Il Censis con il suo 56° Rapporto sulla situazione sociale del Paese lancia l’allarme; nel settore privato 4 milioni di lavoratori non raggiungono una retribuzione di 12mila euro annui, cresce il rischio di esclusione sociale, di questi il 41,2% risiede nel Mezzogiorno.
Nel 2021, sul totale degli occupati, il 9,7% si trovava in condizioni di povertà relativa, tra i lavoratori dipendenti la quota sale al 10,2%, nel Sud il dato raggiunge il 18,3%.
Nel settore privato sono oltre 4 milioni i lavoratori che non raggiungono una retribuzione annua di 12mila euro, di questi, 412 mila hanno un contratto a tempo indeterminato e un orario di lavoro a tempo pieno.
Nel 2021 le persone soggette a rischio povertà o esclusione sociale sono il 25,4% della popolazione, oltre uno su quattro, il 41,2% è residente nel Mezzogiorno, il 21% nel Centro, il 17,1% nel Nord-Ovest e il 14,2% nel Nord-Est, vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro, a rischio povertà o in condizioni di grave deprivazione,
Il 33,9% appartengono a famiglie il cui reddito principale è quello pensionistico, a fronte del 18,4% e del 22,4% appartenenti a famiglie con reddito principale da lavoro dipendente o da lavoro autonomo, il 64,3% sono membri di famiglie che percepiscono “altri redditi”, il 56,6% dei quali si qualifica anche come individuo a bassa intensità lavorativa, oltre 40% le famiglie dove almeno un componente non è italiano (42,2%) o dove vivono tre o più minori (41,6%).
La crisi energetica è la principale fonte di preoccupazione dal 33,4% al 43% le famiglie in una bassa condizione socio-economica più colpite dall’aumento dei costi incomprimibili.
Nel 2021 il 6,5% delle famiglie italiane era in ritardo con il pagamento delle bollette, in linea con la media europea, il dato potrebbe salire ancora nel 2022, l’8,1% delle famiglie afferma di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione, dato superiore di 1,2 punti percentuali al dato europeo.
La crescente spesa energetica sottrae risorse al resto dei consumi, inoltre, l’alto tasso di inflazione erode drasticamente il potere d’acquisto e il valore dei risparmi delle famiglie.
Cresce il disprezzo per i privilegi, ritenuti “odiosi” anche se gli italiani restano “silenti” e non scendono in piazza.
L’87,8% reputa insopportabili: le differenze eccessive tra le retribuzioni di dipendenti e dirigenti, l’86,6% le buonuscite milionarie dei manager, l’84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del Web, l’81,5% i facili guadagni degli influencer, il 78,7% gli sprechi per le feste delle celebrità, il 73,5% l’uso dei jet privati.
Nonostante la situazione critica “non si registrano fiammate conflittuali, intense mobilitazioni collettive con scioperi, manifestazioni di piazza o cortei”, ma “una ritrazione silenziosa dei cittadini perduti della Repubblica”.
Alle ultime elezioni il primo partito è stato quello dei non votanti, composto da astenuti, schede bianche e nulle quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto, ha segnato un record e una profonda cicatrice nella storia repubblicana.
Di fronte a questo nuovo contesto, “le insopportabilità sociali” elencate non possono essere frettolosamente liquidate con l’epiteto “populiste”.
In realtà, si tratta di segnali significativi del fatto che nella società si è avviato un ciclo post-populista basato su autentiche, legittime rivendicazioni di equità, in una fase in cui molti sentono messo a repentaglio il proprio benessere e si ingrossano le fila di cittadini sfiduciati dei rappresentanti della Repubblica Italiana.
Alfredo Magnifico