La settimana scorsa Putin ha preso parte a Yerevanalla sessione periodica del CSTO, il trattato di sicurezza collettiva creato dalla Russia con alcuni Paesi ex-URSS, spesso definito “la NATO dell’Est”. L’obiettivo principale della partecipazione al vertice per Putin era cercare di mantenere in esistenza la CSTO, da cui Armenia e Kazakistan hanno espresso l’intenzione di ritirarsi. Il vertice è stato per Putin uno degli eventi politici più indicativi di quanto la posizione internazionale della Russia si sia deteriorata a causa degli insuccessi militari in Ucraina.
Il punto infatti non è stato incentrato tanto sulle posizioni dei leader del Kazakistan e dell’Armenia, quanto sull’evidenteconsapevolezza comune dell’inevitabilità della sconfitta della Russia nella sua guerra in Ucraina, che pone fine a qualsiasi ragion d’essere dell’organizzazione.
Non si tratta tanto di indignazione per la violazione del diritto internazionale o di oltraggio per l’evidenza dei numerosi crimini di guerra commessi dagli invasori, quanto piuttosto di una fredda presa di coscienza sia della debolezza sistemica della Federazione Russa che delle sue tendenze aggressive nei confronti dei propri stessi vicini.
Da un lato l’Armenia ha dovuto prendere atto della totale mancanza di volontà e di capacità da parte russa di proteggerla dall’aggressione azera, in totale spregio dei suoi obblighi derivanti dallo stesso trattato CSTO; dall’altro il Kazakistan ha letto con stupore le dichiarazioni sui principali media di Stato russi secondo cui esso rappresenterebbe il “prossimo problema” di Mosca, a causa dei “nazisti” che ormai sarebbero in controllo del suo Governo… Considerata la presenza di una nutrita minoranza russa lungo la fascia di confine fra i due Paesi e le motivazioni addotte per l’aggressione all’Ucraina, appare naturale che le Autorità kazake vedano ora in Putin più che un alleato un potenziale nemico con il quale è meglio evitare di condividere informazioni nell’ambito di un’alleanza ormai priva di significato.
Se alle motivazioni eclatanti di Armenia e Kazakistan si aggiunge il recente conflitto di frontiera fra Kirghizistan e Tagikistan, che Mosca non è stata in grado di moderare, si vede come l’unico alleato relativamente “stabile” nel CSTO rimarrebbe la Bielorussia di Lukashenko, fra l’altro legata a Mosca dal cosiddetto “Stato dell’Unione” – un ulteriore patto teso a rafforzare i rapporti fra le due Nazioni.
Nel corso dell’incontro però lo stesso Lukashenko ha ribadito la dipendenza del destino della CSTO dalla situazione in Ucraina. Ma Lukashenko ha anche sorpreso Putin con un’altra frase apparentemente scherzosa, quando ha detto: “Non preoccuparti Volodya, sarò l’ultimo a lasciare la CSTO… O magari il primo!”.
La battuta ha fatto sorridere alcuni dei presenti, ma è opportuno ricordare che il dittatore bielorusso è un politico astuto, abituato a sopravvivere. In un contesto come quello attuale, dove la Russia ha cercato fin dal principio di coinvolgere Minsk nella sua guerra in Ucraina, e dove la Bielorussia ha fatto di tutto per tenersene fuori, l’adozione da parte del Parlamento europeo di una risoluzione che riconosce la Russia come uno stato sponsor del terrorismo ha di fatto moltiplicato per i membri del CSTO i rischi associati con il rimanere nella stessa organizzazione. Non a caso l’Armenia e il Kirghizistan hanno avviato un dialogo serrato con gli Stati Uniti, il Kazakistan ha richiesto garanzie militari alla Cina e il Tagikistan all’India, mentre tutti e quattro hanno aperto un dialogo di associazione economica con la EU che sembra presagire un ulteriore allentamento dei legami anche solo economici con la Russia di Putin.
Nessuno di questi Paesi può essere considerato una democrazia; le loro motivazioni pertanto vanno a maggior ragione lette come una fredda e oggettiva presa di coscienza dell’ineluttabilità della sconfitta militare russa in Ucraina, e pertanto della perdita di fiducia nella sua capacità di proteggere i Regimi vicini.
In questo contesto si inserisce lo scoop proveniente da un’agenzia americana, secondo cui i Servizi russi potrebbero essere sul punto di montare una complicata operazione in Bielorussia per intimidire o addirittura assassinare Lukashenko e garantire la fedeltà di Minsk allo “Stato dell’Unione”, magari fino al punto di spingerla a partecipare attivamente al conflitto.
Ci sono molte ragioni per considerare un tale scenario come fantapolitica internazionale. Innanzitutto appare del tutto irragionevole aggredire in un tale momento di difficoltà proprio l’unico alleato rimasto a Mosca; poi esiste una situazione di fatto per cui l’esercito russo è in difficoltà in particolare per la scarsità di forze sul campo, e il contendente in inferiorità numerica non ha mai la convenienza ad allargare il fronte: semmai è il contrario. L’esercito bielorusso poi è numericamente scarsissimo: dispone di cinque Brigate in tutto, di cui due leggere, e deve necessariamente sorvegliare oltre alla frontiera ucraina anche i confini con Polonia, Lituania e Lettonia, cioè con la NATO. Gran parte degli equipaggiamenti pesanti sono già stati confiscati o ceduti alla Russia, i soldati sono scarsamente addestrati e molto poco motivati, e soprattutto l’umore generale della popolazione bielorussa è decisamente dalla parte ucraina piuttosto che da quella russa. Una delle ragioni del completo fallimento dell’offensiva iniziale russa su Kyiv è dipesa dal sabotaggio delle ferrovie bielorusse attraverso cui viaggiavano i rifornimenti logistici, effettuato dallo stesso personale locale.
Insomma: un tentativo di costringere la Bielorussia ad una partecipazione attiva al conflitto nella migliore delle ipotesi risulterebbe inefficace, e nel peggiore porterebbe alla destabilizzazione dell’unico Regime amico della Russia. Questo è perfettamente chiaro a Lukashenko, che da perfetto volpone della politica si è prodotto in un’azione da vero equilibrista diplomatico per mantenersi formalmente leale a Putin senza però lasciarsi coinvolgere direttamente nelle operazioni militari.
Sarebbe quindi perfettamente ragionevole scartare ogni ipotesi aggressiva da parte russa nei confronti del traballante Regime bielorusso come pura propaganda di origine ucraina tesa appunto a screditare ulteriormente Lukashenko e addirittura a dirottare forze russe in Bielorussia per supportarlo.
Il fatto è però che neanche ventiquattr’ore dopo questo lancio di agenzia, il Ministro degli Esteri bielorusso è stato trovato morto. La sua salute era ottima, aveva appena partecipato sia al vertice di Yerevan che ad altri eventi politici a Minsk, e soprattutto era considerato tanto il “delfino” più probabile di Lukashenko, quanto una delle poche figure del Regime non legate direttamente a Mosca. Insomma, il suo omicidio appare esattamente la messa in pratica di quanto ventilato da queste voci apparentemente infondate.
L’Ucraina non è certo innocente nella guerra di propaganda parallela al conflitto armato che infuria sul suo territorio: l’attività di controinformazione ucraina è poca cosa a confronto di quella russa, ma è sicuramente intensa e ben studiata, e ci sono anche alcuni casi ancora da chiarire come l’omicidio Dugina che alcune fonti americane parrebbero far risalire effettivamente ai Servizi ucraini. Di qui la possibilità che l’intero scenario sia stato messo in atto dall’SBU ucraino per destabilizzare il Regime di Minsk e provocare una “Maidan” bielorussa capace di portare al potere un Governo amico nel Paese confinante, legato all’opposizione in esilio e all’Occidente.
Questa ipotesi però andrebbe a contrastare con la dichiarazione di Lukashenko stesso a Yerevan, che implicherebbe o una incredibile coincidenza oppure addirittura una connivenza dello stesso Lukashenko con il complotto ucraino.
Il vero problema per l’analista è che il Regime russo nell’ultimo anno ci ha abituato ad iniziative apparentemente del tutto irragionevoli o addirittura autolesioniste. La stessa aggressione all’Ucraina a febbraio appariva ai più (compreso chi scrive) del tutto improbabile proprio a causa dell’evidente insufficienza delle forze schierate per effettuarla; insufficienza poi puntualmente dimostrata sul campo, ma che evidentemente non era stata rilevata dal Regime stesso a causa dei suoi bias ideologici e concettuali.
L’abbandono dell’Armenia di fronte all’aggressione azera (a fronte del recupero di un’unica Brigata da gettare inutilmente nel tritacarne di Bakhmut) e le aperte minacce al Kazakistan non potevano non condurre ad un dissolvimento del CSTO e quindi ad un ulteriore caduta del prestigio non solo militare ma anche politico dell’orso Vladimiro: eppure questi ha scientemente deciso di perseguire queste linee d’azione irragionevoli e autolesioniste.
Non si può quindi affatto escludere che ne ponga in essere altre in futuro; per esempio in Bielorussia.
Orio Giorgio Stirpe