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Siamo di nuovo al feticcio nucleare: è un po’ come la banderilla rossa nell’arena che fa infuriare il toro. I politici lo sanno, sia a Mosca che a Kyiv, e ne fanno ampio uso strumentale.

Ora è il turno di Zelensky: a leggere sui media, sia social che mainstream, sembrerebbe che stia minacciando la guerra atomica, il che probabilmente è esattamente quello che spera di far scrivere sui giornali occidentali. In realtà, lui non ha detto niente di simile: le dichiarazioni ufficiali del governo ucraino continuano a ribadire l’assoluta fedeltà al trattato di non proliferazione, e nessuna azione reale sembra contraddire tale affermazione. Nel contempo però indiscrezioni piuttosto dettagliate provenienti in forma più o meno anonima da Kyiv lasciano intendere che qualora il sostegno da parte del nuovo governo americano dovesse rivelarsi minore di quello precedente e la prospettiva di adesione alla NATO dovesse essere allontanata in maniera eccessiva, l’unica alternativa potrebbe essere proprio la creazione di un deterrente nucleare.

Una tale affermazione appare tanto più credibile, in quanto Zelensky avrebbe effettivamente detto che l’acquisizione di un deterrente nucleare da parte ucraina – o meglio la ri-acquisizione, visto che le testate nucleari l’Ucraina le possedeva fino al 1998 e vi ha rinunciato proprio su pressione americana in seguito al Memorandum di Budapest – sarebbe l’unica credibile alternativa di sicurezza futura ad una adesione alla NATO.

 

Il problema va inquadrato nel contesto dell’attuale situazione strategico-diplomatica ucraina: un trattato di pace al momento è semplicemente impossibile. E’ impossibile a causa delle rispettive costituzioni ucraina e russa, che proibiscono la cessione di territorio sovrano e che nel contempo sanciscono la sovrapposizione degli stessi (gli oblast di Sebastopoli, Crimea, Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhya e Kherson sono considerati propri da entrambi i Paesi a causa dei referendum voluti da Putin), ed è impossibile perché il cambio di confini imposto con la forza è un tabù per il diritto internazionale che la Comunità Internazionale – Cina inclusa, e questo è fondamentale –  non può accettare.

Poiché però la pressione internazionale per porre fine al conflitto continua a montare, rimane come unica via di uscita quella di un armistizio: una cessazione delle ostilità che però NON sancisca alcun cambiamento legale e riconosciuto della situazione giuridica degli oblast contesi, e che rimandi a tempo indeterminato la soluzione del problema possibilmente con metodi pacifici, come accadde per intenderci con la riunificazione della Germania o con l’occupazione sovietica dei Paesi Baltici.

In questa prospettiva, assume un’importanza centrale il tipo di garanzie che verrebbero riconosciute al Paese aggredito, e cioè all’Ucraina: perché questa accetti una soluzione anche solo temporanea che lasci parte del suo territorio sovrano all’occupazione nemica, occorre che sia sicura che l’aggressione non si ripeta per completare l’occupazione russa degli oblast contesi (ancora in larga parte in mano ucraina); dopo tutto anche il Memorandum di Budapest offriva garanzie che sono state completamente disattese da tutti i firmatari (USA, UK, Francia e Russia oltre che l’Ucraina stessa), e l’ONU è chiaramente screditata e fuori dai giochi a causa della presenza della Russia quale membro permanente nel suo Consiglio di Sicurezza.

Di fatto, i Pesi NATO e quelli in possesso di armi nucleari sono quelli che su questo pianeta godono della maggiore garanzia contro le invasioni straniere; sempre di fatto, l’Ucraina è l’unico Paese che abbia mai rinunciato al suo deterrente nucleare, ed è anche l’unico Paese che abbia posseduto armi nucleari ad essere stato invaso: se ne può discutere finché si vuole, ma questa è la percezione (giustificata) da parte di Kyiv.

 

Delle due garanzie, l’appartenenza alla NATO è sicuramente la preferibile: è politicamente più accettabile, economicamente più conveniente, e oggettivamente più sicura. Laddove però non fosse percorribile, occorrerebbe pensare ad un’alternativa, ed eccoci all’ipotesi del nucleare ucraino.

 

Si tratta di un’ipotesi tecnicamente credibile?

L’Ucraina dispone dello stesso know-how post-sovietico della Russia, e anche se ha perso gli sviluppi compiuti dalla Russia nel campo nel corso degli ultimi vent’anni, ha nel contempo approfondito i suoi contatti con l’Occidente; dispone di centrali nucleari proprie e di una base industriale relativamente avanzata: sicuramente più di quella del Pakistan, che pure dispone di un deterrente nucleare.

La tecnologia nucleare non è un segreto da tempo, e Nazioni avanzate come Germania, Italia e Giappone se solo lo volessero potrebbero dotarsi di armi nucleari in tempi brevi se non brevissimi. Nazioni che lo vogliono ma NON dispongono di una base industriale avanzata come l’Iran richiedono tempi molto lunghi. L’Ucraina è un po’ nel mezzo: per dotarsi di un deterrente nucleare avanzato impiegherebbe qualche anno, anche con il sostegno di Paesi volenterosi come la Gran Bretagna.

Esiste però la possibilità di dotarsi di armi nucleari non particolarmente avanzate, ma pur sempre estremamente potenti: “bombe atomiche” anziché “bombe nucleari”, cioè in pratica bombe simili a quelle del 1945, basate sul plutonio (o uranio, ma è inutile scendere sul tecnico) e non sull’idrogeno. Questo perché una bomba al plutonio (come quella di Nagasaki per intenderci) si può costruire a partire dalle scorie delle centrali nucleari di cui dispone l’Ucraina. Con la tecnologia attualmente disponibile quindi l’Ucraina potrebbe effettivamente costruire testate al plutonio di potenza ridotta (tattiche e non strategiche, adatte a distruggere aree di pochi chilometri quadrati: singole Brigate, basi aeree, piccole città); anche i vettori adattabili esistono già (aerei, missili e droni-jet) e richiederebbero modifiche minime.

Insomma, l’ipotesi è tecnicamente del tutto credibile.

 

Ma è anche politicamente credibile?

Insomma… Per molti versi ridurrebbe la simpatia per l’Ucraina nel mondo occidentale: l’opinione pubblica è emotivamente ostile alla proliferazione nucleare, e tende a dimenticare le responsabilità di chi le armi nucleari le ha già. Però l’elezione di Trump e l’incognita che questa rappresenta per il sostegno americano all’Ucraina (al di là delle numerose dichiarazioni che vanno dall’”inonderemo l’Ucraina di armi” al “Zelensky ha chiuso, niente più soldi per l’Ucraina da gennaio”, nessuno sa cosa Trump intenda fare, e forse non lo sa nemmeno lui) pone Kyiv nella necessità di “fare qualcosa” per evitare che la spina del sostegno occidentale (l’unica vera variabile nel conflitto) venga staccata proprio alla vigilia dell’anno decisivo. Già, perché nella situazione attuale entro il 2025 entrambi i Paesi esauriranno le proprie risorse belliche, ma senza aiuto occidentale l’Ucraina le esaurirebbe prima. Ma se nel frattempo l’Ucraina si dotasse di armi atomiche, il rischio di un loro impiego in caso di “minaccia esistenziale” (vittoria sul campo da parte russa) diventerebbe improvvisamente reale, e se questo avvenisse in seguito ad un’azione inconsulta da parte americana – l’abbandono dell’Ucraina – la responsabilità ricadrebbe in un certo modo proprio sull’amministrazione USA.

Nell’ottica di forzare la mano a Trump, l’ipotesi risulta quindi credibile.

 

Infine: è credibile militarmente?

In realtà, no. Innanzitutto inviterebbe un “primo colpo” da parte russa, cioè una serie di attacchi mirati, anche solo convenzionali ma molto pesanti per prevenire l’effettiva costruzione degli ordigni. Ma soprattutto, l’escalation nucleare contro un avversario dotato di un arsenale nucleare superiore non è militarmente ragionevole. Un primo impiego da parte ucraina autorizzerebbe la risposta simmetrica da parte russa escludendo una reazione della NATO. Quindi per certi versi faciliterebbe le cose a Putin, azzerando le simpatie occidentali per Kyiv. Sarebbe una specie di “muoia Sansone con qualche filisteo”… Un estremo dispetto per un nemico odiato prima della caduta finale.

 

Resta però il fatto che le ragioni militari hanno influenzato questo conflitto assai meno di quelle politiche, e di solito ciò che era conveniente politicamente è stato fatto a dispetto della poca convenienza militare, a partire dall’invasione stessa per arrivare all’operazione ucraina nel Kursk.

In questo senso, l’intera questione della minaccia nucleare ucraina assume l’aspetto di ciò che realmente è a mio parere: uno strumento di pressione su Trump. Perché Zelensky non sarà un politico particolarmente esperto, ma da attore professionista quale è (al pari di Reagan), è un profondo conoscitore dell’animo umano e sa cosa il pubblico si aspetta. Trump vuole passare per uno che risolve i problemi, e provocare una proliferazione nucleare conflitto durante non è sicuramente un effetto a lui gradito. Quindi agitare la banderilla rossa della minaccia nucleare si configura come un modo per mantenere aperta la strada dell’accesso alla NATO.

 

ORIO GIORGIO STIRPE