L’attacco al ponte di Kerch è stato un affronto.
Per una mentalità mafiosa, gli affronti vanno lavati nel sangue. E la mentalità di un autocrate è mafiosa. Mafiose sono le pretese di “rispetto”, la distinzione fra interlocutori “veri” oppure “dimezzati” (le “Potenze” e le “Colonie” di Putin non possono non ricordare i “veri uomini” e i “quaquaraquà” del “Giorno della Civetta”), le minacce velate e le esigenze di rappresaglie spettacolari.
Nell’ambito di un conflitto armato convenzionale, le rappresaglie devono necessariamente assumere l’aspetto di “escalation”, altrimenti non sortiscono l’effetto intimidatorio desiderato. Il problema di Putin con il caso dell’attacco al ponte, è che non sa come condurre l’escalation desiderata perché ormai è a corto di opzioni militari.
Lo è da tempo, e questo gli genera frustrazione, anche perché i suoi accoliti più fedeli e abituati a compiacerlo evidenziando idee e propositi che sanno appartenergli, continuano a reclamare a gran voce di “togliersi i guanti e fare sul serio”… Che è esattamente quello che vorrebbe fare, solo che i “guanti” se li è tolti da un pezzo e ormai a fare sul serio sono più i suoi avversari che non i suoi uomini sul terreno.
Esclusa l’opzione nucleare per le ragioni già richiamate innumerevoli volte, ormai non rimane altro da fare che proseguire con le modalità già in atto, che sono le più violente possibili per il malandato strumento militare russo.
Nella sua frustrazione, l’autocrate-padrino ha ordinato una serie di attacchi terroristici sulle città ucraine, che non ne subivano più ormai da un paio di mesi.
Il motivo per cui queste città – peraltro già tutte attaccate in passato – non subivano più attacchi non era che i russi avessero deciso di limitarsi per ragioni de-escalatorie, ma perché stavano rapidamente rimanendo senza munizioni.
Come già innumerevoli volte, Putin ha deciso di prevaricare i suoi generali che cercavano di risparmiare i pochi missili rimasti e di ordinare una raffica di bombardamenti non pianificati sulle aree urbane, chiaramente senza bersagli militari specifici, allo scopo di rispondere all’affronto dell’attacco al “suo” ponte.
Il risultato di questi bombardamenti sarà di causare ulteriori perdite alla popolazione civile, di indurire ulteriormente lo spirito degli ucraini, di infangare ancor più l’onore e il prestigio militare russo, e di ridurre ulteriormente le disponibilità di missili a medio e lungo raggio disponibili, senza ottenere in cambio alcun vantaggio militare.
La domanda che sorge spontanea a un qualsiasi osservatore intelligente anche se privo di competenze militari è perché quegli stessi missili non siano invece stati impiegati per colpire le forze militari ucraine che impegnano quelle russe intorno a Kherson, quelle che difendono Bakhmut dai gruppi Wagner, o meglio ancora quelle che continuano ad avanzare nel nord verso Svatove.
La risposta è che mentre per il bombardamento terroristico di una città basta conoscerne le coordinate geografiche generiche, per colpire un’unità militare occorre conoscerne la posizione precisa al metro; e le forze russe non hanno la capacità di rilevare ed utilizzare le coordinate di precisione.
È triste, ma è così…
Ancora più triste è che qualcuno avrà ancora il coraggio di dire che Putin “si è limitato” nei suoi attacchi, perché non è passato alle armi nucleari. Il bombardamento indiscriminato di condomini civili è visto da alcuni come una “risposta limitata” da parte di un leader intento ad evitare danni ai civili anche se è costretto a rispondere alle azioni irresponsabili di qualcuno che ha colpito il suo ponte preferito… Ponte che per le leggi internazionali è un obiettivo di gran lunga più legittimo di un condominio residenziale.
Già, perché nonostante tutto, è ancora viva l’opinione di alcuni secondo cui i russi stanno evitando coscientemente di fare gli stessi danni che invece gli americani farebbero normalmente nelle “loro” guerre, come a Belgrado o a Kabul.
Peccato che a Belgrado non siano stati distrutti condomini, e che Kabul non sia stata bombardata del tutto dagli americani, ma che sia stata liberata intatta come Baghdad, e che il loro ingresso in tali capitali sia avvenuto in mezzo a folle festanti come riportato da giornalisti di tutto il mondo. I danni sono venuti più tardi, in successivi scenari asimmetrici che comunque non hanno mai visto bombardamenti indiscriminati di aree urbane.
Il fatto è che la violenza dell’autocrate, come quella del padrino, non è oggetto di critica: loro sono i cattivi, e quindi per chi è abituato a portargli rispetto non ha senso criticarli. La critica va riservata a chi – opponendosi alle pretese di rispetto – provoca la loro naturale reazione.
Si tratta di unatteggiamento assimilabile a quello di chi protegge gli animali selvatici: il lupo e l’orso vanno rispettati nella loro ferinità, evitando di provocarli e lasciandoli andare per la loro strada… Pazienza se ogni tanto si portano via una pecora o due. Se invece li si provoca, è normale che reagiscano, magari facendo anche del male a delle persone.
Questo naturalmente è un discorso validissimo: punta al mantenimento dell’ecosistema, alla difesa di animali a rischio estinzione (le pecore non lo sono), e ovviamente dipende dal fatto che con l’orso o con il lupo non è possibile discutere.
D’altra parte è anche vero che – quando la fiera, provocata o meno, attacca un essere umano – dopo viene abbattuta.
Le analogie andrebbero seguite fino in fondo…
Chi considera una “provocazione” quanto fanno gli ucraini per difendersi dall’aggressione, compreso l’attacco al ponte di Kerch, in larga parte non lo fa per affetto o ammirazione per Putin: questo è un fatto. Ci sono sicuramente i servi innamorati del cattivo (i “minions”), che giustificano ed esaltano tutte le sue azioni a prescindere, ma per fortuna sono una minoranza; la vasta maggioranza dei critici di Zelensky sono persone spaventate, che sanno pensare ad una cosa sola: la Bomba. Queste persone vivono ormai nell’incubo che il cattivissimo, provocato in maniera irresponsabile, impazzisca e decida per rabbia di distruggere il mondo, e loro con esso.
Non tornerò sulle ragioni per cui questa eventualità sia estremamente improbabile e non dovrebbe condizionare le nostre scelte: mi sono stancato di farlo, e soprattutto continuare a parlarne fa esattamente il gioco dell’autocrate-padrino.
Quello che mi colpisce, abitando largamente all’estero e spostandomi di frequente, è che questa paura quasi irrazionale alberghi soprattutto se non quasi esclusivamente in Italia.
Mi sorge quindi il dubbio del perché.
Non è che l’Italia sia più esposta alle rappresaglie nucleari dell’orso Vladimiro rispetto alla Norvegia o alla Danimarca, e sicuramente lo è di meno rispetto alla Francia o alla Germania, per non parlare naturalmente della stessa Ucraina. Né è ragionevole pensare che gli italiani siano maggiormente informati o abbiano una consapevolezza maggiore rispetto a tutti gli altri europei.
Ma allora, perché in Italia c’è tutta questa paura che non trova riscontro nel resto d’Europa?
Mi secca moltissimo, ma temo di dover tornare all’analogia autocrate-padrino.
In Italia siamo condizionati in maniera vergognosa dal modo di pensare mafioso, e una larga fascia di popolazione continua a pensare dentro di sé che l’unico modo di trattare con la mafia è conviverci, cercando di ignorarla piuttosto che combatterla; perché porgere al padrino un minimo di rispetto è più semplice e sicuro che non provocarlo.
C’è una fascia di popolazione che pensa ancora che il nemico non siano i mafiosi, ma i Carabinieri che cercano di combatterli.
Sono un militare, e sono figlio di un Ufficiale dei Carabinieri: io di questa gente mi vergogno, esattamente come mi vergogno che nel mio Paese ci sia la mafia.
La paura si combatte con il coraggio. Scegliere coscientemente di vivere nella paura significa essere vigliacchi.
L’orso Vladimiro adora i vigliacchi, e prospera su di essi. Esattamente come la mafia.
Orio Giorgio Stirpe