati.
Oltre ad equipaggiamento e addestramento, e ovviamente alla situazione contingente, un importante fattore di scelta è determinato dalla dottrina militare di riferimento, che a sua volta porta alla scelta del tipo di equipaggiamento e di addestramento del proprio esercito.
Qui Surovikin ha il suo problema più grande: la dottrina dell’esercito russo – che aveva determinato tanto le caratteristiche del suo equipaggiamento prebellico che le modalità addestrative dei suoi soldati, per la difensiva prevede la manovra dinamica di gruppi tattici a livello battaglione (i “BTG”), supportati da campi minati e da fuoco d’interdizione a massa dell’artiglieria per colmare i vuoti fra un BTG e l’altro. I BTG dovrebbero alternare azioni difensive dinamiche (in Occidente chiamate “contrasto dinamico”) e decisi contrattacchi destinati a rompere il ritmo di attacco avversario e a dissanguare le forze nemiche.
Si tratta di una dottrina operativa estremamente aggressiva e dinamica, che riflette la tendenza russa a prediligere l’offensiva sulla difensiva, ma che aveva il suo presupposto su un esercito fondamentalmente meccanizzato e con un addestramento adeguato a tale tipo di manovra.
Il problema di Surovikin è che lo strumento militare attuale non consente questo tipo di manovra difensiva: le perdite in carri armati e mezzi da combattimento per fanteria sono state esiziali e vengono compensate solo in parte con materiale molto meno moderno, poco mobile e comunque scarsamente numeroso, mentre il personale mobilitato non dispone dell’addestramento – spesso neppure dell’equipaggiamento – indispensabile per condurre manovre complesse come quelle previste da una difesa manovrata in profondità.
Partendo dal presupposto che Surovikin sappia quello che fa, nel vedere come sta organizzando la difesa del fronte abbiamo la conferma che la situazione dell’esercito russo sia esattamente quella da noi descritta, e che quindi non consenta la messa in campo di un dispositivo difensivo come previsto dalla sua dottrina.
La scelta di Surovikin, per come la vediamo sul terreno, è per una difesa lineare, senza spazi vuoti fra i BTG, contraddistinta da fortificazioni campali permanenti che presuppongono l’impiego massiccio di fanteria leggera destinata a guarnirle da terra come nelle trincee della I Guerra mondiale.
Questo tipo di difesa è rigida, priva di flessibilità, richiede un elevato numero di soldati ma anche un addestramento limitato e un basso numero di veicoli da combattimento. Obbliga l’avversario ad attacchi frontali con un elevato tasso di perdite iniziali e consente in teoria la copertura dell’intero fronte prevenendo infiltrazioni ed attacchi di sorpresa.
Si tratta di una scelta tattica particolarmente idonea a terreni accidentati, quindi non ideale nella pianura sarmatica, ma ha il pregio di offrire una sorta di riparo invernale per i soldati migliore di quello offerto dalla difesa mobile, in quanto le trincee possono essere convenientemente attrezzate nel corso del tempo.
Considerate le controindicazioni per una difesa lineare, la decisione di Surovikin di optare per essa ci conferma come la Russia sia ora costretta a combattere con un esercito di bassa qualità, con una larga disponibilità di soldati poco addestrati ed un ridotto numero di mezzi da combattimento per la guerra mobile, e che questa sia una situazione destinata a protrarsi quantomeno per tutto l’inverno.
Una difesa lineare offre anche dei vantaggi accessori che si confanno alla situazione delle forze russe: la difesa “spalla a spalla” in trincea richiede una minore cooperazione fra Unità contermini e consente di schierare in difesa reparti poco amalgamati fra loro, come BTG veterani, compagnie mobilitate e milizie territoriali, politiche o perfino religiose dotate di motivazioni differenti fra loro. Il consumo di carburante è estremamente limitato e quello di munizionamento è ridotto per la mancanza di necessità di fuoco di interdizione.
Questo tipo di difesa, come sa bene chiunque abbia studiato la storia della grande Guerra, si presta a subire perdite elevate soprattutto fra le fanterie della prima linea; ma l’ampia disponibilità di rincalzi nelle retrovie assicura la possibilità di un rapido rimpiazzo dei caduti e quindi una certa sostenibilità della difesa.
Inoltre le poche unità mobili superstiti del “vecchio” esercito – soprattutto paracadutisti meccanizzati delle VDV e reparti mercenari Wagner – possono essere preservati e tenuti in riserva per contrattacchi locali dietro le linee difensive ed essere quindi impiegate nella maniera più confacenteal loro addestramento pre-24 febbraio.
La scommessa di Surovikin è di riuscire con questo tipo di manovra difensiva a contenere le operazioni controffensive ucraine per tutto l’inverno, logorando la loro superiorità numerica e cercando di flettere così la curva del Momentum nella speranza che in primavera-estate l’industria bellica russa sia in grado di rimpiazzare le perdite subite quest’anno in termini di veicoli corazzati e quindi di consentire una ripresa dell’iniziativa e delle operazioni offensive volte se non più a sottomettere Kyiv, almeno a convincerla ad un compromesso accettabile per Mosca.
Non è affatto detto che la scommessa si riveli vincente: ma evidentemente è quanto di meglio Surovikin possa offrire al suo Paese.
Si tratta di una situazione molto simile a quella già vista nel Golfo Persico degli anni ’80, durante la guerra fra Iran e Iraq. Una situazione in cui, grazie alle iniziative dell’orso Vladimiro, l’esercito russo somiglia più a quello degli ayatollah oggi suoi alleati, che non all’Armata Rossa di quegli stessi anni.
Orio Giorgio Stirpe
I punti rilevanti. L’alto ufficiale ha gestito il ritiro sulla riva orientale del Dnipro con ordine, evitando perdite pesanti (come il disastro avvenuto a Kharkiv). Ha organizzato difese migliori nel settore sud: alcune sono statiche (trincee, sbarramenti) ma gli stessi ucraini hanno riconosciuto che rappresentano degli ostacoli e sono utili agli occupanti per superare l’inverno. Ha sferrato la campagna di demolizione delle infrastrutture dell’Ucraina con raid precisi: gli ultimi, sabato, hanno colpito Kiev, ma anche Kharkiv nell’est e Odessa a sud, quest’ultima lasciata quasi completamente senza elettricità.
È una strategia, ricorda Dara Massicot, che prevede la disarticolazione della vita quotidiana di un Paese: dunque niente acqua e luce, attacchi a centrali, stazioni e uffici amministrativi, pressione per creare ondate di profughi e impedire al governo di gestire la situazione. Nei manuali russi questo tipo d’assalto è previsto all’inizio di un conflitto ma qui è stato rinviato perché il Cremlino pensava di dover governare l’Ucraina con un regime amico e dunque mettere fuori uso i network civili sarebbe stato un boomerang. I bombardamenti hanno saturato le difese nemiche, la resistenza ha consumato le sue scorte per intercettare la minaccia. È anche vero — aggiungiamo — che Kiev sta ricevendo dalla Nato molti sistemi per contrastare i colpi. Gran Bretagna, Francia, Polonia, Spagna, Stati Uniti, Norvegia ne hanno mandati e promessi, mezzi nuovi come i Nasams o i vecchi Hawks. Vedremo se basteranno.
La ricercatrice ritiene che, rispetto al passato, i report inoltrati da Surovikin al Cremlino siano più accurati e precisi, da qui la consapevolezza di Putin che la guerra richiede altro tempo: infatti il leader lo ha riconosciuto in pubblico. La sintesi di Dara Massicot è che non bisogna sottovalutare l’Armata e le mosse del generale, senza però escludere degli errori del Cremlino o dello Stato Maggiore, come ha fatto in precedenza. Il pensiero dell’esperta è un’osservazione realistica in parallelo a quelle più negative sullo «stato» degli invasori, con i noti riferimenti ai problemi dei riservisti, all’equipaggiamento insufficiente, all’alto consumo di armi di precisione, ai tanti caduti rispetto a risultati minimi. Già il fatto che Mosca avverta i cittadini su una missione di lungo termine è un segnale. Ma lo sono anche i danni senza fine sofferti dall’Ucraina che deve anche tener testa alla spinta nel Donbass, area di Bakhmut.
Andando oltre gli scenari, un paio di annotazioni sulle forniture. Il Marocco — secondo i media — è pronto a inviare Kiev pezzi di ricambio per i carri armati T 72, mossa auspicata da Washington. Sono componenti acquistate nel periodo 1999-2001 da Rabat in Bielorussia, Paese alleato degli invasori. Ma questi sono i «giri» delle armi. I russi, invece, hanno ripreso ad utilizzare i droni-kamikaze iraniani Shahed 136, assenti per qualche settimana: possibile che Teheran ne abbia spediti di nuovi in attesa di far arrivare anche dei missili. La collaborazione tra i due Paesi è in crescita. L’intelligence statunitense afferma che la Repubblica islamica sta per avere da Mosca i caccia Su 35E, possibile una coproduzione di velivoli senza pilota. Prove di amicizia concreta davanti a sfide comuni.