Cercare di interpretare il risultato delle inchieste demoscopiche è più un’arte che non un lavoro, e sicuramente non è il settore in cui il mio spirito artistico si esprime al meglio: ci sono esperti al lavoro su questo, molto più qualificati di me; purtroppo però – come succede spesso nelle scienze non esatte come nell’arte – danno risposte diverse. Così a noi per orientarci fra tante statistiche tocca cercare di interpretare gli interpreti… Inevitabilmente le risposte a cui giungiamo sono incomplete, e probabilmente anche sbagliate; però insistiamo, perché siamo esseri umani e vogliamo risposte anche se provvisorie. L’importante è non convincerci della loro granitica verità e rimanere consapevoli che sono sempre risposte provvisorie.
Pare che due italiani su tre vogliano la pace, e siano disposti a ridurre i consumi del gas. Immagino non voglia dire che un italiano su tre voglia la guerra, e neppure che quelli disposti a ridurre il riscaldamento accettino anche di spegnerlo… In realtà è un dato che pone più quesiti di quelli cui risponde. Personalmente ne deduco che la maggioranza degli italiani sia disposta a qualche sacrificio per ottenere la pace, e questo significa che non sono indifferenti a quello che sta succedendo in Ucraina, il che mi conforta: non rifiutano il problema, anche se li mette a disagio.
La vera domanda però è un’altra: di quale “pace” stiamo parlando?
Perché ci sono molti tipi di pace. Esiste la pace “giusta”, in cui tutti vivono in una relativa sicurezza, a casa propria e sotto le proprie leggi. Esiste poi la “pace ad ogni costo”, dove non si spara, ma almeno parte della gente vive in condizioni peggiori rispetto a prima. C’è poi anche la pace del cimitero, e quella credo non la desideri nessuno.
Credo che la vera divisione fra gli italiani – e fra gli europei tutti – sia fra i sostenitori della “pace giusta” e quelli della “pace ad ogni costo”. Cioè fra coloro che sono disposti a ridurre anche significativamente il consumo del gas pur di ottenere condizioni di pace accettabili per tutti, e coloro che semplicemente vogliono che la guerra finisca indipendentemente da come.
Io mi riconosco nel primo gruppo, e ci vedo la larga maggioranza delle persone che conosco in Italia e all’estero, ma vedo anche persone, che stimo e rispetto, che si schierano nel secondo. Allora, per deformazione professionale dettata da lunghi anni di analisi operativa in cui ci si domanda cosa possa effettivamente pensare la controparte, mi domando il perché.
Perché persone intelligenti e dotate di coscienza accettano l’idea che un popolo e una Nazione debbano rinunciare ai loro diritti, alla loro dignità e alla loro terra e soddisfare le ambizioni di un tiranno, solo per avere in cambio quella che appunto è una “pace ad ogni costo”? Costo che dovrebbe essere pagato dal popolo aggredito, il che appare chiaramente egoista dal mio punto di vista di soldato, e anche un po’ vile.
Questa considerazione istintiva mi porterebbe direttamente a disprezzare chi la pensa così: per deformazione professionale un militare di professione tende a disdegnare chi per paura è pronto ad abbandonare gli altri con la scusa che “non sono dei nostri”. Ma di nuovo, sento il bisogno di capire il “perché” persone che stimo e rispetto possano pensare così. E’ per questa ragione che mi sono impegnato in queste lunghe discussioni su Facebook con chi manifesta idee così diverse dalle mie. Dopo oltre un mese di interazioni, a volte di scontri sgradevoli, ma anche di interessanti scambi di idee, credo di essere giunto ad una conclusione.
Alla base di tutto c’è il terrore istintivo per l’olocausto nucleare.
Per molti versi pensavo di essermelo lasciato alle spalle, ma lo ricordo molto bene. Quando avevo vent’anni, era all’ordine del giorno: si chiamava l’”equilibrio del terrore”. Mentre ero in Accademia era anche uscito un film che aveva intrecciato tutti i fili di quel terrore che ci accompagnava ogni giorno durante la Guerra Fredda: “The Day After” … Era il tempo del mondo diviso in due blocchi separati da ideologia, cultura, sistemi politici ed economici assolutamente incompatibili. Se uno dei due avesse prevalso, tutti i valori dell’altro sarebbero crollati, rendendo la distruzione reciproca preferibile alla vittoria dell’avversario. La Distruzione Reciproca Assicurata era ciò che assicurava un equilibrio che era difficile definire “pace”, ma che era meglio della guerra nucleare.
Quando uno dei due sistemi era poi crollato dall’interno, disintegrandosi da solo e quindi non in grado di salvarsi lanciando missili contro qualcuno, quel terrore si era dissolto. Ma gli arsenali erano rimasti. Oggi, chi ne ha ereditato uno lo agita minacciosamente per sostenere le sue rivendicazioni anche se la Nazione che dirige non è affatto a rischio di distruzione. Quella minaccia ha risvegliato il terrore. Anzi: il Terrore, scritto con la maiuscola.
Ora, poco importa se questa paura sia giustificata o meno: il Terrore influenza pesantemente il giudizio di una larga fetta di opinione pubblica, e occorre fare i conti con questo fatto. Io potrei anche scrivere venti pagine cercando di spiegare come questo Terrore traslato dal passato nella nostra era possa essere ingiustificato, ma sarebbe la mia opinione contrapposta ad un’emozione atavica come la paura dei tuoni, che a sua volta contribuì a creare le prime religioni.
Il Terrore è un istinto primordiale, un impulso irrazionale che annulla qualsiasi sentimento di solidarietà o di coraggio, e che non si può combattere con un semplice ragionamento educato. Occorre un’istruzione specifica, un continuo flusso di informazione qualificata, e tanto tempo. Le reazioni isteriche che sul web si manifestano in post pieni di maiuscole urlate o con esclamazioni come “voi siete pazzi!”, “ci vogliono ammazzare tutti!” o “chi sta al potere non si rende conto…” evidenziano un profondo disagio che la società non può affrontare né emarginando chi lo prova (e che vive nella convinzione di rappresentare una vasta maggioranza perché tende a parlare solo con chi condivide le sue paure), né cedendo alle loro richieste disperate: occorre invece dare costantemente spiegazioni esaurienti su come effettivamente stiano le cose, e cercare di fornire previsioni ragionate di ciò che effettivamente avverrà sul terreno, in modo da riconquistare poco alla volta la fiducia di chi onestamente crede di essere alla mercé degli eventi e di responsabili incapaci di afferrare la realtà.
Il Terrore è come una religione: tende a fare proseliti. Più la si ignora e più si diffonde; se la si deride, si radicalizza. Il Terrore di oggi deriva da un rischio reale: è QUELLO che occorre affrontare e neutralizzare con calma, in modo da offrire fatti rassicuranti a chi ha perso la fiducia in tutto ciò che lo circonda a causa delle sue paure. Siccome non le vede condivise, considera gli altri stupidi. Se a non condividerle sono le autorità, queste sono incompetenti. Se non c’è una vasta reazione in sostegno a questa incompetenza, esiste una congiura globale. Se esiste la congiura, allora siamo circondati da menzogne e illusioni… Ed è allora che si diventa vulnerabili ai pifferai magici che raccontano storie magari fantastiche, ma che si attagliano allo scenario che chi ha paura si è disegnato intorno.
Spiegare con calma gli eventi e le decisioni che si prendono per affrontarli è l’unico modo per sconfiggere i pifferai magici che si approfittano di chi ha paura. Pifferai magici che molto spesso suonano una melodia piena di miele, proprio come piace all’orso Vladimiro.