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Ho letto stamattina l’ultima dichiarazione rilasciata dal generale Camporini su “il Foglio”. A differenza di tanti altri colleghi, lui si limita a parlare di ciò che sa e che gli compete: le armi fornite all’Ucraina, il loro impiego e classificazione. Non si sbilancia come quasi tutti gli altri in analisi politico-diplomatiche che non rientrano affatto nella loro sfera di esperienza professionale, come il suo pari (dell’Aeronautica anch’egli) che in pari data afferma (su “Fanpage”) che “Biden vuole annientare Putin come uomo e la Russia come Paese…”, come se fosse un dirigente dei Servizi e avesse il profilo aggiornato dei due Presidenti e delle relative diplomazie.

Camporini è stato mio superiore per alcuni anni a SMD, e lo ricordo non solo come un signore, ma anche come un professionista molto competente; contrariamente a quanto si pensa, ce ne sono molti come lui. Solo che generalmente una volta in congedo si dedicano principalmente alla famiglia; poi ci sono quelli che hanno passato la carriera a fare pubbliche relazioni per il “dopo”, e una volta privati del potere del grado dai limiti d’età si improvvisano tuttologi al servizio di questo o quel partito, facendo da semplici casse di risonanza per i rispettivi politici di riferimento.

Ma torniamo a Camporini, che ha parlato dell’impiego delle armi fornite all’Ucraina.

Ciò che mi ha colpito della sua intervista non è tanto il contenuto – che condivido – quanto la forma che ha impiegato: lui ha parlato delle armi che “noi forniamo” a Kyiv.

Ecco: mi ha colpito quel “noi”, che viene anche a me da usare in questo contesto.

Ma chi è, “noi”?

Noi, Italia? Noi, NATO? Noi, Europa? Noi, Occidente? Noi, che vogliamo aiutare l’Ucraina? Chi siamo, “noi”?

Un tempo la risposta sarebbe stata facile: gli attori nel mondo erano le Nazioni, e i confini degli “stati-Nazione” erano chiari e marcati da frontiere visibili e difficilmente travalicabili dai rispettivi comuni cittadini, che nella quasi totalità vivevano e morivano senza mai attraversarli. Prima ancora si era sudditi di un sovrano specifico, fosse egli il duca di Savoia, il doge di Venezia o il re di Napoli. Andando ancora più indietro nel tempo, noi appassionati di storia ripensiamo al “pomerium” di Roma antica dei tempi di Romolo: quella linea invisibile che separava “noi” da tutti gli altri, che per lo più erano “barbari”.

Ma adesso non è più così: i confini sono sfumati. Se ci mettiamo a camminare verso nord, sud o ovest, raggiungiamo le coste atlantiche o mediterranee senza incontrare nessun confine; se andiamo a est, la prima frontiera che troviamo è quella ungherese, che però è come noi ancora tanto nella EU che nella NATO.

Una barriera pratica è ancora rappresentata dalle lingue, ma oggi quasi tutti ne parlano una seconda in modo almeno comprensibile, e specialmente con l’inglese si va quasi dappertutto. Le Nazioni sono quasi tutte legate le une alle altre non solo da interessi politici ed economici rilevanti, ma anche da trattati formali e sostanziali che spesso rendono i conflitti non solo improbabili, ma addirittura impossibili.

Soprattutto, la maggior parte delle azioni diplomatiche si svolgono attraverso entità sovranazionali che agiscono per nome e per conto delle Nazioni che hanno loro delegato la protezione dei propri interessi.

È la famosa “globalizzazione”.

 

Si tratta di una situazione che non piace a tutti. Molti la vivono come un’imposizione; la considerano una perdita di sovranità nazionale e quindi anche personale, addirittura una resa di fronte agli “altri”. Ma qui sorge la domanda: chi sono questi “altri”?

I più “arrabbiati” fra i nemici della globalizzazione spesso fanno riferimento agli americani, spesso visti come la causa di tutti i mali. Già: la loro Nazione è quella che si colloca un po’ al centro della globalizzazione, e quindi appare come quella che ne usufruisce di più; peccato che moltissimi americani vivano la stessa situazione di disagio e per le stesse ragioni: si sentono defraudati della loro identità e del loro benessere, che considerano “esportati” a vantaggio – appunto – di “altri”. Per questo hanno votato per Trump.

Se non sono gli americani tutti, allora possono essere le loro élites finanziarie, il cosiddetto “establishment (altra parola non fiorentina e “globalizzata”). Già, ma anche quelle sono divise, spaccate da rivalità politiche e personali… Si arriva così alla SPECTRE, l’associazione segreta e quasi mistica che punta ad un misterioso “reset” mondiale attraverso un piano sofisticatissimo e ben congegnato. Accidenti, se esistesse veramente un gruppo capace di governare il mondo intero in armonia ed efficienza, con una simile competenza e unità di intenti, verrebbe voglia di votare per loro alle elezioni, piuttosto che per i nostri poco competenti politici!

 

Lasciamo perdere: così si arriva alla ancestrale paura del demonio nascosto nell’ombra, ed è quello un timore mistico, di natura non razionale, che è impossibile da discutere con la logica ma va affrontato con altri mezzi di cui io non dispongo.

Quel che conta è semplicemente che moltissime persone sono fortemente a disagio di fronte alla globalizzazione del loro mondo, e non vogliono far parte di quel “noi” di cui il generale Camporini, io, e tanti altri parliamo anche quando si discute della guerra in Ucraina. Già: perché “noi” ci sentiamo parte del conflitto.

 

“Noi” siamo in guerra, anche se non stiamo combattendo sul campo. Come Italia, come EU, come NATO, come Occidente, ci sentiamo pienamente schierati al fianco di un’altra Nazione che – con tutti i suoi innegabili difetti anche gravi – intende fare parte delle stesse entità in cui ci riconosciamo noi: EU, NATO, Occidente, democrazia rappresentativa e mondo globalizzato. Una Nazione che proprio a causa di queste sue aspirazioni è stata aggredita da un’altra, molto più forte, che vede tutte queste stesse entità come sue nemiche dirette.

In considerazione di ciò, il nostro governo si è schierato, con l’avallo del Parlamento e in base alla Costituzione: si è schierato assieme a TUTTI gli altri governi parte delle stesse entità di cui stiamo parlando…

E quello è il “noi”.

 

Però quello che ci contraddistingue in quanto “noi”, è proprio la democrazia liberale. Quella che consente di dissentire liberamente. Ed ecco che spuntano quelli che non intendono far parte del “noi”.

Questi “altri” sono coloro che non si identificano nelle entità in cui l’Italia è inserita e che respingono la globalizzazione accusandola delle loro difficoltà economiche e sociali. Difficoltà che ci sono sempre state, e ben più gravi, ma che si tende a vedere originate proprio e solo dagli effetti secondari della globalizzazione, come se ai tempi degli stati-Nazione non esistessero.

Per loro, il rischio nucleare rappresentato dal conflitto in atto – e di cui abbiamo già parlato in precedenza – è di tale portata che lo rifiutano a prescindere, indipendentemente da quel che può essere in gioco; l’Italia dovrebbe isolarsi da tutto il resto del mondo in cui è inserita e “rimanerne fuori”.

Come se fosse possibile.

 

Ci si attacca perfino a pratiche diplomatiche puramente formali e ormai obsolete, come quando si dice “fintanto che il Parlamento non dichiara lo stato di guerra, noi siamo neutrali!”. Peccato che ormai le guerre si combattono da tempo senza dichiarazioni ufficiali, e che quella in Ucraina venga chiamata apposta “operazione militare speciale” da Putin per negarne la reale natura: i confini fra pace e guerra ormai sono diventati indefiniti esattamente come quelli nazionali, e si attraversano senza riconoscerli sul terreno…

 

In realtà, nel nostro mondo caratterizzato dalla democrazia liberale, questi “altri” non sono affatto tali, anche se rifiutano di riconoscersi nel “noi”. Sono semplicemente l’opposizione alla maggioranza. Una minoranza che merita e pretende rispetto, e che va considerata per quello che è: una componente indispensabile della democrazia per la quale stiamo combattendo in Ucraina.

 

Gli “altri” non sono la nostra opposizione: perché si tratta appunto della “nostra” opposizione, e quindi fa ancora parte del “noi”.

Gli “altri” sono quelli che stanno con l’orso Vladimiro…