Quando in guerra il nostro nemico fa qualcosa di completamente diverso da quello che ci aspettiamo, i casi sono tre: o è molto più furbo di noi, o è molto più stupido, oppure la sua percezione della situazione è molto differente dalla nostra.
Quando si parla di un conflitto fra Nazioni, i primi due casi sono piuttosto improbabili in quanto il numero di specialisti coinvolti nella decisione è tale da prevenire casi estremi da entrambe le parti; quindi nella realtà la maggior parte del lavoro di un analista intelligence consiste nel decifrare il modo in cui il nemico percepisce la situazione del conflitto e quindi come reagirà ad essa.
Quando la visione del nemico differisce considerevolmente dalla nostra, può diventare frustrante presentarla all’attenzione della propria parte, perché si ricevono i tipici commenti di chi vede le cose da una prospettiva differente: per chi ascolta è un po’ come se il punto di vista dell’avversario esposto dall’analista fosse quello dell’analista stesso…
Per questa ragione spesso l’analista finisce con l’essere più tollerante di altri rispetto al punto di vista dell’avversario.
Mi rendo conto nel presentare i miei articoli sull’andamento del conflitto che molti si sentono estremamente coinvolti nella situazione: vedo che ci sono molti cittadini ucraini fra chi legge (li saluto e auguro loro giustizia), e ci sono anche diversi italiani con vita, affetti e interessi in Ucraina (saluto anche loro e gli auguro la migliore fortuna); poi ci sono moltissimi che semplicemente seguono il conflitto dall’Italia con interesse ed indignazione. Fra questi ci sono veri e propri partigiani, e questo di per sé non è né strano né sbagliato: è semplicemente umano.
Alcuni a volte tendono ad eccedere nella virulenza dei loro commenti, e a questi chiedo per cortesia di volersi controllare: ci tengo a che questa bacheca rimanga uno spazio informativo aperto ad un dibattito serio e non da stadio. I miei sentimenti di italiano, di europeo e di occidentale sono chiaramente rivolti all’Ucraina e alla sua lotta per la libertà e l’autodeterminazione, ma questo non significa odio indiscriminato nei confronti dei russi in generale o di tutto ciò che anche lontanamente odori di Russia.
Vedo che la bacheca è spesso infiltrata da sostenitori del campo opposto, e che questo genera reazioni anche violente. Ci tengo a puntualizzare che ci sono due tipi di questi interventi: alcuni sono veri e propri agenti provocatori, che si infiltrano con profili finti o clonati da gente che non li usa da anni, e che cercano di ottenerel’oscuramento automatico della bacheca per blocco di sicurezza da parte di FB laddove riuscissero a indurre me ad una risposta violenta proporzionata alla loro provocazione… Costoro intervengono con argomenti standard come la provetta di Colin Powell, il bombardamento di Belgrado o i presunti “massacri nel Donbass” e hanno un linguaggio provocatorio: vanno ignorati completamente, senza nemmeno essere considerati persone vere (spesso non lo sono neppure). Appena me ne accorgo, provvedo a bannarle. Poi però ci sono anche coloro che hanno semplicemente una diversa percezione della situazione reale rispetto alla nostra, e che intervengono in maniera compita cercando un confronto: queste persone sono ospiti della mia bacheca, e mi aspetto che siano trattate civilmente.
In questa mia richiesta esiste un aspetto puramente etico che se vogliamo dovrebbe ricordarci che questo conflitto vede contrapposte democrazia e autoritarismo, e in democrazia (la parte che consideriamo “nostra”) il dissenso è tutelato per principio; ma esiste anche un aspetto pratico, legato appunto alla comprensione del punto di vista avversario. Capire come la pensa la parte opposta aiuta a ragionare, ad affinare la propria posizione, e a volte anche a correggere quella altrui.
Saper dialogare civilmente è un’arma tipica delle democrazie, e va usata.
Negli articoli recenti ho cercato di spiegare in diversi momenti l’organizzazione e il modo di pianificare e di operare delle forze contrapposte, i loro mezzi e le loro armi (quelle sì, con capacità “cinetica” e quindi letale).
Mi rendo però conto che non tutti comprendono a priori la differenza fra un BTG e una Brigata, o fra un’Unità meccanizzata e una motorizzata; forse è il caso di provare ad offrire una rapida spiegazione.
In tutti gli eserciti l’elemento di base è la “squadra”: un gruppo di una decina di uomini (variabile da otto a dodici a seconda delle organizzazioni), che risale storicamente addirittura al “Contubernum” delle legioni romane, cioè gli uomini che condividevano la tenda e il rancio oltre a operare insieme. Al disopra della squadra l’organizzazione è genericamente ternaria (a volte binaria o anche quaternaria, ma non voglio scendere in dettagli eccessivi): tre squadre più il comandante formano un plotone di circa trenta uomini; tre plotoni più il comandante (e dei supporti) formano una compagnia di poco più di cento uomini; tre compagnie più il comandante (e ancora più supporti) formano un battaglione, che quindi viene ad essere come minimo intorno ai cinquecento uomini.
Il battaglione costituisce sia in Occidente che in Russia l’elemento che esegue la manovra sul campo, e pertanto il modo di manovrare e di organizzare i battaglioni caratterizza la dottrina tattica di un esercito. Tre battaglioni normalmente costituiscono una Brigata che quindi tende ai tremila uomini ma può arrivare facilmente a cinquemila con i suoi supporti.
Richiamando il “Triangolo Decisionale”, un battaglione è particolarmente efficiente in tempo di pace se i suoi elementi sono tutti uguali e quindi più facili da mantenere e addestrare (per esempio tutte e tre le sue compagnie sono di carri armati); in tempo di guerra però è più efficace se dispone di elementi differenziati fra loro (per esempio se al posto di una compagnia carri ce n’è una di fanteria meccanizzata), il che però rende il mantenimento e il supporto più difficile. Soprattutto i battaglioni “pesanti” impiegati per le manovre più importanti di solito si integrano scambiandosi a vicenda le compagnie carri e meccanizzate, diventando più versatili ed efficaci a scapito dell’efficienza nel mantenimento.
I russi in particolare nella loro dottrina più recente hanno ulteriormente rafforzato il concetto, aggiungendo ai battaglioni in operazione ulteriori elementi, quali compagnie del genio e batterie di artiglieria, controcarri e contraeree. In questo modo hanno creato quelli che si chiamano “Battalion Tactical Group” o BTG: si tratta di battaglioni particolarmente robusti che controllano direttamente quei supporti tattici quali l’artiglieria o il genio che normalmente in Occidente si tende a lasciare sotto il controllo della Brigata. Questo in teoria consente al Comandante di battaglione una maggiore autonomia tattica e potenza di fuoco, ma complica anche enormemente il suo problema logistico e di coordinamento con gli altri battaglioni che operano al suo fianco.
In Occidente la Brigata garantisce ai suoi tre battaglioni subordinati il supporto di fuoco d’artiglieria e il supporto logistico, garantendo anche il coordinamento fra loro; nel tentativo di risolvere il vecchio problema della mancanza di iniziativa da parte dei Comandanti subordinati, i russi hanno spinto i supporti tattici verso il basso lasciando alla brigata praticamente il solo coordinamento e sostegno logistico.
Questo però ha dimostrato di funzionare solo fintanto che la manovra sul campo segue esattamente la pianificazione originaria; appena la situazione si discosta da quanto pianificato, il coordinamento salta e il sostegno logistico va in crisi.
E qui torniamo alla percezione della situazione, che può apparire molto diversa a seconda di come la si osserva e da dove.
Siccome la pianificazione iniziale deve essere estremamente complessa per garantire il coordinamento e il sostegno logistico fino ai BTG, molto spesso i russi tendono a forzare le cose mantenendo la pianificazione originale ed ignorando lo scostamento fra questa e la situazione reale. Osservando le cose da parte occidentale, in questo modo sovente la manovra russa tende ad apparire sempre più difficile da comprendere, proprio in quanto dal nostro punto di vista non risponde più ai requisiti della situazione operativa.
Insomma: spesso i soldati dell’orso Vladimiro tendono a comportarsi proprio come lui: come se operassero in una “realtà alternativa” da loro auspicata ma differente da quella che osserviamo noi sul campo di battaglia.
Questo rende difficile comprendere la loro percezione della situazione, e ancor più prevedere le loro mosse future sul campo.
Anche per questo è meglio lasciare la lettura delle operazioni militari agli esperti del settore.
Orio Giorgio Stirpe