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Il 36% dei disoccupati potrebbe attivarsi, ma, per ragioni misteriose, non invia curriculum, non partecipa a colloqui, dato assurdo e imparagonabile con nazioni simili alla nostra; in Portogallo non si va oltre al 20,2%, in Spagna il 18,4%, in Germania solo il 12,6%,infatti, l’Italia è il Paese in Europa in cui è più alta la percentuale di persone che non lavorano, anche se hanno l’età adatta per farlo.

La forza lavoro, che include chi ha un’occupazione e chi non ce l’ha ma la cerca, non è mai riuscita a raggiungere il 66%, neanche negli anni migliori.

Più del 34% tra i 15 e i 64 anni non solo non ha un impiego, ma non si è neanche attivato per procurarselo,  dato dovuto al fenomeno degli eterni studenti che rimangono diversi anni fuori corso, ai pensionati precoci che si ritirano prima dei 60 anni, non ultimo al lavoro nero,questi elementi sono tutti presenti nella società Italiana, ma meno di un tempo, grazie ad alcuni cambiamenti intervenuti in ambito pensionistico o universitario.

Stiamo parlando di un milione e 712 mila persone, 2 milioni e 585 mila allargando il bacino anche a 20enni e 60enni, il 42,2% di tutti quelli presenti nella Ue, una percentuale abnorme considerando che la popolazione italiana è solo il 13,3% di quella complessiva dell’Unione Europea

La percentuale massima di italiani che hanno intenzione di lavorare ma non cercano è stata raggiunta tra fine 2014 e inizio 2015, al culmine della recessione seguita alla crisi dell’euro, e si è avuto un secondo picco a causa del Covid, poco più di un anno fa, ora i numeri sono diminuiti, rimanendo però ancora superiori a quelli del 2009 e degli anni precedenti.

Come altri fenomeni che riguardano la mancanza di lavoro anche questo colpisce più le donne, nonostante il divario di genere sia diminuito nel tempo, le potenziali lavoratrici che non si attivano nonostante sulla carta vogliano un impiego sono l’8,4%, mentre si scende al 6,6% tra gli uomini.

I dati Eurostat mostrano un segmento della popolazione troppo scoraggiato per cercare un’ occupazione o di circostanze familiari che tengono lontani dal mondo del lavoro.

Oltre al fenomeno psicologico è probabile vi siano condizioni strutturali e concrete che impediscono l’incontro tra l’offerta e la domanda di occupazione.

C’entra molto il fatto che ben il 54% di questi “scoraggiati” sia arrivato al massimo alla terza media, mentre in Germania non si giunge al 30%, si tratta di una percentuale altissima anche per un Paese che non ha mai brillato per il livello di istruzione della sua popolazione. C’entra molto anche il mismatch delle competenze, o meglio ancora la mancanza di queste ultime tra la popolazione.

La prevalenza femminile in questo ambito si genera dalla carenza di welfare familiare adeguato, che consenta alle donne che hanno figli di avere una carriera, di non rimanere schiacciate tra responsabilità familiari e lavorative, soprattutto nelle fasce più fragili e povere della popolazione.

Siamo di fronte a un grande spreco, lo spreco di capitale umano da accrescere o utilizzare così com’è, anche se non arricchito da titoli, master, dottorati.

Ulteriore spreco che non potremmo permetterci, non dissimile da quelli più noti, che suscitano più indignazione, quelli della spesa pubblica, dei fondi europei non sfruttati, ancora più grave, si può rimediare all’inefficienza della Pubblica Amministrazione ma è più difficile recuperare un/una quarantenne che non ha mai lavorato in vita sua, ma lo avrebbe desiderato.

Alfredo Magnifico