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Se qualcuno ancora aveva dei dubbi, ormai è chiaro: le Forze Speciali ucraine sono presenti, insediate e attive in Crimea.

L’attacco al ponte di Kerch è stato eseguito in maniera magistrale, dimostrando capacità intelligence, di pianificazione e e di esecuzione altamente professionali, nonché disponibilità di materiale tecnologicamente avanzato.

Un camion-bomba (non è chiaro se guidato da un autista inconsapevole o telecomandato) è stato fatto esplodere nel punto esatto e con la potenza giusta per spezzare l’arcata del segmento stradale del ponte; ma l’esplosione è anche stata effettuata nel momento tale da provocare l’esplosione per simpatia dei serbatoi di carburante del treno che procedeva in contemporanea sul parallelo segmento ferroviario, in modo da danneggiare seriamente anche quello.

 

Un’azione così complessa richiede l’intervento di un Gruppo Operativo di Forze Speciali pesantemente supportato da assetti di ricognizione strategica e da personale locale della Resistenza, e s’inquadra chiaramente nella campagna di sabotaggio avviata da più di un mese in Crimea per recidere le linee di supporto logistico russe che sostengono a fatica lo sforzo militare nel sud dell’Ucraina.

Il ponte di Kerch non è distrutto: tutt’altro. Il genio militare e la protezione civile russa saranno in grado di rimettere il tracciato ferroviario in condizione di funzionare seppure in condizioni di emergenza nel giro di pochi giorni. Ma il ponte stradale appare del tutto reciso, e sarà necessario impiegare materiale da ponte d’emergenza per poterlo ripristinare… E comunque risulterà estremamente vulnerabile ad attacchi missilistici successivi. Il colpo alla logistica russa – oltre che al prestigio di Putin, che fra l’altro celebrava ieri il suo compleanno – è grave.

 

Il ponte di Kerch non è solo il simbolo dell’annessione russa della Crimea: è anche un assetto fondamentale dello sforzo bellico russo nel sud ucraino.

Come abbiamo ricordato più volete, il grosso della logistica russa funziona per ferrovia. Carburante, munizioni, materiale bellico e mezzi pesanti raggiungono il fronte dalle regioni più lontane della Federazione per treno, vengono scaricati il più avanti possibile e poi proseguono per il tratto più corto possibile su camion. Questo significa che lo sforzo militare russo e le direttrici della manovra dipendono dal tracciato della rete ferroviaria che la manovra stessa deve supportare.

Ora, l’andamento del fronte è tale che non esistono linee ferroviarie in grado di supportare il settore più occidentale del fronte meridionale (per intenderci: la zona di Kherson) passando lungo la costa: dopo Mariupol la linea esistente devia verso nord verso Zaporizhzhya e il territorio tenuto dagli ucraini. Il percorso per i camion dall’ultima stazione al fronte è di diverse centinaia di chilometri, e la flotta di camion russi è estremamente malandata, obsoleta e numericamente insufficiente.

L’unica linea ferroviaria che dalla Russia conduce a Kherson è appunto quella che passa per il ponte di Kerch: reciderlo significa strozzare definitivamente non solo la Crimea in quanto tale, ma anche il sostegno logistico della testa di ponte di Kherson.

 

Come abbiamo detto, il ponte potrà essere riparato, almeno questa volta. Però le riparazioni richiederanno tempo e gli ucraini avranno una finestra di opportunità per eseguire operazioni nel sud nella consapevolezza che i russi avranno ancor meno rifornimenti del normale.

Inoltre ora la Russia dovrà devolvere consistenti assetti del genio e di sicurezza per proteggere il ponte da nuovi attacchi, e il morale della popolazione russa in Crimea rischia di collassare del tutto.

 

Una situazione del genere cosa lascia supporre per il futuro prossimo?

La risposta più ovvia è che gli ucraini si preparano ad uno sforzo addizionale sul fronte meridionale, dove ora i russi operano letteralmente “in apnea” dopo essere stati in seria difficoltà operativa già per diverse settimane.

La risposta meno ovvia è quella opposta: siccome i russi si renderanno conto anche loro dell’ovvia conseguenza operativa dell’attacco al ponte di Kerch, si affanneranno non solo a ripararlo ma anche a convogliare rinforzi e rifornimenti verso Kherson spremendo al massimo le loro possibilità di trasporto ruotato per evitare il collasso della testa di ponte. Questo ovviamente offrirà agli ucraini la possibilità di colpire con gli HIMARS le colonne di camion che affolleranno le strade intorno a Melitopol dirette a Kherson, offrendo ottimi bersagli all’individuazione da parte della Resistenza e dei nuclei di osservatori delle Forze Speciali.

Il fatto poi che i russi saranno costretti a dirottare a sud le loro scarse risorse logistiche e le loro ancor più scarse riserve operative, lascerà ancora più sguarnito il settore nord del fronte, dove l’avanzata ucraina a nord di Lyman prosegue ostacolata più dal fango che dal nemico. L’ulteriore indebolimento russo nella zona offrirà agli ucraini la possibilità di massimizzare i loro guadagni minimizzando le perdite nel tentativo di avvolgere Severodonetsk dal nord e stabilire un fronte difensivo idoneo a sostenere l’inverno.

 

In termini più strategici, l’operazione di sabotaggio del ponte di Kerch indica come lo Stato Maggiore ucraino stia operando in base ad una pianificazione a lungo termine e ad ampio raggio, chiaramente rivolta a respingere i russi da TUTTI i territori occupati. Il generale Zaluzhny non sta improvvisando, ma segueun calendario operativo ben preciso che scandisce le operazioni militari da effettuare in successione in base ad un piano redatto allo scopo di indebolire progressivamente la capacità operativa russa e di recuperare il controllo dei territori occupati.

Questa impostazione operativa contrasta fortemente con quella russa, dove l’analisi delle operazioni condotte finora sembra offrire l’immagine di una pianificazione iniziale estremamente dettagliata ma completamente priva di aderenza alla situazione operativa (il famoso errore concettuale iniziale basato sulla pregiudiziale che gli ucraini “non avrebbero combattuto), archiviata la quale dopo il fallimento dell’entrata a Kyiv non ne è subentrata una nuova ma abbiamo visto al suo posto una serie di direttive presidenziali tendenti a concentrare gli sforzi ora in un punto ora nell’altro a seconda delle esigenze politiche del momento.

Adesso in particolare i russi appaiono concentrati nel generico tentativo di contenere i contrattacchi localizzati ucraini in attesa di poter tornare a concentrarsi su una caparbia e costosa offensiva frontale nel settore di Bakhmut, la quale supporta la perdurante narrativa putiniana della “liberazione in corso” del Donbass e del raggiungimento a lungo termine di “tutti gli obiettivi dell’Operazione Militare Speciale” (che peraltro pare sia stata ora sostituita da una “Operazione Antiterrorismo” per la liberazione di quelli che il Regime considera territori occupati).

 

Insomma, allo sguardo di un analista militare appare evidente come da un lato abbiamo le Forze Armate ucraine che operano in maniera sistematica cercando di massimizzare le loro ancora relativamente scarse risorse militari per ottenere dei risultati incrementali volti a raggiungere lo scopo finale indicato dalle Autorità politiche; dall’altro abbiamo quelle russe che operano in maniera disfunzionale massimizzando assurdamente le proprie stesse perdite e sprecando ormai irrimediabilmente il loro iniziale massiccio vantaggio in termini di potenziale militare, senza ottenere alcun risultato coerente con una campagna pianificata, ma cercando piuttosto di soddisfare di volta in volta le esigenze politiche di una dirigenza decisa a prevaricare le decisioni dei propri generali.

 

Gli schiavi entusiasti del loro padrone cattivissimo (i minions) si potranno anche sbracciare cercando di convincerci che tutto questo ragionamento dipende dal “pensiero unico” legato alla dottrina militare occidentale, e insisteranno sul fatto che la Russia opera in base ad altri parametri. Il fatto è che i “parametri” di cui sopra, e cioè la dottrina militare russa, sono un qualcosa di ben noto da molto tempo e che abbiamo visto applicato in infinite attività tanto addestrative che operative, e in Ucraina NON li abbiamo visti applicare se non in minima parte.

Anche ammesso che tutto quanto abbiamo sempre creduto di sapere sulla dottrina russa fosse il prodotto di una sofisticatissima “Maskirovka”, questo significherebbe che per decenni abbiamo creduto che i russi fossero militarmente capaci, quando in realtà – visti i risultati – sono decisamente inetti.

 

Molto più probabile che Putin abbia semplicemente impedito ai suoi militari di fare il loro lavoro, interferendo in maniera decisiva nella realizzazione dei suoi stessi piani.

L’orso Vladimiro si è rivelato il peggior nemico di sé stesso.

 

Orio Giorgio Stirpe