Chiarita la situazione oggettiva in cui si trova la Russia con la sua guerra in Ucraina, proviamo a studiare le opzioni che ha a disposizione Putin.
Abbiamo visto come un esercito che lancia un’invasione ma perde l’iniziativa sul campo a causa delle perdite subite che ne hanno ridotto il potenziale offensivo al di sotto di quello difensivo avversario, è costretto a passare in difesa e a subire l’iniziativa dell’aggredito.
Se l’iniziativa dell’avversario porta ad un’ulteriore diminuzione del potenziale militare maggiore di quello che è il corrispondente logoramento dell’aggredito, vuol dire che questi non solo ha l’iniziativa, ma opera anche con un Momentum favorevole; questo significa che l’aggressore in difficoltà – stanti così le cose – è destinato a perdere nel tempo quanto guadagnato in precedenza.
Per ribaltare tale situazione e riprendere l’iniziativa, occorre invertire il Momentum favorevole all’avversario per poi riuscire a riprendere l’iniziativa.
Un esercito che si trovi nelle condizioni di cui sopra può invertire il Momentum – o se preferite “ribaltare la situazione” – in tre soli modi.
Il primo, è ricevere consistenti rinforzi dalla Madrepatria. Tali rinforzi però postulano la disponibilità di personale addestrato e di equipaggiamento pesante che come abbiamo visto la Russia non ha: potrà al massimo raccogliere volontari e materiale obsoleto in misura sufficiente a compensare le perdite future, non certo quelle già subite, che sono troppo elevate. Abbiamo anche visto che una mobilitazione generale non sia proponibile per numerosi motivi, e che in ogni caso non risolverebbe il problema per via dei tempi che richiederebbe.
Il secondo modo è l’intervento di un alleato con capacità tali da sovvertire i rapporti di forza sul campo: come accadde con l’arrivo di Rommel in Nordafrica nel 1941, o con quello degli americani in Europa nel 1944. Ma come abbiamo visto ieri, anche questa possibilità è esclusa per i russi: perfino la Cina, come tutte le Potenze asiatiche, si è tirata indietro davanti alle richieste di supporto non solo militari ma anche economiche, e il sostegno di Paesi come l’Iran o la Corea del Nord è sostanzialmente irrilevante.
Il terzo modo è quello che gli anglosassoni chiamano “Black Swans”: i “Cigni Neri”. Si tratta di eventi straordinari ed imprevedibili che possono sovvertire l’andamento di un conflitto con tempi e modi assolutamente inaspettati. Questi eventi possono essere la scomparsa improvvisa di un protagonista-chiave (la morte di Caterina II salvò Federico di Prussia), una catastrofe naturale (la Grande Peste di Giustiniano impedì la realizzazione della riconquista dell’Occidente romano), un ribaltamento politico capace di sovvertire il sostegno alla parte vincente (la caduta dei Whigs britannici salvò il Re Sole), o ancora un episodio bellico abbastanza significativo da invertire il segno del Momentum sul campo (quale l’offensiva del Tet in Vietnam, che si risolse in una sconfitta militare ma distrusse il supporto del pubblico americano alla guerra).
L’esercito russo in Ucraina ha perduto l’iniziativa e soffre un Momentum sfavorevole, ma non è sconfitto. Diciamo che è nella situazione dei tedeschi dopo la fine della battaglia di Stalingrado: storditi dal colpo e dissanguati dalle perdite, ma ancora in piedi e perfettamente in grado di difendersi a lungo, ed anche di sferrate nuove offensive (Kursk è dell’anno successivo a Stalingrado).
Il Momentum favorevole agli ucraini è chiaro, ma non è tale da suggerire un’avanzata irresistibile e continua capace di sommergere la resistenza russa, e potrebbe ridursi fino ad azzerarsi se non risultasse sufficientemente alimentato, lasciando le forze di Kyiv sempre con l’iniziativa, ma virtualmente bloccate.
Questo però pur comportando uno stallo militare, non significherebbe un “pareggio”. In una guerra d’aggressione il risultato non si vede come in una partita di calcio, dove si parte dallo 0-0 e vince chi segna più gol: se il fronte si blocca l’aggressione è fallita e il difensore ha ottenuto il suo scopo minimo anche se non riesce a scacciare del tutto l’invasore. Questo in quanto mantenere l’occupazione di un territorio nemico di fronte ad un avversario imbattuto è costoso e alla lunga non serve a niente.
Questo significa che per i russi resistere e basta non è sufficiente a recuperare l’iniziativa.
Alla Russia occorre un “Black Swan”.
Per definizione, è impossibile prevedere in “Cigno Nero”. Quando questo si verifica, c’è sempre chi grida: ”l’avevo detto, io!”, ma in realtà si tratta sempre di una sorpresa.
In realtà, la situazione russa è tale per cui l’unica cosa razionale da fare sarebbe ricercare un armistizio sulla base di un ritorno sulle posizioni del 24 febbraio, con la disponibilità a discutere in seguito in sede internazionale lo “status” delle regioni del Donbass e della Crimea.
Questo probabilmente appare quasi ovvio alla maggior parte degli osservatori, che si chiedono frustrati perché una soluzione ormai così ovvia non trovi applicazione. I partigiani delle due parti accusano la leadership avversaria di irresponsabilità per non accettare l’idea, ed effettivamente tanto Zelensky che Putin la respingono: Zelensky rivuole indietro tutto, Dombass e Crimea compresi, mentre Putin insiste caparbiamente che “gli ucraini si devono arrendere” anche se questo è chiaramente ridicolo.
Ma mentre la posizione di Zelensky è comprensibile come base negoziale (lui non chiede nulla di russo e sa che la Crimea è più difficile da riscattare del Donbass), quella di Putin appare sempre più come irrazionale, e questo complica le cose: se si limitasse a richiedere il riconoscimento di Donbass e Crimea, la soluzione sarebbe ovvia (Donbass agli ucraini e Crimea ai russi).
Putin però ha lanciato l’intera invasione su presupposti sbagliati e conducendo la campagna in maniera irrazionale, quindi non ci si può aspettare un comportamento diplomatico razionale da parte sua. Anche perché un comportamento ragionevole a questo punto per lui comporterebbe la morte politica (e probabilmente anche fisica visti i precedenti storici).
Ecco perché per Putin l’unica opzione è sperare in un “Black Swan”.
E magari sperare di provocarne uno artificiale…
Il “Cigno Nero” che Putin spera di provocare, è l’interruzione del supporto europeo all’Ucraina. Politicamente è quasi impensabile: checché ne pensino i minions nostrani, l’ipotesi che la maggior parte delle Nazioni europee invertano la loro politica è estremamente improbabile, e perfino in Italia è ormai evidente che comunque vadano le elezioni la posizione internazionale italiana non cambierà se non nelle sfumature dialettiche.
Ma se un leader ha fatto dell’irrazionalità una pratica costante del suo decisionismo politico, è da aspettarsi che mantenga aspettative irrazionali.
In conclusione: è estremamente improbabile che l’esercito russo abbia la capacità militare di invertire il segno attuale del Momentum e di recuperare l’iniziativa. È molto più credibile (ma non è assolutamente detto) che possa riuscire a frenarlo quanto basta da stabilizzare il fronte, almeno per la durata dell’inverno, obbligando gli ucraini ad un altro anno di guerra e ad organizzare una costosa offensiva la prossima primavera.
L’eventualità di un “Black Swan” non può mai essere esclusa; ma è improbabile che si manifesti nella forma di un allentamento della morsa economica occidentale.
In realtà, il “Cigno Nero” più efficace per porre fine alla guerra – e forse non poi così improbabile – sarebbe proprio la rimozione improvvisa dell’orso Vladimiro.
Orio Giorgio Stirpe