La propaganda russa non è solo pervasiva: è anche supportata da una raffinata rete spionistica ereditata dall’URSS, che consente l’accesso costante ai media e agli stati d’animo del pubblico occidentale. Ieri ho perfino avuto la sensazione di essere personalmente monitorato (!!!): subito dopo aver pubblicato il mio post sulle armi nucleari in cui affermavo che prima o poi Putin tende sempre a fare ciò che dice, il suo ministro degli esteri Lavrov ha ritenuto di ribadire in modo più diretto che mai che “non è intenzione della Russia impiegare armi nucleari nel conflitto in Ucraina”.
Non ho l’ambizione di essere letto da Lavrov, però probabilmente l’affermazione era matura per il dialogo internazionale, così la tempistica del mio post era corretta. Come dicevo, le Grandi Potenze si scambiano messaggi attraverso le dichiarazioni pubbliche dei loro rappresentanti, e lo fanno sia in chiaro che in logica simbolica.
L’affermazione di Lavrov infatti va considerata alla lettera: significa che la Russia non pianifica di impiegare armi nucleari sul territorio ucraino, fintanto che il conflitto rimarrà limitato ad esso. Tale affermazione da un lato ribadisce come niente sia cambiato nella mutua visione di Mosca e Washington circa l’impiego delle armi nucleari unicamente per garantire la rispettiva sopravvivenza nazionale; dall’altro ribadisce che un allargamento del conflitto cambierebbe la prospettiva in atto prefigurando uno scenario diverso dove l’escalation diventerebbe possibile.
A cosa si riferisce Lavrov? Ovviamente non posso esserne sicuro, ma direi che sia altamente probabile che stia dissuadendo l’Occidente dal prendere iniziative dirette in Teatri differenti da quello ucraino, approfittando del fatto che la Russia ha l’intero potenziale convenzionale impegolato in Ucraina e non sarebbe in grado di reagire.
In effetti la tentazione potrebbe essere molto forte per risolvere situazioni rimaste in sospeso per lungo tempo. In assenza di un deterrente russo in loco, la Turchia potrebbe risolvere in pochi giorni la sua contesa con Assad in Siria. L’Azerbaijan potrebbe facilmente conquistare il Nagorno-Karabak e la Georgia potrebbe liberare Ossezia del Sud e Abkhazia. Allo scopo di mettere pressione sulla Russia, l’Occidente potrebbe facilmente stringere la morsa sull’exclave di Kaliningrad, oppure il Giappone potrebbe cogliere l’opportunità per liberare una volta per tutte le Curili meridionali nel Pacifico, occupate dalla Russia fin dal 1945 ma mai cedute con un trattato di pace.
Naturalmente tutte queste iniziative non rientrano veramente nelle opzioni considerate in Occidente (non escluderei però che tali pensieri siano presenti ad Ankara), però rientrerebbero nel modus operandi russo ove le parti fossero invertite, e quindi Mosca si aspetta un’eventualità del genere.
Più probabile potrebbe essere un’azione di destabilizzazione in Belarus, che potrebbe risultare non tanto da un’iniziativa occidentale, quanto da un nuovo sussulto interno da parte della popolazione che in fondo era insorta solo un anno fa e che potrebbe vedere nella situazione attuale un’occasione unica per rovesciare il regime di Lukashenko in un momento in cui il suo alleato del Cremlino non disporrebbe di forze sufficienti per salvarlo un’altra volta dalla collera dei suoi compatrioti. Non dimentichiamo che non solo i militari bielorussi si sono rifiutati di combattere contro gli ucraini al fianco dei russi, ma che un battaglione di volontari bielorussi stanno addirittura combattendo dalla parte ucraina.
Un rovesciamento di fronte da parte della Bielorussia sarebbe un disastro strategico per la Russia, almeno pari a quello da parte dell’Ucraina stessa: dal punto di vista russo riporterebbe il “fronte” con l’Occidente più o meno lungo la linea precedente alla battaglia di Stalingrado nel 1942, di fatto annullando tutti i risultati e i sacrifici della celebrata “grande guerra patriottica”.
Dobbiamo renderci conto che la Russia sta vivendo un incubo esistenziale in cui si è cacciata da sola. La guerra non era minimamente necessaria: non c’era nessuna crisi particolare in atto, e la situazione era invariata negli ultimi anni. La propaganda si è inventata “bombardamenti” nel Donbass (di cui però non ha fatto menzione fino a gennaio) e addirittura un’”invasione imminente” da parte ucraina che chiaramente non avrebbe avuto alcun senso a fronte di una mobilitazione russa già in atto, ma di fatto Putin ha semplicemente deciso che la situazione fosse matura per la “spallata” a lungo pianificata per “normalizzare” un’Ucraina la cui indipendenza non era tollerabile per motivi ideologici e strategici.
Il momento doveva essere maturo per il momento di debolezza dell’America a causa del trapasso da Putin a Biden (considerato un debole senile), dell’Europa a causa dei passaggi di potere in atto in Germania, Francia e Italia, e dell’Occidente nel suo complesso a causa della pandemia.
Purtroppo per la Russia, i calcoli si sono rivelati disastrosamente sbagliati, la “spallata” è fallita e la “superpotenza mancata” si trova adesso invischiata in un conflitto convenzionale ad alta intensità che ha cominciato ma non riesce a condurre a termine. L’Occidente non è neppure sceso in campo con le proprie forze, eppure l’esercito russo è già in affanno, e Mosca paventa una colossale perdita di prestigio a livello globale.
Questa situazione che non implica un rischio esistenziale per la Russia, crea però le condizioni per un’umiliazione che le forze che hanno finora sostenuto Putin non potrebbero tollerare: pone quindi Putin stesso in una situazione precaria, per cui non può garantirsi quel successo militare che considerava a portata di mano, e neppure giocare la carta del conflitto globale che porterebbe ad una distruzione della Russia stessa non giustificata dal rischio corrente. In entrambi i casi – sconfitta in Ucraina o escalation globale – sa di non poter contare sul sostegno di militari, Servizi Segreti e oligarchi, per i quali entrambe le situazioni (chiaramente, soprattutto la seconda) risultano estremamente indigeste e tali da giustificare un eventuale colpo di palazzo, per quanto rischioso.
Di qui la difficoltà di un regime che deve necessariamente perseguire una soluzione militare limitata, e per di più ottenerla rapidamente: da una parte le sanzioni stanno rapidamente erodendo non solo l’economia nazionale, ma la stessa capacità produttiva militare, per cui il complesso militare russo non potrà reggere a lungo (diverse catene produttive militari sono ferme, e le scorte si stanno rapidamente esaurendo); dall’altra la tenuta dell’opinione pubblica interna, che finora è risultata solida, potrebbe cedere di colpo nel momento in cui il tasso di perdite e il livello dei mancati successi sul campo risultasse chiaro al pubblico russo. Ecco quindi la fatidica data del 9 maggio, entro cui Putin si aspetta di poter celebrare la vittoria. Vittoria che sarà dichiarata in ogni caso, magari limitata alla conquista di Mariupol, ma che neppure la potente macchina della propaganda russa potrebbe raffigurare in maniera convincente se l’Occidente prendesse qualche iniziativa esterna all’Ucraina.
Questo il senso del messaggio – relativamente rassicurante – che Lavrov ha recapitato ieri. Messaggio che va recepito con attenzione, ricordando che a parlare è l’orso Vladimiro.