Ultime notizie

 

Conclusa l’analisi sulla “soglia del dolore”, in cui mi sono allargato a discutere di un problema sul quale non possiedo alcuna conoscenza accademica e parlando del quale ho sicuramente usato spesso un linguaggio non appropriato e di questo mi scuso, andiamo alla ragione specifica per cui ho deciso di affrontarlo.

 

Non si tratta semplicemente di spiegare le ragioni per cui gli ucraini non solo combattono con una motivazione tanto superiore ai loro avversari, ma sono anche così decisi a respingere qualsiasi trattativa che non preveda la liberazione totale del loro territorio; si tratta anche di analizzare la strategia per il proseguimento della guerra e per la sua conclusione.

 

Nelle ultime 48 ore l’Ucraina ha sferrato tre colpi in profondità in territorio russo, attaccando tre differenti basi aeree nemiche inclusa quella dove sono concentrati i bombardieri strategici russi: un po’ come se gli USA fossero stati colpiti nella loro base del SAC (Strategic Air Command).

Dal punto di vista tattico è interessante analizzare le modalità di attacco, apparentemente effettuato per mezzo di un vecchio drone da ricognizione sovietico riconvertito per missioni di bombardamento, e da quello operativo lo è ancora di più valutare la creatività e la perdurante capacità tecnica degli ucraini a dispetto dei bombardamenti che subiscono. Quello però che a me interessa discutere qui è l’aspetto strategico, e in particolare la scelta degli obbiettivi.

 

Le basi aeree non sono solo i luoghi di concentrazione degli aerei: sono anche i centri di Comando e Controllo che gestiscono le operazioni aeree, i depositi di armi, munizionamento e carburante degli aerei stessi, i locali di alloggiamento dei piloti e del personale di supporto, e i luoghi simboli della potenza militare di una Nazione. Ma non sono solo tutto questo: sono anche generalmente bersagli lontani dai centri abitati.

Attaccare una base aerea molto difficilmente produce danni collaterali, a meno che non si tratti di un aeroporto “dual-use” come lo era Panchevo a Belgrado: si tratta di un obbiettivo esclusivamente militare, incontestabile, che rende naturalmente impossibile avvertire come “ingiusto” dalla stessa popolazione nemica.

 

Chi ha seguito la parentesi sulla “soglia del dolore” avrà già capito: attaccare le basi aeree russe non innalza la “soglia” del popolo russo. Semmai innalza quella dell’umiliazione del Regime, e così facendo allontana il Regime stesso dal popolo, che invece assiste all’umiliazione della sua leadership senza condividerla se non in minima parte. Il Regime perde prestigio, e la Nazione si ritrova sempre più divisa, con una separazione crescente fra il vertice e la base.

Un modo intelligente di colpire in profondità, reagendo ai bombardamenti russi senza rischiare di esaltare il patriottismo russo.

 

Ben diverso sarebbe se gli ucraini, rabbiosi per gli attacchi subiti all’infrastruttura civile, reagissero attaccando in maniera simmetrica obbiettivi “dual use” in territorio russo, quali ad esempio (come proposto da molti) le centrali elettriche di Belgorod, Rostov, Briansk o delle altre località russe prossime all’Ucraina.

Sarebbeinutile, e anche stupido.

Sarebbe innanzitutto inutile, perché colpire le centrali elettriche ha senso se si colpiscono TUTTE le centrali di un Paese, annullando o riducendo di molto la produzione di energia. Colpire solo le centrali di una zona ristretta consente di rincanalare l’energia dal resto del Paese, e il risultato sarà minimo.

Sarebbe soprattutto stupido, perché come abbiamo visto il grande vantaggio dell’Ucraina in questa guerra è la sua unità di intenti a livello nazionale: il fatto che per l’intero Paese questa è una Guerra Totale. Governo, esercito e popolazione sono coesi nella lotta contro l’invasore.

In Russia non è così: il Governo è impegnato in una “sua” Guerra Totale dove impiega un esercito che combatte controvoglia e un insieme di milizie con motivazioni differenti fra loro, e la impone ad una popolazione che non se ne sente coinvolta. In Russia non esiste neppure l’ombra della coesione nazionale presente in Ucraina.

Il Regime ne è sempre più dolorosamente consapevole: per questo fin dall’inizio insiste sulla carta del “nazismo” ucraino e della “russofobia” occidentale per cercare di aizzare il patriottismo grande-russo. Per questo ha recentemente accelerato la macchina della propaganda, dove sui Media di Stato si insiste sulla storia secondo cui “se perdiamo finiremo tutti all’Aia, compresi i netturbini del Cremlino”. È in atto un tentativo disperato di indurre la popolazione a raggrupparsi intorno alla leadership nazionale come accadde nel 1941 intorno a Stalin: uno sforzo di coinvolgere anche i russi in una Guerra Totale, che non lasci il Regime da solo di fronte ad un’Ucraina unita sostenuta dall’ Occidente.

Per ora si tratta di un tentativo del tutto futile: le persone fuggite dalla Russia per sottrarsi alla mobilitazione sono dieci volte di più di quelle effettivamente mobilitate, e rappresentano la quota maggiormente istruita e più produttiva del Paese; nel frattempo secondo le rilevazioni interne russe rivelate da Meduza ormai oltre il 50% dei cittadini rimanenti si esprime per trattative di pace con l’Ucraina piuttosto che per la prosecuzione del conflitto, che è sostenuta da meno del 20%: un completo ribaltamento rispetto ad aprile, quando l’80% sosteneva la guerra… Purché chiaramente fosse combattuta dai militari a contratto dell’esercito regolare.

 

Questo sgretolarsi del sostegno al conflitto e questa crescente mancanza di coesione interna da parte della società russa costituisce la più grande debolezza dell’aggressore, ed è la ragione di fondo della mancanza di motivazione al combattimento dei soldati russi al fronte. Il Regime non riesce a rimediare a questa situazione, perché il supposto diffuso patriottismo dei russi si è rivelato sostanzialmente di facciata: semplicemente i russi non considerano il loro Paese a rischio e non vedono perché dovrebbero morire per una guerra che gratifica unicamente il loro autocrate.

Se però accadesse qualcosa che desse ai russi la sensazione della Patria in pericolo; se la guerra arrivasse a colpirli in casa, creando lutti percepiti come ingiusti e cominciasse a distruggere il mondo che li circonda, le cose potrebbero cambiare.

Una campagna di bombardamenti ucraini contro le città russe sarebbe moralmente comprensibile in quanto legittima rappresaglia agli attacchi indiscriminati dei russi in Ucraina. Ma i danni collaterali di una campagna contro le aree urbane russe, la distruzione di infrastrutture civili, le sofferenze inflitte alla popolazione degli oblast di frontiera o anche ai moscoviti, costituirebbero nel loro complesso altrettante spinte al ricompattamento nazionale intorno al Cremlino: spingerebbero la popolazione russa attraverso la sua “soglia del dolore” e darebbero all’orso Vladimiro quell’opportunità di avere finalmente la Guerra Totale contro l’Ucraina e contro l’Occidente che tanto anela.

 

Insomma: trovo che lo Stato Maggiore ucraino ancora una volta si comporti nel modo migliore, e che le loro procedure di targeting siano assolutamente adeguate alla dimensione del conflitto e agli strumenti disponibili. Ritengo ormai assodato che dispongano di una lunga lista di obbiettivi da colpire secondo un calendario flessibile ma dettagliato e con modalità di attacco diversificate ed efficaci. Continueranno a sorprendere noi e soprattutto i russi, indipendentemente dall’intensità della campagna missilistica contro le infrastrutture civili ucraine, colpendo sempre e solo obbiettivi militari che incidono direttamente sulle operazioni.

 

Capisco perfettamente lo stato d’animo degli ucraini quando si scagliano contro la Russia nel suo complesso per quello che sta facendo loro: è umanamente comprensibile, e perfino giustificabile. Però è sbagliato.

Non ne faccio una questione morale: non è questione di dire che “i bambini sono innocenti”, “i cittadini sono oppressi e non si rendono conto”, o peggio ancora “noi siamo migliori di loro”. No, ne faccio una questione militare: per vincere occorre separare progressivamente il Regime russo dalla popolazione su cui si appoggia, fino al punto di farlo cadere.

Per ottenere questo occorre scegliere di non criminalizzare l’intera nazione russa ma solo il suo Regime, indipendentemente da quanti cittadini russi siano da considerare oggettivamente complici passivi o meno dei crimini da esso compiuti.

Si fa presto a dire che i milioni di giovani fuggiti per evitare la mobilitazione avrebbero invece potuto ribellarsi: erano privi di qualsiasi organizzazione, di una leadership, di armi e di mezzi. Una massa di individui isolati non fa un esercito e non ha speranze contro un Regime poliziesco e autoritario: non si può chiedere a dei civili di trasformarsi per magia in eroi quale unica alternativa all’essere criminali.

L’Ucraina i suoi eroi li ha avuti: quei territoriali e quelle guardie nazionali che a febbraio hanno sostenuto il primo urto dell’esercito russo al massimo della sua potenza, che lo hanno assorbito e contenuto armati solo di fucili e di Javelin (e dei tremendi trattori ucraini!) di fronte a masse di carri armati come non se ne vedevano dal 1945. Ma erano pur sempre soldati, armati alla leggera ma pur sempre armati, inseriti in un’organizzazione efficiente.

La Russia di eroi ne ha pochi: gli studenti che si sono fatti arrestare nelle piazze, i dissidenti in galera, i giornalisti che cercano di raccontare la verità dall’esilio, i premi Nobel che cercano di testimoniare una Nazione diversa: tutti individui soli e disarmati.

Poi ci sono anche quelli che combattono al fianco dell’esercito ucraino; e ci sono i sabotatori che attaccano i depositi e i centri di reclutamento… Ci sono anche loro: sono russi e stanno dalla parte giusta.

Per loro è ancora più difficile che per i territoriali ucraini di febbraio.

Non ci scordiamo di loro, quando il regime cadrà.

 

Quando la Russia dell’orso Vladimiro non ci sarà più, ci sarà sempre una Russia; sarebbe bello se invece di una Nazione umiliata, emarginata e abbrutita, fosse invece la Russia di coloro che hanno scelto di stare dalla parte giusta fin da oggi.

Una Russia europea è difficile; forse un’utopia.

Ma lo era anche l’Unione Europea per cui combattono oggi gli Ucraini.

 

Orio Giorgio Stirpe