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Forse è arrivato il momento di parlare della “controffensiva di Kherson”.
Le cose si sono un po’ chiarite, e la “nebbia della guerra” si è in parte sollevata.
Due sono risultati i fattori più visibili di questo evento: l’entusiasmo scatenato e quasi infantile di numerosi tifosi filo-ucraini da una parte, e l’altrettanto esagitato tentativo della propaganda russa e dei minions nostrani nell’acclamare una sconfitta ucraina quasi immediata grazie all’eroica difesa russa… Atteggiamenti assolutamente comprensibili in guerra, ma adatti più al tifo da stadio che non all’analisi militare.
Questo, soprattutto alla luce dell’assoluto silenzio da parte delle autorità governative ucraina (a parte un rappresentante dell’amministrazione locale della zona) e dei commenti più misurati degli esperti militari russi più indipendenti.
Dunque: al netto degli eccessi un po’ infantili dei tifosi, cosa è successo veramente, cosa sta ancora succedendo, e perché?

Cominciamo dall’inizio: il fiume Dnipro è uno degli elementi geografici che caratterizzano l’Ucraina: un fiume larghissimo, con una portata d’acqua pari a una dozzina di volte almeno quella del Po in piena e una larghezza tale da essere estremamente difficile da attraversare di forza, se non di sorpresa contro un avversario impreparato e numericamente molto inferiore.
La testa di ponte stabilita dai russi nelle prime settimane di guerra, ottenuta attraversando il ponte Antonovsky praticamente di sorpresa quando gli ucraini erano ancora disorganizzati ed esisteva una forte disponibilità di elicotteri d’assalto, costituiva la premessa essenziale per una successiva offensiva su Odesa che però non si è mai materializzata in seguito alle gravi perdite subite nell’assalto a Mykolaiv e soprattutto ai colpi subiti dalla Marina Russa in termini tanto di navi che soprattutto di elicotteri. Una volta abortita l’offensiva su Odesa e riorientata la manovra al solo Donbass, la testa di ponte è diventata per i russi più un problema che altro a causa della difficoltà di rifornirla (ancora a causa delle perdite esiziali in termini di elicotteri, che non sono più in grado di svolgere compiti logistici in misura sufficiente).

Come ho continuato a scrivere negli ultimi mesi, il rapporto di forze si è considerevolmente sbilanciato in maniera sempre meno a favore ai russi, che ormai non hanno più un potenziale offensivo tale da perforare le linee ucraine; ma è anche vero che se gli ucraini hanno notevolmente consolidato il loro potenziale difensivo, non ne hanno ancora acquisito uno offensivo tale da lanciare controffensive significative.
Le nuove Brigate costituite in seguito alla mobilitazione sono ancora inesperte e largamente “leggere”, idonee a irrobustire le difese e a presidiare posizioni forti, non certo a contrattaccare; quelle veterane stanno ancora ripianando le perdite subite e anche se sono perfettamente in grado di operare in difesa ed eseguire contrattacchi locali, mancano del potenziale offensivo per una controffensiva in profondità.
L’altro punto che ho cercato di spiegare è che per lanciare un’offensiva in profondità – tesa a perforare le linee avversarie e non solo ad occupare una posizione a ridosso del fronte – occorre più che una semplice superiorità locale di forze e/o di fuoco: occorre una robusta organizzazione logistica in grado di seguire le forze attaccanti, e soprattutto occorrono riserve fresche da lanciare nella breccia per scavalcare le unità che hanno effettuato lo sfondamento.
Gli ucraini non hanno attivato alcuna riserva per l’”offensiva” su Kherson.
Quindi nessuno sfondamento è veramente possibile da parte loro, esattamente come non è più possibile uno sfondamento russo nel Donbass, proprio a causa dell’assenza di riserve abbastanza consistenti.
Insomma: gli ucraini non vogliono impegnare le loro riserve perché troppo “leggere” ed inesperte; i russi non possono perché non ne dispongono in misura sufficiente.

La mancanza di riserve sostanzialmente preclude ad entrambi i contendenti la possibilità di intraprendere operazioni offensive significative e tali da infrangere l’attuale situazione di stallo.
D’altra parte, lo stallo in seguito ad un’invasione rappresenta in realtà un risultato relativamente positivo per il difensore, che ha conseguito l’effetto di arrestare militarmente l’aggressore.
Tale risultato positivo tende a incidere sul morale, e quindi a consegnare virtualmente l’iniziativa all’aggredito.
Questo fatto può trasformarsi in una trappola, perché il difensore può essere tentato da azioni inconsulte, quali lanciare controffensive sanguinose e inutili, che alla fine riconsegnano l’iniziativa all’aggressore; è quanto si è verificato per esempio durante il conflitto fra Iran e Iraq.
Lo Stato Maggiore ucraino, saggiamente, ha evitato la trappola ricorrendo ad una combinazione fra la consolidata pratica sovietica delle “maskirovka” e la dottrina occidentale delle “puntate offensive”, che sono in realtà atti tattici DIFENSIVI volti a disarticolare e indebolire un avversario numericamente più forte.

Come abbiamo osservato prima ancora dell’inizio di questa operazione ucraina, le controffensive non si annunciano: si fanno, e possibilmente di sorpresa.
L’operazione nella zona di Kherson invece è stata preannunciata per mesi.
La mia personale opinione è che il Comando ucraino abbia realizzato come la sua controparte russa, più che su considerazioni strettamente militari, debba basare la propria manovra sulle priorità politiche dettate dal Cremlino.
In base a tali priorità, Putin ha deciso di non potersi permettere di perdere Kherson, in quanto si tratta dell’unico capoluogo di Oblast catturato dall’inizio del conflitto: se così non fosse, la testa di ponte avrebbe dovuto essere abbandonata da tempo per concentrare le forze nel Donbass.
Il Donbass stesso, nel frattempo, è l’unico settore dove i russi riescono ancora a progredire, seppure con lentezza esasperante, e per questo risucchia risorse difensive che gli ucraini preferirebbero impiegare in maniera diversa.
Poiché la testa di ponte di Kherson è l’unico settore dove una controffensiva ucraina – anche se a carissimo prezzo – potrebbe teoricamente conseguire risultati significativi a causa della presenza del Dnipro che impedisce la manovra in profondità e il rifornimento logistico ai russi, l’idea di una tale controffensiva appare credibile, se non a livello di esperti militari, almeno a livello politico.

Quando gli ucraini, dopo aver lungamente annunciato un’azione del genere, hanno avviato le operazioni previste dalla dottrina occidentale (ben nota ai russi) del cosiddetto “shaping” (la preparazione dell’attacco con azioni di fuoco di interdizione e di soppressione), Putin si è preoccupato. Quando sono entrate in azione le Forze Speciali, i ponti sono stati tagliati e sono iniziate le puntate offensive, è andato nel panico.
Le scarne riserve russe, così faticosamente raccolte rastrellando volontari fra le minoranze, fra i sessantenni e fra i carcerati, sono state dirottate su Kherson; la testa di ponte invece di essere evacuata come sarebbe stato militarmente sensato fare, è stata riempita di ulteriori forze su entrambe le sponde del fiume, anemizzando ulteriormente l’offensiva nel Donbass e aggravando sempre di più la situazione logistica delle forze a ovest del fiume.

Politicamente, la liberazione di Kherson sarebbe importante per gli ucraini. Ma militarmente, sarebbe inutile: proprio a causa della virtuale distruzione dei ponti, sarebbe un’azione fine a sé stessa. Strategicamente rilevante sarebbe un’offensiva da nord a sud a partire da Zaporizhzhia su Melitopol e su Mariupol… Ma gli ucraini almeno per il momento non sono in grado di lanciarla.

Siccome a differenza di Putin, Zelensky sta lasciando mano libera ai suoi generali, questi agiscono secondo le regole militari; e secondo queste regole, più forze russe rimangono bloccate a languire nella testa di ponte di Kherson, meno ne rimangono di disponibili per attaccare il Donbass, dove le condizioni logistiche degli invasori sono ovviamente migliori.

Attirare le forze nemiche nel punto desiderato e tenercele bloccate con il fuoco e l’interdizione è un atto tattico ben preciso che si chiama “fissaggio”: serve a sottrarre forze all’avversario senza mettere troppo a rischio le proprie.
Il Comando Sud ucraino ha fatto proprio questo, raggiungendo l’obiettivo assegnato: assumere l’iniziativa obbligando i russi a reagire nella maniera desiderata; impegnare le riserve centrali russe attirando nuovi rinforzi nella testa di ponte; preservare le nuove Brigate ucraine e la riserva strategica, che sono ancora disponibili per sostenere la difesa fino all’inverno.
Poi, dopo l’inverno, quelle stesse nuove Brigate non saranno più inesperte e – se gli aiuti occidentali proseguiranno – non saranno neppure più “leggere”.
Insomma: con la sua reazione esagerata di fronte ad una minaccia sostanzialmente minima, l’orso Vladimiro si è confermato essere il peggior nemico del proprio stesso esercito.

Orio Giorgio Stirpe