La Battaglia di Izyum (o comunque altro la storia deciderà di ricordarla) è stata sicuramente un episodio di estrema rilevanza, e probabilmente anche in un certo modo decisivo per le sorti del conflitto in Ucraina. Ha avuto un impatto estremamente grave sull’esercito sconfitto ed ha aperto per quello ucraino la prospettiva di una vittoria che a febbraio quasi nessuno avrebbe ritenuto possibile.
Sicuramente ne parleranno a lungo le riviste specializzate, e diventerà un oggetto di studio approfondito nelle scuole militari di tutto il mondo, perché nella sua linearità ha offerto un perfetto esempio di tattica militare moderna.
Adesso però dobbiamo cominciare ad esaminare le possibili conseguenze militari di questo importante episodio, che a dispetto della sua importanza non porrà certo fine ad una guerra destinata – a meno di possibili colpi di scena – a durare purtroppo ancora a lungo.
Francamente non credo che lo Stato Maggiore ucraino si aspettasse un effetto così devastante; credo che il piano prevedesse la sconfitta e non la distruzione del gruppo di forze russe ammassato intorno a Izyum, e una avanzata fino al fiume Oskil che precludesse all’OSK Ovest (la metà delle forze russe poste a nord dell’Ucraina) la possibilità di riprendere l’offensiva contro Slaviansk e Kramatorsk da settentrione.
Il completo collasso dell’OSK Ovest (confermato dal fatto che il suo Comandante è stato fulmineamente rimosso da Putin) ha generato una situazione differente: ora tutti i territori occupati posti a nord della linea del 24 febbraio sono aperti ad una prosecuzione in profondità da parte ucraina che non era prevista. Le forze russe sono ripiegate disordinatamente oltre frontiera oppure verso il Donbass, e per ora non si vede traccia di reparti schierati a difesa per contrastare una rapida avanzata ucraina.
D’altra parte però le forze ucraine in zona, ancorché vittoriose e con il morale alle stelle, sono numericamente scarse e necessitano di un sostegno logistico che non è in grado di seguirle se avanzano troppo velocemente. La disponibilità della Ricognizione Strategica della NATO le pone al riparo da sorprese tattiche, ma il rischio di rimanere isolati avanzando troppo in fretta esiste e va tenuto in conto. Anche la Resistenza ucraina, attiva nei territori occupati, probabilmente avrà difficoltà a supportare un’avanzata troppo rapida.
Per questo è quindi impossibile, non conoscendo nel dettaglio la situazione logistica ucraina, stabilire fin dove Zaluzhny potrà autorizzare le sue Brigate a spingersi, e con quali tempi.
È anche vero che mentre i russi si scapicollano per cercare di tappare quella che più che una breccia è ormai una voragine nel loro fronte, si aprono altre possibilità.
Quella di cui si parla di più è di mantenere una pressione molto forte nel settore di Kherson con le forze già in loco mantenendo il “fissaggio” delle Brigate russe di élite bloccate sulla sponda occidentale del Dnipro, esercitando uno sforzo decisivo per recidere i loro rifornimenti dalla sponda orientale. In questo modo, pur non riuscendo a sconfiggerle sul campo, sarebbe possibile obbligarle alla resa per esaurimento munizioni.
Un’ulteriore – e più ambiziosa – possibilità consisterebbe nel raccogliere un’altra forza corazzata, magari recuperandola proprio da Izyum, e tentare lo stesso colpo di maglio dalla zona di Zaporzhizia verso Berdyansk, in modo da isolare le forze russe nel sud dal centro logistico di Rostov e costringerle a fare perno esclusivamente su una Crimea ormai a tiro di missili.
Difficile prevedere quale delle tre opzioni sia la prescelta: lo Stato Maggiore ucraino ha tutte le informazioni necessarie per prendere la decisione più opportuna (probabilmente l’ha già presa), ma molto dipenderà anche da cosa decideranno di fare i russi; russi che, come detto precedentemente, hanno subito un colpo tremendo ma sono ancora in grado di reagire.
Già: ma come? Quali opzioni rimangono ai russi?
Personalmente, se fossi in comando di un esercito nelle condizioni di quello russo, dove l’ala nord è stata resa non operativa e quella sud è quasi completamente fissata sulle posizioni attuali, che la pongono ad una distanza eccessiva dalle sue fonti di rifornimento, farei uno sforzo per sganciarmi perlomeno da Kherson, per recuperare forze efficienti e ristabilire il fronte dalle foci del Dnipro a Donetsk, e da lì lungo la linea del 24 febbraio (cioè quella fissata nel 2015). Fatto questo, cercherei di ottenere un armistizio anche temporaneo per cercare di ricostituire le mie forze…
Ma difficilmente Putin potrebbe accettare una soluzione del genere. Salvare i propri soldati non è mai stata una sua priorità, mentre lo è cercare di evitare o nascondere quello che a lui appare solo uno smacco politico.
Per ottenere ciò, ha assoluto bisogno di dimostrare forza, esattamente come richiestogli dall’ala intransigente dei suoi sostenitori.
La prima dimostrazione di forza che ha potuto offrire è stato uno scomposto bombardamento delle centrali elettriche del Paese, completamente privo di effetti militari: di fatto un attacco “terroristico”, nel senso originario del termine che significa appunto terrorizzare la popolazione civile e spezzare il suo morale. Nelle attuali condizioni di spirito della popolazione ucraina ha ottenuto l’effetto opposto, ma Putin non è mai stato un buon lettore delle condizioni di spirito ucraine.
La risposta ucraina è stata un bombardamento di rappresaglia sugli aeroporti di Belgorod e di Rostov, che probabilmente hanno avuto sulla popolazione russa proprio l’effetto che Putin si riprometteva di ottenere su quella ucraina. Con una larga fascia di territorio russo ora aperta all’offesa nemica – aerea, ma potenzialmente anche terrestre – non si tratta di un duello conveniente.
Come può dunque Putin cercare di contestare l’iniziativa ucraina, che dopo Izyum sembra anche prendere sempre più forza?
Colpire “con più forza” gli ucraini, come richiesto dagli oltranzisti più scalmanati, richiederebbe l’uso di armi non convenzionali. L’ineluttabilità di una risposta immediata, proporzionale e automatica da parte della NATO, nonché la probabile inefficacia di una tale azione sul morale ucraino, rendono l’azione improponibile, se non per Putin almeno per i militari che dovrebbero eseguire l’ordine e che hanno a cuore la sopravvivenza del proprio Paese e delle proprie famiglie assai più di quanto non abbiano a cuore Putin.
Orchestrare un “incidente” nucleare in una centrale come quella di Zaporzhzhia sarebbe più fattibile; potrebbe portare ad una catastrofe ambientale locale e darebbe sfogo tanto alla rabbia di Putin che alla sua propaganda, che ritorcerebbe sicuramente le responsabilità contro gli ucraini. Ma al di là dell’impatto ambientale e mediatico, avrebbe poco effetto sulla guerra.
Una ritorsione economica come il blocco totale dell’esportazione del gas avrebbe un impatto abbastanza duro sull’Europa, ma oltre a costare alla Russia la sua ultima fonte di introiti necessari a pagare la guerra, avrebbe un effetto minimo sulle operazioni correnti.
L’unica escalation possibile per Putin è una formale dichiarazione di guerra con conseguente ordine di mobilitazione generale, come richiesto da tempo dai militari e ora invocato anche dagli oltranzisti.
Il problema però è che gli effetti di una mobilitazione si vedrebbero solo in primavera. Per allora potrebbero esserci se tutto va bene due o tre milioni di giovani russi armati di fucile disponibili per… Cosa?
Coscritti male addestrati senza equipaggiamento pesante – come dimostrano gli stessi ucraini – sono utili per difendere le città e magari delle trincee lungo il confine, non certo per condurre una guerra di manovra invadendo un Paese ostile. L’equipaggiamento pesante per armarli non esiste, infatti anche l’esercito semi-professionale di oggi ne è tremendamente a corto, e gli stessi istruttori difettano tragicamente (dovrebbero essere tratti dalle forze in prima linea).
Ma soprattutto, secondo le stesse inchieste demoscopiche russe, l’unica fascia di popolazione che già a luglio disapprovava in maggioranza la politica di Putin era quella dei giovani fra i 18 e i 25 anni: esattamente quelli che verrebbero mobilitati ed armati.
Una simile decisione metterebbe un fucile nelle mani degli oppositori di Putin.
No, non ci sono molte opzioni sul tavolo per l’orso Vladimiro.
Orio Giorgio Stirpe