Per tutto il 2021 il dibattito italiano in materia di politiche del lavoro è stato condizionato dalla priorità di offrire un paracadute alle centinaia di migliaia di lavoratori destinati a essere licenziati dalle imprese in uscita dal blocco dei licenziamenti.
Per questa finalità, oltre che prorogare tale blocco per tutti i comparti dei servizi, è stata prevista una corposa riforma degli ammortizzatori sociali per estendere il numero dei beneficiari, per aumentare gli importi dei sussidi, e sono state adottate sei misure di pensionamento anticipato per i lavoratori anziani coinvolti nei percorsi di riorganizzazione aziendale.
Istat, Ministero del Lavoro, associazioni datoriali segnalano il brusco aumento della difficoltà delle imprese di assumere lavoratori con livelli percentuali di incidenza sul complesso dei fabbisogni professionali richiesti mai registrati nel passato.
Il sistema produttivo è popolato da biechi imprenditori desiderosi di licenziare i propri dipendenti per andare alla ricerca di lidi più felici frutto di esternalizzazioni e terziarizzazioni, di qui si giustifica l’indisponibilità dei disoccupati ad accettare nuove offerte di lavoro precario e mal retribuita, a questo si assomma la sulla Great Resignation che ha preso corpo negli Stati Uniti, le Grandi dimissioni volontarie da parte dei lavoratori che non sono più disponibili a effettuare lavori disagiati, poco gratificanti e non adeguatamente retribuiti.
Tra i soloni nostrani ci si spertica in dotte disquisizioni sul dare la colpa al reddito di cittadinanza che assicura un salario di riserva che consente ai beneficiari di rifiutare le offerte di lavoro sgradite.
Negli Stati Uniti il livello di disoccupazione è precipitato ai minimi storici al di là del fenomeno delle dimissioni volontarie, grazie agli aumenti dei salari.
In Italia il blocco dei licenziamenti durato per circa 20 mesi, con diverse gradazioni per i settori economici, e gli interventi a sostegno del reddito per i lavoratori per renderlo sostenibile anche per le imprese.
La crescita dei contratti a termine induce a pensare ad un recupero di occupazione ma il tutto è andato a discapito dei lavoratori a tempo indeterminato.
La riduzione della durata dei contratti a termine è motivata dalle graduali riaperture delle imprese o per motivi di stagionalità, considerando che tutto avviene in un contesto di incertezze aggravate dall’aumento dei costi energetici e dalla guerra.
Un analisi del Centro Studi nazionale dei Consulenti del lavoro, confronta le Comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro dei primi tre trimestri del 2019 con il 2021, ed evidenzia una crescita di dimissioni volontarie (per giusta causa, giustificato motivo, recesso durante il periodo di prova) del 13,8%, dovuto da una parte ai sostegni al reddito per il blocco dei licenziamenti, che ha ritardato; dimissioni volontarie, e nuove e migliori offerte di lavoro nella fase di ripresa delle attività produttive (circa 150 mila nel solo settore delle costruzioni).
L’impatto delle trasformazioni tecnologiche sulle organizzazioni del lavoro, sul ruolo delle risorse umane e sulle dinamiche della domanda e offerta di lavoro è un tema di grande rilevanza e che merita assolutamente di essere approfondito.
Come accompagnare le innovazioni tecnologiche con strategie aziendali e politiche del lavoro inclusive, il dibattito italiano non si rivela all’altezza
Le nuove tecnologie generano una riduzione della quantità e della qualità del lavoro? Assolutamente no
In molti di questi, l’aumento del tasso di occupazione e della produttività ha consentito anche una crescita dei salari medi e dei redditi familiari, infatti l’utilizzo dell’intelligenza artificiale con, purtroppo, il decremento demografico in età da lavoro, sta rivalutando l’importanza degli investimenti sulle risorse umane e da parte delle imprese l’obiettivo di aumentare la produttività prevale su quello di contenere le retribuzioni dei lavoratori.
Nelle classifiche internazionali, l’Italia risulta tra i peggiori in assoluto su; tasso di occupazione e crescita dei salari, impiego delle risorse umane, qualità del mercato del lavoro, indici di produttività.
I deficit di produttività e di occupazione, gli indici di precarietà delle condizioni salariali e lavorative sono concentrati nei comparti dei servizi protetti dalla competizione internazionale.
Le migliori performance in termini di investimenti, di ricerca e sviluppo, di produttività e di crescita dell’occupazione, risultano generate dalle multinazionali di proprietà estera e non da quelle italiane, pesano la con scarsa attrazione di investimenti internazionali, e il sottoutilizzo del risparmio interno destinabile agli investimenti.
La favola che non ci sono lavoratori non regge, uno stato assente, l’ispettorato del lavoro arresosi totalmente.
I Padroni non trovano lavoratori per il lavoro reso povero e da schiavi.
Quando si lanciano appelli, non si trovano camerieri e cuochi si trascura scientemente che in quel settore si annidano milioni di lavoratori che fanno prestazioni sommerse, doppi lavori, prestazioni non dichiarate o occasionali (oltre 3,5 milioni di posti di lavoro in nero a tempo pieno secondo l’Istat).
Buona parte di questi lavoratori dipendenti e autonomi risultano poveri solo per il fisco, dato che beneficiano di redditi reali superiori alla media dei colleghi, e per tale ragione beneficiano anche delle prestazioni assistenziali negate a coloro che pagano regolarmente le tasse.
Al di là delle stupidaggini che i contratti sono a ribasso causa i contratti pirati, ho la sensazione che i tre,sindacati di apparato conoscono poco i contratti, la loro dinamica e la loro involuzione.
Penso che l’aver snaturato l’industria del turismo che negli anni passati era la prima al mondo e oggi è surclassata anche dalla Turchia, dove ho trovato camerieri che si sono formati in Italia.
Terziarizzazioni, esternalizzazioni, appalti e subappalti, Bolkestein, McDonaldizzazione hanno snaturato le scuole del turismo che formavano i migliori operatori del turismo al mondo.
L’ultima tranvata al mondo del lavoro l’ha poi data il compagno Renzi con il Jobs act, tutta la sinistra politica e sindacale prona ad applaudire, e il lavoratore, non solo a tirare la carretta ma anche a dover subire le frustate.
Aspetto dalla sinistra due riforme: quella elettorale che ridia sovranità e voce al popolo con il ripristino delle preferenze, quella del lavoro che ridia dignità,certezza e giustizia al lavoro.
Alfredo Magnifico