Ultime notizie

Default Placeholder

Agroecologia, zootecnia sostenibile e filiere corte per sistemi alimentari equi e sani, sono gli obiettivi del Green Deal Europeo a cui l’Italia deve guardare per un futuro rispettoso dell’ambiente

di Annalisa Maiorano

La guerra in Ucraina, i due anni di pandemia da Covid-19 e i cambiamenti climatici hanno aggravano la situazione alimentare nel mondo con un’impennata dei prezzi delle materie prime così come dei costi dei fattori di produzione, tra cui energia e fertilizzanti, per non parlare del numero sempre crescente di persone malnutrite a livello globale.

Secondo le Nazioni Unite, oltre 800 milioni di persone soffrono la fame e la maggior parte di loro vive nei paesi in via di sviluppo. Inoltre, 151 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni soffrono di arresto della crescita (altezza ridotta per la loro età), 51 milioni soffrono di basso peso per la loro altezza e 38 milioni sono in sovrappeso. Per questo è necessario di cambiare i sistemi agroalimentari globali in modo da raggiungere uno sviluppo sostenibile, dove la sicurezza alimentare è parte fondamentale e integrante del sistema.

Tale scenario pone all’attenzione di tutti la necessità che l’agricoltura e le catene di approvvigionamento alimentare europee diventino più resilienti e sostenibili, in linea con la strategia “Farm to Fork” che, al centro del Green Deal europeo, che si pone l’obiettivo di rendere i sistemi alimentari equi, sani e rispettosi dell’ambiente.

Anche se la disponibilità di cibo non è attualmente in gioco in Europa perché il continente è in gran parte autosufficiente per molti prodotti agricoli, si assiste ad un inasprimento di una situazione già di per sé sfidante, che impone un grosso limite all’agricoltura nell’importazione di prodotti specifici e la sottopone a elevati costi di input insostenibili sia nel medio che nel lungo periodo.

I settori più a rischio in Italia

Il settore che registra attualmente maggiori ripercussioni è quello zootecnico.

In Europa il 70% delle materie prime per i mangimi degli animali, fra cui il mais è di origine extra UE. In Italia oltre l’80%, del suddetto cereale è destinato all’uso zootecnico. Oltre alla perdita del mais ucraino è stato annunciato anche il blocco delle esportazioni anche dall’Ungheria per tutelare la domanda interna. L’Ungheria con circa il 35% è il principale fornitore di mais per l’Italia. Le importazioni del cereale nel Bel Paese rappresentano quasi il 50% della domanda interna, in aumento da alcuni anni a causa del crollo delle superfici coltivate a mais. Gli agricoltori italiani hanno, infatti, smesso di produrlo per il prezzo troppo basso sul mercato, preferendo altre colture in grado di garantire redditi più alti. Il risultato di queste scelte è stata la perdita dell’autosufficienza nella produzione. Anche la filiera dell’olio di girasole, usato per conserve, prodotti da forno, salse, fritture, risentirà degli effetti della guerra, perché l’Ucraina ne detiene il 60% della produzione e circa il 75% dell’export mondiale e rappresenta il principale coltivatore di girasoli al mondo.

Per quanto riguarda il grano, invece, le aziende agroalimentari italiane ne importano dall’Ucraina una ridotta quantità, circa il 5% del proprio fabbisogno, che può essere agevolmente soddisfatto dalla produzione europea di frumento che supera attualmente la domanda interna degli Stati membri dell’Unione. L’aumento del costo del grano, duro e tenero, è purtroppo in atto da ben prima del conflitto tra Russia e Ucraina ed è causato da una parte dalle speculazioni finanziarie e dall’altra dalla riduzione delle produzioni in Canada, a causa della siccità che ha colpito il nord America nella stagione 2020-21. Nel 2022 eventuali carenze di grano o altri cereali in Italia potrebbero essere generate dalla grave siccità che anche in questi giorni sta colpendo il nostro Paese e che avrà ripercussioni sul raccolto di quest’ estate.

Zootecnia e agricoltura intensiva favoriscono la deforestazione e l’emissione di gas sera nell’aria

Attualmente il 70% della superficie agricola utilizzata in Europa è dedicata a materie prime destinate ai mangimi per la zootecnia intensiva, necessari per sostenere una produzione e una domanda crescenti di carni, salumi, formaggi, latticini, uova e pellami per l’abbigliamento e l’industria manifatturiera. Nonostante l’uso di questa grandissima percentuale di superficie agricola, il mercato delle materie prime destinate alle filiere zootecniche dipende sempre più dalle importazioni da Paesi extra UE, rendendosi responsabile della deforestazione e distruzione di ecosistemi nelle aree più ricche di biodiversità del nostro Pianeta, come avviene ad esempio in Sud America, con l’estendersi incessante delle coltivazioni di soia e di pascoli per l’allevamento dei bovini da carne. Il settore zootecnico è il principale responsabile anche delle emissioni di gas climalteranti da parte dell’agricoltura, dove un ruolo importante lo ha il metano, generato dal metabolismo degli animali allevati e dalla gestione delle deiezioni zootecniche responsabili del grave inquinamento da nitrati di suoli e corsi d’acqua. Questa dipendenza dall’estero incide significativamente sui prezzi, che registrano un continuo aumento per tutte le materie prime utilizzate per i mangimi, con rialzi in alcuni casi anche superiori al 100%.

L’Europa e con essa l’Italia hanno fortemente puntato sulla zootecnia intensiva attirate dalla maggiore redditività per le aziende agricole. In realtà i margini di guadagno economico per le aziende zootecniche si sono ridotti nell’ultimo decennio.

Ridurre la domanda di carne e prodotti di origine animale consentirebbe di ridimensionare il comparto della zootecnia intensiva, con una riduzione del numero di animali per allevamento a favore di una produzione animale più estensiva, basata sul pascolo.

La superficie agricola liberata dalle produzioni destinate alla zootecnia potrebbe essere così destinata a produzioni alimentari per uso umano diretto.

 

L’agroecologia, una soluzione possibile

L’agroecologia è la scienza che applica i concetti e i principi dell’ecologia per progettare e gestire sistemi agro-alimentari sostenibili. La pratica dell’agroecologia potrebbe contribuisce a regimi alimentari sani, sostenibili, equi, accessibili, diversificati, stagionali e culturalmente appropriati. Rafforzare la vitalità degli ecosistemi nelle zone rurali, attraverso una rinaturalizzazione delle campagne, una migliore integrazione di zootecnia e agricoltura e una riduzione degli input chimici in campo, aiuterebbe a creare sistemi produttivi integrati e resilienti, capaci di garantire una migliore sicurezza alimentare in tempi di crisi, così come un’equa redditività agli imprenditori agricoli. L’agroecologia si basa sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili e sull’esperienza e competenza degli agricoltori, promuovendo comunità di pratiche innovative e sostenibili. L’attenzione ai sistemi locali ridurrebbe la dipendenza dall’importazione delle materie prime agricole e aumenterebbe la resilienza dei sistemi agroalimentari.

Una zootecnia sostenibile favorirebbe la vitalità del suolo e la presenza di sostanze organiche che incrementerebbero il livello di biodiversità nei sistemi agricoli. Le filiere corte, basate sulla relazione diretta tra agricoltori e consumatori nei territori, sono un aspetto importante dell’approccio agroecologico, in quanto favorirebbero la multifunzionalità delle aziende agricole garantendo maggiori margini economici nel rapporto costi di produzione e entrate, derivanti dalla vendita diretta, spesso per prodotti trasformati ad elevato valore aggiunto come: conserve, salumi, formaggi e latticini. Le filiere corte garantirebbero al sistema agricolo una maggiore flessibilità e una rispondenza alla domanda locale, con una minore dipendenza dalle filiere logistiche globali e dalle importazioni dall’estero delle materie prime. Tuttavia, ovviamente, i sistemi agroalimentari locali a filiera corta non sarebbero mai in grado di soddisfare completamente i fabbisogni alimentari di un Paese con milioni di abitanti, in particolare quando esiste una forte concentrazione della popolazione nelle città lontane dalle aree agricole; per questo è necessario ricercare il giusto equilibrio tra produzioni locali diversificate e filiere agroindustriali sostenibili, creando relazioni con reti diffuse di produttori a livello nazionale ed europeo, riducendo la dipendenza dalle importazioni da Paesi extra UE e fissando criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica nella produzione delle materie prime.

 

Annalisa Maiorano