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Mi riaggancio a quanto detto nell’ultimo articolo, dove ho parlato della viltà che per molti è stata elevata a virtù in modo da tenersi lontani da quei problemi che richiedono coraggio; per esempio il problema di aiutare una Nazione libera che è stata aggredita perché vuole provare ad essere simile a noi e a condividere il nostro modo di vivere e i nostri valori.

Uno degli aspetti che mi colpiscono maggiormente di questa tendenza al distacco da un conflitto che ci coinvolge direttamente ma dal quale tanti cercano disperatamente di distanziarsi perché crea loro disagio, è l’insistenza sul concetto di “neutralità”.

A parte l’infantile tentativo di attaccarsi al famigerato e mal compreso Articolo 11 della Costituzione senza neppure leggerlo tutto, esiste un istinto irrazionale di attaccarsi all’idea che se si è “neutrali” si possa rappresentare la figura del mediatore onnipotente che pone fine al conflitto con una sorta di mediazione miracolosa.

Si tratta di una sciocchezza, perché ovviamente un mediatore non fa miracoli ma può solo facilitare un dialogo fra due contendenti che accettano di discutere. A parte il fatto che i due contendenti non ne vogliono sapere di parlarsi in quanto entrambi pretendono dall’altro delle condizioni preliminari che non sono oggettivamente all’ordine del giorno (la Russia pretende concessioni territoriali e l’Ucraina il ritiro completo degli invasori), il mediatore per essere tale dovrebbe essere del tutto estraneo al conflitto, e noi non lo siamo.

Non siamo estranei non solo in quanto il Governo e il Parlamento nazionali si sono chiaramente espressi in favore di una parte e contro l’altra, e concorrono nell’ambito delle alleanze vigenti al sostegno dell’Ucraina aggredita, ma soprattutto in quanto gli ucraini si battono espressamente in difesa del loro diritto di aderire al nostro sistema di alleanze e di valori, e lo fanno sventolando la nostra comune bandiera europea.

 

I più accesi neutralisti hanno tutto il diritto di non essere d’accordo su questo fatto, ma non possono nemmeno ignorarlo solo perché non gli garba. Non possono nemmeno dire che si tratti di una situazione antidemocratica, perché mai nella storia un conflitto è stato deciso in seguito ad un referendum vinto all’unanimità: a decidere è il Parlamento, e lo fa a maggioranza. La minoranza fa opposizione, ma non può limitare la legittimità democratica di quanto deciso dalla maggioranza.

La posizione di chi si oppone, magari dicendo “non in mio nome” relativamente agli invii di materiale militare o al sostegno finanziario a Kyiv, è indubbiamente legittima in un regime democratico, ma è una posizione di minoranza a fronte delle decisioni di un Parlamento fra l’altro appena rinnovato non solo in Italia ma nell’intero Occidente.

 

Senza scendere ulteriormente in un dibattito abbastanza sterile circa il valore etico di queste posizioni neutraliste – che in quanto militare non mi compete – vorrei però focalizzare il discorso su coloro che, come me, si piccano di possedere un’esperienza professionale tale da considerarsi a torto o a ragione degli analisti di settore.

Molti fra coloro che hanno un atteggiamento critico rispetto alla posizione “atlantica” del Governo italiano e dell’intera EU, tendono a rimarcare quasi con orgoglio professionale la loro posizione “neutrale” nella loro analisi critica degli avvenimenti sul campo, come se questa rappresentasse un valore aggiunto nell’analisi stessa.

Il commento nel quale spesso incorro da parte loro circa i miei articoli è che io sarei “partigiano” nella mia visione del conflitto, in quanto nei miei scritti traspare chiaramente il sostegno alla parte ucraina.

 

Questo fatto mi costringe ad una riflessione che potrà sembrare dura, e me ne scuso con chi potesse non condividerla.

Non c’è dubbio che io sia “partigiano”, e lo dichiaro con orgoglio. Io sono un soldato italiano, ho prestato un giuramento che non cessa di validità all’atto del congedo, e non solo intendo ma sono anche costituzionalmente tenuto a sostenere lealmente le parti rappresentate legittimamente dallo Stato italiano e dal sistema di alleanze di cui questo è parte. Qualora non concordassi con esse potrei dichiararlo liberamente, ma in ogni caso non potrei agire in contrasto con gli intenti delle Istituzioni che ho giurato di sostenere e proteggere, e quindi non potrei andare oltre una semplice dichiarazione di dissenso.

È la posizione dell’Ucraina a coincidere con quella occidentale, della NATO, della EU e quindi anche dell’Italia, ed è per questo che io appaio partigiano nel sostenere la parte ucraina. La posizione per cui si rispettano il Diritto Internazionale e l’integrità territoriale delle Nazioni, i Parlamenti determinano la collocazione nazionale nell’ambito delle Alleanze, l’autodeterminazione dei popoli si determina pacificamente in base alle leggi vigenti e i trattari internazionali si rispettano,è la posizione che corrisponde a quanto sancito dalla Costituzione italiana e che quindi coincide con quanto mi sento di sostenere io e rivendico il diritto di essere “partigiano” nel farlo.

Ma soprattutto, non c’è proprio niente di “nonprofessionale” nel farlo.

 

Sono stato un analista operativo per quasi tutta la mia carriera militare, e ho condotto analisi operativa con continuità, indossando un’uniforme che mi rendeva automaticamente parte di un’alleanza contrapposta ad un avversario, reale o fittizio che fosse a seconda del momento, e questo non ha mai reso la mia analisi meno professionale.

Questo naturalmente vale per tutti i miei colleghi in ogni esercito del mondo: siamo tutti “di parte”, ma sostenere lealmente le ragioni della nostra Alleanza non inficia il nostro giudizio professionale. Accusare chi ha una posizione precisa a fronte del conflitto di “wishful thinking” quando dalla sua analisi emerge un giudizio teso a porre in risalto il vantaggio della propria parte è un banale tentativo di screditare la sua analisi, esattamente come lo sarebbe accusarlo di disfattismo nel momento in cui il suo giudizio risultasse negativo per la sua parte.

Il fatto che il mio giudizio dall’inizio del conflitto ad oggi sia stato quasi costantemente critico nei confronti della Russia e positivo circa le prospettive dell’Ucraina dipende semplicemente dal fatto che dall’inizio di marzo ad oggi ho identificato sul campo un Momentum favorevole al Tridente e decisamente negativo per la Stella Rossa.

Si tratta di un giudizio professionale relativo a quanto posso vedere svilupparsi sul campo dal punto di vista militare. Il fatto che questo coincida con il giudizio etico che mi sento di poter fare in quanto essere umano e cittadino mi conforta, ma non è parte della mia analisi militare.

 

Al contrario, il voler sempre dare un colpo al cerchio e uno alla botte nei propri giudizi circa la situazione sul campo, l’eterno dubbio di poter sottovalutare uno dei contendenti, la caparbia ostentazione di equidistanza nell’analisi di un fenomeno tipicamente umano come una guerra – dove l’equidistanza assoluta è oggettivamente impossibile proprio in quanto fenomeno umano che quindi ci coinvolge in quanto tale – sono tutti atteggiamenti che portano a sterilizzare la propria analisi e a renderla sostanzialmente inutile.

 

Per queste ragioni, il mio giudizio professionale rimane sempre lo stesso.

La Russia ha cominciato a perdere militarmente la guerra a partire dal 24 febbraio, quando l’ha iniziata godendo di un vantaggio enorme in termini di potenziale militare ma in seguito ad una pianificazione completamente errata tanto sul piano concettuale che su quello organizzativo; ha condotto il conflitto in contrasto con la propria stessa dottrina come se si trattasse di una questione più politica che militare contro un avversario militarmente molto più motivato, per cui la curva del Momentum ha indicato fin dall’inizio in maniera inequivocabile una costante diminuzione del potenziale militare russo a fronte di una crescita lenta ma costante di quello ucraino, fino al punto in cui è avvenuta la culminazione dello sforzo offensivo, e la Russia ha perduto l’iniziativa.

La situazione sul campo è ora tale che la Russia è irrimediabilmente sulla difensiva, e la sua unica prospettiva è di riuscire a stabilizzare il fronte nella speranza che l’azione politica riesca ad interrompere la crescita del potenziale militare ucraino prima che questo sia tale da consentire una controffensiva tale da ripristinare il confine internazionalmente riconosciuto, atto che sancirebbe anche politicamente la sua completa sconfitta.

La devastazione inflitta all’infrastruttura civile ucraina non ha alcun effetto sulla situazione militare, ma ha lo scopo di facilitare l’azione politica volta a fermare il sostegno occidentale cha a sua volta alimenta la crescita del potenziale militare ucraino.

 

In conclusione, qualsiasi azione volta ad ostacolare il sostegno occidentale all’Ucraina risulta concorrente al bombardamento dell’infrastruttura civile ucraina e rappresenta un diretto sostegno in favore dell’orso Vladimiro.

Questo è il risultato di un’analisi militare professionale e oggettiva, indipendentemente dal fatto che io sono e rimango un convinto “partigiano” del mio Paese, dei suoi valori fondanti, e del sistema di alleanze a cui liberamente appartiene e a cui intende altrettanto liberamente appartenere anche l’Ucraina.

 

Orio Giorgio Stirpe