Il 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale realizzato da Caritas Italiana, presentato lo scorso 17 ottobre in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà traccia un bilancio fatto di lacrime e sangue per tante famiglie italiane che stentano non solo a mettere insieme il pranzo con la cena ma non riescono più a pagare le bollette e affitti.
Si tratta del 10% della popolazione residente in Italia nel 2021, 2 milioni di famiglie, per la precisione; 1 milione e 960mila e cinque milioni e 571mila persone senza mezzi sufficienti per condurre una vita dignitosa, nella maggior parte delle quali, la povertà si tramanda di padre in figlio, una pesante eredità che ipoteca il futuro dei giovani più bisognosi e rafforza il blocco dell’ascensore sociale.
Se non fossero stati agganciati a meccanismi di solidarietà e accompagnamento, avrebbero rischiato di isolarsi e staccarsi dal resto della compagine sociale, dopo la pseudo solidarietà pandemica, proliferano sentimenti e atteggiamenti di discriminazione e di intolleranza verso chi sta peggio, chi segna il passo, chi vive in situazioni di fragilità ed esclusione, delle quali il più delle volte non sono oggettivamente responsabili.
La povertà assume l’aspetto sempre più “ereditaria o intergenerazionale”, quasi 1 cittadino su 10 (9,4%) ha vissuto in povertà assoluta ed è cresciuta più della media nelle famiglie numerose, con almeno 4 componenti, con la persona di riferimento tra 35 e 55 anni, con bambini fra i 4 e i 6 anni, nelle famiglie di stranieri e con almeno un reddito da lavoro, sono soprattutto gli stranieri a rivolgersi ai Centri Caritas (55%), nel 2021 le richieste di aiuto sono aumentate del 7,7%.
Il Sud si conferma l’area con la maggior incidenza di poveri, 10% dal 9,4% del 2020, mentre il dato diminuisce in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest, dal 7,9% al 6,7%.
La percentuale di poveri assoluti va dal 14,2% fra i minori, 1,4 milioni i bambini e ragazzi poveri, all’11,4% fra i giovani di 18-34 anni, all’11,1% nella classe 35-64 anni e al 5,3% fra gli over 65.
I poveri che possiedono al massimo la licenza media è passata dal 57,1% al 69,7%, con punte del 75% e dell’84,7% al Sud e nelle Isole, con la pandemia è cresciuta l’incidenza di disoccupati o inoccupati sulla condizione di povertà assoluta: passa dal 41% al 47,1%, mentre si contrae la quota degli occupati poveri (dal 25% al 23,6%).
Il 54,5% soffre di povertà “multidimensionale” legata a due o più ambiti di bisogno, prevalgono le difficoltà legate a fragilità economica, di occupazione e di abitazione, altre fragilità riguardano i problemi familiari, separazioni, divorzi, conflittualità, di salute o legati ai processi migratori.
La povertà non solo aumenta, ma si eredita, l’ascensore sociale funziona solo per chi ha la fortuna di nascere in una famiglia di classe medio-alta, mentre chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale ha scarse possibilità di poter migliorare la propria condizione.
I casi di “povertà intergenerazionale” pesano per il 59,0%, arrivando nelle Isole e nel Centro rispettivamente al 65,9% e al 64,4% dei casi totali, la zavorra riguarda innanzitutto l’istruzione: “Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare, sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare; al contrario tra i figli di persone con un titolo di laurea, oltre la metà arriva ad un diploma di scuola media superiore o alla stessa laurea.
La povertà ereditaria influenza anche l’ingresso nel mondo del lavoro: più del 70% dei padri degli assistiti risulta occupato in professioni a bassa specializzazione; il 63,8% delle madri è casalinga, mentre fra le occupate prevalgono comunque lavori con basse qualifiche, 1 figlio su 5 ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri mentre il 42,8% ha visto peggiorare la propria situazione, soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio.
Coloro che sono riusciti a raggiungere una qualifica professionale superiore ai genitori non trovano un’occupazione adeguata al proprio profilo professionale a causa dell’elevata incidenza di disoccupazione e di lavoro povero, più di un terzo degli assistiti,36,8%.
“Ai fattori fondamentali che determinano la trasmissione della povertà (educativa, lavorativa ed economica) -, si aggiungono dimensione psicologica (bassa autostima, sfiducia, frustrazione, traumi, mancanza di speranza e progettualità, stile di vita “familiare”), conseguenza di un vissuto lungamente esposto alla povertà e una più ampia dimensione socio-culturale (territorialità, contesto familiare, individualismo, sfiducia nelle istituzioni e nella comunità, povertà culturale), che coinvolge tutta la società ma si amplifica nelle fasce di popolazione in situazione di disagio”.
Il 41,3% dei giovani ha vissuto in famiglia gravi problemi economici a causa del Covid; il 44,1% riceve aiuto per pagare le spese scolastiche; il 37,4% non si sente preparato per continuare gli studi; il 57,1% non si sente pronto ad entrare nel mondo del lavoro; il 78,6% non è stato aiutato da nessuno a scuola per orientare il proprio futuro.
Il reddito di cittadinanza “raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%)”. Accanto alla componente economica dell’aiuto andrebbero garantiti adeguati processi di inclusione sociale. Ma al momento una serie di vincoli amministrativi e di gestione ostacolano tale aspetto”. Fra le proposte di Caritas Italiana, quella di “rafforzare la capacità di presa in carico dei Comuni, anche attraverso il potenziamento delle risorse umane e finanziarie a disposizione e un miglior coordinamento delle azioni”, e di prestare particolare attenzione ai nuovi programmi finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, tra cui GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori).
Alfredo Magnifico