La Macroeconomia è la branca delle scienze economiche che studia l’economia a livello aggregato, ovvero si occupa della struttura economica e della performance economica di interi Stati o di entità sovranazionali (cercata su Wikipedia, io di Economia non so nulla). Facciamo finta che esista anche una “Macrodiplomazia” riconosciuta (infatti Google non mi riconosce la parola) e che si occupi della struttura geopolitica e della performance strategica degli Stati: così possiamo provare a ragionare per grandi linee senza scendere troppo in dettagli che richiederebbero invece di un articolo un saggio completo di grafici e tabelle.
Il grande tema di questi giorni è l’avvio delle procedure diplomatiche a guida americana per cercare una soluzione negoziale al conflitto in Ucraina. Per certi versi questi tempi mi riportano all’avvio del processo di Dayton che condusse, sempre sotto l’egida americana, alla conclusione negoziata del conflitto in Bosnia. Come allora, abbiamo una guerra irrisolta sul piano militare, con l’Occidente più o meno schierato da una parte ben precisa, ma intenzionato a porre fine ai combattimenti in modo definitivo senza dover impiegare direttamente la propria forza militare. Come allora, abbiamo gli Stati Uniti riluttanti a impegnare la forza militare in Europa a scapito dei loro interessi strategici globali, ma decisi a impegnare il proprio prestigio e peso diplomatico per imporre una soluzione più o meno accettabile ai contendenti riottosi in una situazione in cui nessun altro sembra avere la capacità o il peso necessari per svolgere il compito di mediatore.
La differenza rispetto a Dayton è che questa volta è coinvolta direttamente nel conflitto un’altra potenza nucleare (che ama definirsi ancora “superpotenza” pur chiaramente non essendolo più). Questa differenza oggettivamente costringe gli USA (indipendentemente dalla personalità del suo Presidente) a distaccarsi dal resto dell’Occidente, che è parte in causa, e a posizionarsi come mediatore credibile anche per la Russia: in questo, la personalità dell’attuale POTUS aiuta sicuramente (almeno formalmente, “piace” ai russi). Questo perché un mediatore che non fosse almeno formalmente imparziale non sarebbe accettabile per una autodefinita “Superpotenza” che ambisce soprattutto proprio ad essere considerata alla pari con gli USA.
Il conflitto è fra Ucraina e Russia: in campo ci sono loro. La mediazione è fra di loro, e quindi formalmente è ragionevole che la trattativa veda come attori principali i due contendenti con il mediatore in mezzo. L’Ucraina si presenta al tavolo consapevole di avere la EU alle spalle, e questo la rende forte quanto e più della Russia; quindi, formalmente il concetto di lasciare almeno apparentemente fuori l’Europa non è così sbagliato. In fondo risultano esclusi ancor più seccamente anche l’ONU e la Cina.
Questo, formalmente.
Se andiamo alla sostanza, ovviamente le cose sono molto più complicate. La complicazione nasce dall’opacità dell’azione dell’amministrazione Trump. Questa opacità (resa tale dalla mole di dichiarazioni spesso contrastanti dei portavoce coinvolti) è difficile da leggere, perché potrebbe sia essere voluta, sia derivare da mancanza di indirizzo. Se è voluta, allora fa parte di un sofisticato gioco delle parti, di cui Zelensky sarebbe pienamente a conoscenza e così anche i principali rappresentanti europei (che concordino o meno con l’impostazione); sarebbe la conseguenza della piena consapevolezza di Trump della precarietà della posizione russa e mirerebbe a privare la Russia di qualsiasi giustificazione diplomatica, etica o giuridica portandola a rifiutare un accordo prima di passare al massiccio sostegno militare dell’Ucraina da sempre avvocato dagli Europei. Qui il vantaggio per l’America di Trump sarebbe evidente: un immenso aumento di prestigio internazionale, un netto guadagno economico a breve termine con il pagamento delle armi americane per l’Ucraina da parte europea, un guadagno a lungo termine con l’ipoteca sulle risorse naturali ucraine, un vantaggio strategico a lunghissimo termine con il collasso dell’unica potenza nucleare rivale a livello globale. Un ulteriore vantaggio sarebbe la ribadita superiorità strategica sull’Europa, che rimarrebbe in condizioni di sudditanza, e sull’Ucraina che diventerebbe una sorta di “Israele europea”, alleato privilegiato nella regione con un’elevata capacità militare propria. In questo caso avremmo una vittoria netta per l’Ucraina, un disastro per la Russia, un’umiliazione amara ma salutare per l’Europa, e un trionfo per l’America… Che però si ritroverebbe a vincere con un’agenda più “neocon” che non MAGA.
Nel secondo caso però, se l’opacità fosse dovuta ad una effettiva mancanza di coordinamento interno americano, o peggio ancora ad una specifica volontà americana di confondere non solo i contendenti ma anche i suoi stessi alleati, le cose si farebbero più complesse. In questo caso vorrebbe dire che Trump ha deciso di non accettare il punto di vista professionale del Pentagono e dei Servizi – consapevoli delle criticità della posizione russa – e di perseguire una linea strettamente ideologica, volta a salvare il Regime russo nella speranza di trasformarlo in un “cliente”, a schiacciare i propri stessi alleati europei in una posizione di sudditanza tale da prevenire ogni possibile crescita politica della EU, e a trasformare l’Ucraina in un “cuscinetto” da sfruttare a piacere in futuro per le sue politiche isolazionistiche. In questo caso avremmo una situazione di stallo amaro per l’Ucraina, uno stallo gestibile a mezzo propaganda per la Russia, un’umiliazione amara E dolorosa per l’Europa, e un successo relativo per l’America, che però risulterebbe perfettamente in linea con l’agenda MAGA, la quale prevede un assoluto controllo del Nordamerica e una gestione “da remoto” (meno dispendiosa) del resto del mondo, con criteri più economici che politici. Ovviamente in questo caso permarrà per un po’ il dubbio se l’opacità iniziale sia dovuta a calcolo oppure a mancanza di coordinamento…
Fin qui le cose sarebbero abbastanza lineari.
Purtroppo però, l’intera situazione sembra dominata da un fondamentale errore di percezione; poiché la percezione, sebbene dissociata dalla realtà fattuale, è fondamentale in politica e in diplomazia (ma non nelle operazioni militari), questo errore diventa esiziale.
L’errore di percezione consiste nell’idea proiettata volutamente dalla propaganda russa, fatta propria dalla pubblica informazione occidentale, e potenzialmente accettata anche da Trump, secondo cui la situazione bellica sul campo vedrebbe un’Ucraina allo stremo delle forze, una Russia ferita ma ancora piena di energie, e un’Europa che contribuirebbe solamente in minima parte allo sforzo bellico di Kyiv rispetto all’America.
Ora, questa visione è semplicemente fittizia. L’Ucraina è tutt’altro che alle corde: ha imposto l’arresto quasi completo alle forze russe, continua a crescere dal punto di vista della produzione bellica (con l’aiuto decisivo dell’Europa), ed è perfettamente in grado con l’aiuto europeo di continuare a resistere “finché sarà necessario”; è vero che per il breve e medio termine non ha la forza per riconquistare i territori occupati, ma è anche vero che sta conducendo una guerra difensiva, e il suo scopo principale è fermare i russi e salvaguardare la sua indipendenza, obiettivi perfettamente alla sua portata: riconquistare quanto perduto è l’obiettivo finale, di LUNGO termine. Al contrario, la Russia non è solo ferita: ha anche il fiato sempre più corto; la sua economia è sempre più strangolata dalle sanzioni, la produzione bellica non cresce da mesi ma arranca sui livelli raggiunti, le riserve obsolete dei depositi sovietici si esauriranno entro l’anno corrente e la logistica è sempre più stentata e meno affidabile. La capacità russa di mantenere l’offensiva è sempre più precaria, e in pochi mesi si esaurirà del tutto; poiché quella russa è una guerra di aggressione, la mancata conquista degli obiettivi prefissati (che non sono certo quelli attualmente conseguiti, come Putin continua a ripetere) e lo stallo sul terreno risultano politicamente inaccettabili per il Regime e per la popolazione che ancora lo sostiene. Con l’economia in caduta libera e la capacità militare sempre più degradata, la prosecuzione del conflitto nelle condizioni attuali risulta sempre più difficoltosa, e in mancanza di una “pace” accettabile o di una resa ucraina l’eventualità di un collasso militare diventa sempre più probabile; il dubbio permane solo circa la possibilità che quello economico si presenti ancora prima.
Questa è anche la situazione che il Pentagono e i Servizi hanno ben chiara; nel caso Trump abbia deciso di ignorarla non cesserà di essere reale.
Il risultato di quanto sopra è che la situazione negoziale è assai meno netta di come potrebbe vederla Trump nel caso egli punti a salvare il Regime russo. Poiché l’Ucraina NON è alle corde, Zelensky non è “costretto” a sedere al tavolo alle condizioni del mediatore, ma al contrario può porre a sua volta le sue condizioni per farlo… E può anche semplicemente rifiutarsi. La conseguenza sarebbe potenzialmente irritare Trump al punto da sospendere l’aiuto americano all’Ucraina. Ma questo aiuto, che potenzialmente potrebbe portare Kyiv alla vittoria militare sul campo se portato finalmente ai livelli richiesti, finora è stato più stitico di quanto a Trump piaccia raccontare (500 Miliardi $, figuriamoci!): se venisse a cessare ora che la Russia è in crisi economica irreversibile, il sostegno europeo sarebbe sufficiente a tenere in piedi l’Ucraina un giorno di più della Russia.
Ove Trump dovesse decidere di abbandonare Kyiv in seguito al rifiuto di Zelensky di adeguarsi ai suoi desideri, l’Ucraina non crollerebbe, e l’America perderebbe di un colpo quel suo prestigio internazionale che ha impegnato offrendosi da mediatore laddove nessun altro al mondo aveva voluto rischiare (il mediatore fallito si “brucia”, ed è per questo che tutti esitano ad offrirsi per il compito, per prestigioso che appaia). Trump agisce con l’attitudine da pescecane di un finanziere di Wall Street: ostentando forza e sicurezza superiori a quelle reali per cercare di intimidire gli avversari… In diplomazia non sempre funziona. Il vero finanziere però capisce anche quando è il momento di minimizzare le perdite e accordarsi con chi non si piega e non può neppure essere spezzato.
Di fronte ad una ferma presa di posizione di Kyiv, e ad una ancor più ferma decisione europea di sostenere l’Ucraina VERAMENTE “finché serve”, Trump dovrebbe cedere a sua volta per evitare di veder collassare il suo “Piano di Pace” prima ancora di sedersi al tavolo.
In conclusione: Trump si comporta come se avesse tutte le carte in mano, ma in realtà sta giocando d’azzardo sulle debolezze avversarie; Putin di carte ormai ne ha pochissime, Zelensky ne ha solo una più di lui (l’EU), e le Nazioni europee ne hanno al massimo una ciascuna. Ma se Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Polonia (Weimar +) si presentano insieme, hanno una Scala Reale.
ORIO GIORGIO STIRPE