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Oggi in Italia è giorno di elezioni.

Per questo sono tornato a casa nel mio Paese, e sono qui per fare il mio dovere di cittadino, che alla fine fra viaggio, albergo, auto a nolo e vettovaglie mi costerà almeno mille euro, visto che per noi italiani non è possibile votare in maniera un filo più moderna come fanno la maggior parte della Nazioni sviluppate: tipo, per posta.

Vabbè, si combatte con ciò che si ha, e quindi eccomi qui.

 

Giorno di elezioni, e quindi per una volta non parlerò di operazioni militari – che sono ciò che mi compete – ma di politica… Che non mi compete più che a ciascuno di voi che leggete, e forse meno.

Però parlerò di politica da militare e non da semplice cittadino, perché tutti sapete che questo è il mio mestiere; e i militari non “fanno” politica (i mercenari e i miliziani sì, ma sono un’altra cosa), o almeno non dovrebbero farne se cittadini di una democrazia liberale.

Una volta congedati, magari… Purché però la loro militanza politica non si richiami ai loro precedenti militari. Perché le Forze Armate appartengono alla Nazione, e non possono essere associate ad un Partito o ad una parte politica. Quando lo sono, è perché c’è qualcosa di profondamente sbagliato nella Democrazia di quel Paese.

Ma come può allora un militare parlare di politica sotto elezioni senza “fare” politica?

 

Innanzitutto precisando una cosa fondamentale: chiunque vinca, non credo che ci debba essere allarmismo o preoccupazione per la democrazia. Non ci sono nemici della democrazia nel Parlamento italiano: forse c’erano molti anni fa, da entrambe le parti dell’emiciclo, retaggio dei tempi andati; ma oggi tutt’al più ci sono persone non all’altezza del loro ruolo. Di queste, purtroppo ce ne sono tante.

Persone che parlano a vanvera, che ripetono frasi fatte, o che semplicemente credono di sapere perché hanno letto un articolo da qualche parte…

Oppure persone che ritengono di “sapere come va il mondo”, e che quindi fanno distinzione fra le proprie dichiarazioni pubbliche e le reali intenzioni pratiche che hanno…

Ci sono anche quelle che si ritengono semplicemente smaliziate, riconoscono gratitudine e rispetto a chi ha favorito la loro carriera politica e intendono pagare i debiti accumulati…

I più numerosi probabilmente, oltre ad appartenere ad uno o più dei gruppi che ho indicato, semplicemente hanno scelto una carriera come un’altra: il loro scopo è semplicemente progredire in tale carriera, assicurandosi prima l’elezione e poi la rielezione, per i privilegi che queste comportano.

Insomma persone che probabilmente non sarebbero idonee a rappresentare il popolo italiano; ma non essere idonee non significa che siano pericolose per la democrazia.

Quello che è pericoloso per la democrazia è la polarizzazione: l’identificazione dell’avversario politico come un nemico. Se la chiave della democrazia è nell’alternanza al potere per prevenire la tirannia, bisogna che ad alternarsi siano avversari che si rispettano e non nemici che si odiano.

 

Ho servito nell’Esercito per quarant’anni, sotto governi di centro, di sinistra e di destra: ho visto capacità, dubbi e incredibile incompetenza in misura variabile sotto ciascuno di essi, ma non ho mai realmente assistito a casi di reale intento eversivo. Come tutti ho provato spesso indignazione e anche disgusto, ma mai timore.

Ho giurato fedeltà all’Italia e alle sue Istituzioni… E non mi sono mai trovato a dubitare di esse.

 

Il problema della politica italiana, per come la vedo con occhi da soldato, non è una crisi di democrazia: è una crisi di spirito di servizio. Ritengo di poterlo dire con cognizione di causa, perché un soldato sa bene cosa sia lo spirito di servizio.

Lo spirito di servizio è quella forma di tensione etica che ti fa agire non nell’interesse della tua carriera e/o del tuo profitto, ma in quello della comunità a cui appartieni… E che ti fa sentire appagato per il solo fatto di farlo bene.

 

Ai miei occhi di soldato, i politici di oggi – non solo in Italia, ma in gran parte del mondo libero – peccano di questo spirito di servizio, ma non solo: mancano anche di quella capacità di ispirare la gente che par di leggere nella storia di molti padri delle nostre democrazie, e che sembra scomparsa.

I politicanti di oggi appaiono concentrati sul cavalcare l’onda dell’opinione pubblica: studiano le indagini demoscopiche e ne commissionano di nuove, analizzano i social e il mondo della cultura cercando di interpretare la volontà dell’elettorato, e cercano di presentarsi come i campioni delle tendenze che credono di “leggere”.

I veri statisti non si comportano così. Gli statisti non cercano di interpretare la volontà dell’opinione pubblica sperando di controllarla: la ispirano e la plasmano, in base ad una visione propria tesa all’interesse della comunità che intendono SERVIRE.

Lo scopo dello statista – o del sindaco del paese – non è essere rieletto: è realizzare la visione che ha per il futuro della comunità che è stato chiamato a servire… E pazienza se non verrà rieletto: si ritirerà in buon ordine, magari un po’ deluso, ma orgoglioso di aver fatto del suo meglio.

 

I militari sono generalmente pessimi politici. Questo perché sono abituati a basare l’esercizio dell’Autorità sulla base della Disciplina dei dipendenti: disciplina che è a sua volta frutto dell’addestramento e della convinzione di ogni militare… Caratteristiche che non si possono – e non si devono! – richiedere ai civili in una democrazia.

Però c’è una cosa fondamentale che ogni militare può individuare come una carenza fondamentale dei politici di oggi: la leadership.

Le personalità della politica attuale sono completamente prive di leadership: l’hanno barattata con la capacità comunicativa. Sono diventati degli esperti affabulatori, dei venditori convincenti di sé stessi e non delle proprie idee. In sostanza noi oggi eleggiamo personalità che sarebbero idonee a fare i portavoce di statisti invece di eleggere gli statisti. Poi magari alle spalle del politico c’è anche una persona capace che gli scrive e gli gestisce il programma, ma noi non eleggiamo quella.

Abbiamo invertito lo statista con il suo portavoce.

Nessuna sorpresa che il reame abbia dei problemi, se il giullare ha preso il posto del re…

 

La leadership, questa sconosciuta… Così sconosciuta che in italiano non abbiamo nemmeno una parola per indicarla: “Capacità di Guida”, o di Comando, ci toccherebbe dire volendo evitare il termine inglese.

La Leadership è molte cose, e ci sono libri che la definiscono e la analizzano, quindi non verrò io a spiegarla. Mi limiterò agli aspetti essenziali: prevede una chiara visione di ciò che si intende costruire con l’autorità di cui si viene a disporre, l’abilità di ispirare negli altri il desiderio di realizzare quella stessa visione, una spiccata capacità di scegliere i propri collaboratori e di assegnare loro responsabilità congrue alle loro capacità, e l’attitudine a controllare il lavoro dei dipendenti… Il tutto però, sempre in quell’ottica fondamentale dello “spirito di servizio”.

Perché il vero leader non lavora per sé e per la propria carriera, ma per il gruppo che sceglie di servire da leader e al quale sente di appartenere.

Questo tipo di leader, un militare lo chiama “Comandante”.

 

Oggi in Italia è giorno di elezioni.

Io vado a votare, e spero che il mio voto contribuisca a dare al nostro Paese un Parlamento capace di esprimere personalità politiche dotate di spirito di servizio, e non politicanti in carriera.

Se così non sarà, avrò il diritto di arrabbiarmi, perché il mio mandato elettorale non sarà stato onorato correttamente. Se non votassi, non avrei nemmeno il diritto di arrabbiarmi.

Comunque vada, gli eletti saranno sempre i rappresentanti del popolo italiano. Li avremo mandati lì noi: mica l’orso Vladimiro…

 

Orio Giorgio Stirpe