Ultime notizie

Cerchiamo di arrivare alla fine del ragionamento prima che le “trattative” con Trump abbiano veramente inizio.

Trump è stato eletto POTUS dal popolo americano con 77 milioni di voti e con il mandato di difendere gli interessi degli Stati Uniti, non i nostri. Ora, potrà svolgere il suo compito bene o male, e ne risponderà agli americani, che nel frattempo devono tenerselo. Quanto a noi, è inutile piangerci addosso: non è colpa nostra se sta lì, e lui non è tenuto a fare ciò che vorremmo. Se poi quello che fa sia o meno ciò che vogliono gli americani, starà a loro giudicare fra quattro anni (indirettamente già fra due).

Nel frattempo però, è sacrosanto da parte nostra prendere atto delle sue azioni, valutare le sue intenzioni e decidere se i suoi modi ci piacciono o meno prima di stabilire come comportarci nei suoi confronti. Ora, al di là dell’unilateralismo e delle procedure discutibili per conseguire obiettivi che potrebbero anche sembrare ragionevoli da un punto di vista americano (la riduzione del debito, il riequilibrio della bilancia commerciale e la re-industrializzazione domestica), quel che salta vistosamente all’occhio è l’atteggiamento tenuto nei confronti dei suoi interlocutori, e soprattutto nei nostri (europei).

Come abbiamo osservato precedentemente, Trump adopera un linguaggio primitivo, rozzo e decisamente inadeguato alle consuetudini diplomatiche; evita di rispondere in modo chiaro e diretto alle domande specifiche, e preferisce ripetere i suoi mantra elettorali, non solo incontrando i favori del suo pubblico preferito, ma spingendo anche i suoi sostenitori ad usare lo stesso linguaggio sprezzante. Non solo ciò che incontra la sua approvazione è inevitabilmente sempre “awsome”, “fantastic” e “like never seen before”, ma soprattutto chi gli si oppone è invariabilmente “nasty”, “weak” e “the worst ever”: le vie di mezzo per lui non esistono, e tutto deve essere polarizzato secondo le regole dei talk show e dei film americani. Comportamento questo che non riserva solo ai suoi comizi, ma anche alle relazioni internazionali con il resto del mondo, in linea con il suo approccio da speculatore immobiliare applicato alla diplomazia.

Di nuovo, è irrilevante se questo atteggiamento ci piaccia o no: va valutato per quello che è, e la sostanza è una generale mancanza di rispetto per i suoi interlocutori, amici o nemici che siano. Mancanza di rispetto che deriva dal suo narcisismo. Per lui gli “amici” sono quelle persone o entità che possono essere usate a suo vantaggio, mentre i “nemici” sono quelle che NON possono essere sfruttate e dunque vanno eliminate o almeno neutralizzate.

Insomma, con Trump non si può essere amici nel comune senso della parola: nel migliore dei casi si può essere temporaneamente soci alla pari, e solo se si è rispettati. Il “rispetto” però lo si ottiene solo attraverso una miscela di somiglianza e di timore.

Trump accetta come suoi pari quei leader che a suo modo di vedere gli assomigliano (pur rimanendogli inferiori): quelli che si comportano come lui secondo la legge della giungla. Per questo sembra avere affinità con Putin, con Xi e perfino con Kim. Con loro lui sente di poter trattare senza precondizioni, perché capisce il loro modo di agire. Inoltre, rispetta il loro potenziale nucleare, perché rappresenta una forza temibile facilmente riconoscibile e di cui tener conto. Di contro, disprezza tutti quei leader che si conformano alle regole e ai principi legali, senza la volontà o la capacità di adoperare una diplomazia muscolare: fra questi, risparmia provvisoriamente coloro che si piegano docilmente alle sue necessità, mentre scarta o schiaccia quelli che gli oppongono resistenza.

E qui arriviamo a “noi”.

 

L’Europa è chiaramente un mistero per Trump, come lo è probabilmente per la maggior parte degli americani (e per tanti italiani); ovviamente non lo sono la Francia, la Germania e l’Italia, che sono per loro piccole Nazioni più o meno insignificanti se non per il turismo, la gastronomia e qualche prodotto di lusso: lo sono però le istituzioni comunitarie. Nel caso del cittadino comune è comprensibile che sia così, visto che spesso anche gli europei hanno dei dubbi in merito, ma nel caso del POTUS ci sarebbero fior di esperti disposti a spiegarglielo; come però abbiamo visto, Trump non ama rivolgersi agli esperti quando ha la sua idea ben radicata e/o si è creato una realtà virtuale in merito.

Se torniamo alla figura dell’americano medio convinto che l’aspirazione di ogni altro abitante del pianeta sia diventare americano, e al fatto che Trump viene visto da molti come “uno di loro” a causa del suo modo di essere e di pensare, arriviamo al punto secondo cui per il redneck dell’Iowa o per l’hillibilly dell’Ohio (ogni riferimento a J.D.Vance è ovviamente casuale) l’Europa è un’idea ridondante nel momento in cui esistono la Francia, la Germania e l’Italia con cui trattare, e quindi è “inutile”. Se poi qualche esperto prova a insinuare il dubbio che la EU sia magari inefficace politicamente ma rappresenti comunque un gigante economico e soprattutto commerciale, un POTUS che si basa sulle proprie realtà virtuali tende a reagire con fastidio, e di fronte all’ignoto da buon narcisista passa all’attacco verbale.

La EU è non solo “inutile”, ma anche “debole”, “corrotta” e ovviamente “nasty”: non fosse altro perché ha un sistema sociale diverso da quello americano (basato per esempio su IVA e Stato Sociale) e una bilancia commerciale nettamente attiva con l’America.

C’è un detto secondo cui “chi disprezza, compra”. Per Trump è un problema che un’entità che lui disprezza sia anche così irragionevolmente forte economicamente e abbia la pretesa di trattare alla pari con lui. Che questa pretesa ce l’abbiano autocrati forti in modo “classico” come Putin e Xi, per lui è comprensibile: sono le sue controparti in un mondo unipolare che lui concepisce come una serie di imperi continentali di cui il suo dovrebbe essere il più importante; Putin è visto come simpatico ma ormai nettamente ridimensionato e quindi non più pericoloso, e Xi è il suo vero avversario. L’Europa invece rappresenta un’anomalia nella sua visione del mondo: non dovrebbe essere forte, e quindi cerca di ignorarla; ma allo stesso tempo È forte, e quindi va affrontata. Di qui l’atteggiamento sprezzante.

Ma attenzione: Trump mostra sempre un atteggiamento sprezzante verso i suoi avversari diretti: verso i suoi NEMICI. Verso Biden, a Harris, ai procuratori che indagano su di lui, ai pochi repubblicani che gli si oppongono… E a coloro che nel mondo non vogliono uniformarsi al ruolo subordinato che secondo lui dovrebbero avere, come Zelensky; e come, appunto, l’Europa.

Non facciamoci illusioni: Trump vede l’Europa come un attore ostile. Questo, essenzialmente perché non la capisce, e quindi la considera pericolosa: più pericolosa di quanto non consideri l’ormai ridimensionato Putin; pericolosa almeno quanto Xi, ma più complessa da affrontare.

Dal suo punto di vista, probabilmente ha ragione.

 

La visione che Trump ha del mondo è simile a quella degli autocrati: ci sono gli imperi e ci sono i loro vassalli, più o meno importanti; gli imperi decidono ed eventualmente contrattano fra loro in base ai rispettivi rapporti di forza, e i vassalli si adeguano secondo le loro relative posizioni gerarchiche. Netanyahu, per esempio, ha appena scoperto la SUA posizione gerarchica: molto bassa.

Le cose però non vanno bene con molti – troppi – altri presunti vassalli. Il Canada osa rifiutare la generosa offerta di annessione, la Groenlandia si riscopre più danese che americana, l’Australia straccia i contratti militari e il Giappone cerca nuovi partners nell’Indo-pacifico assieme a quella Corea del Sud e quella Taiwan per i quali i dubbi su Washington improvvisamente superano l’innata diffidenza per Tokyo. Ancora peggio però, questi vassalli ingrati sembrano volersi ricompattare fra loro proprio intorno a quell’”inutile” Europa che a dispetto della sua presunta debolezza rischia ora di assumere il ruolo di guida dell’Occidente: il ruolo che Trump ritiene spettare a lui di diritto.

 

L’Europa di oggi, con le sue stratificazioni comunitarie, la sovrapposizione alle Nazioni sovrane e la società sempre più differente dal modello americano, non aspira minimamente ad essere alternativa all’America, ma la politica di Trump la sta rendendo tale, e quindi la rende sempre più invisa all’attuale POTUS.

Questi ha una visione arrogante e muscolare delle trattative, e vede come un segno di debolezza il fatto stesso che le sue controparti siano disponibili a trattare con lui; questo rende inevitabile doversi confrontare con lui da posizioni di forza. La strada da seguire per trattare con lui è stretta: troppa debolezza genera disprezzo e ulteriori appetiti, ma troppa protervia genera ostilità e chiusura; è un avversario difficile, e come tale va trattato, perché non è più un “amico ed alleato”. Al più, è un socio MOLTO difficile e del tutto inaffidabile. Chiunque vada a trattare con lui farà meglio a prepararsi bene.

 

ORIO GIORGIO STIRPE