In Italia con la crescita dell‘inflazione che si assesta su valori superiori alla media europea (11,6% rispetto al 9,2%); di cui due terzi dell’incremento è causata dai prezzi dell’energia importata, il resto dall’aumento di prodotti e servizi, di certo una mano ad impennare ulteriormente l’inflazione la darà il mancato rinnovo dello sconto sulle accise dei carburanti, (rinnovato con 4 decreti aiuti nel 2022), e il rialzo delle tariffe del gas nel mercato tutelato.
La previsione di un’inflazione superiore alla media europea, per il 2023 pone seri problemi per la sostenibilità delle politiche adottate per contenere l’impatto dell’aumento dei prezzi su produzione e occupazione.
L’erogazione di oltre 70 miliardi di euro di aiuti statali, l’utilizzo di una parte dei risparmi accumulati nel corso della pandemia, la tenuta delle esportazioni nei comparti manifatturieri, delle costruzioni, la ripresa del turismo, la gestione accorta del personale da parte delle imprese e l’utilizzo temporaneo degli ammortizzatori sociali ha permesso di non infierire troppo sulle disastrate finanze familiari.
La possibilità di finanziare gli aiuti con le maggiori entrate fiscali si è esaurita, i nuovi aiuti disposti con la Legge di bilancio vengono finanziati con aumento di deficit sperando in un ribasso dei prezzi delle energie nei prossimi mesi.
La riduzione dei contributi previdenziali del 3% sui salari fino a 25 mila euro anno e del 2% per la fascia fino a 35 mila, l’onere di sostenere il potere d’acquisto delle retribuzioni viene di fatto trasferito sulla contrattazione collettiva, l’effetto più temuto è la ripresa della rincorsa tra i prezzi e i salari che potrebbe comportare una perdita di competitività delle imprese meno solide e una svalutazione dei redditi fissi che non hanno una tutela contrattuale adeguata.
La difficoltà di rinnovare i contratti dipende dall’indisponibilità delle imprese di assecondare le richieste di aumenti salariali allineati alla crescita dei prezzi che si aggiungono all’incremento dei costi dell’energia. Le intese confederali prevedono che l’aumento dei minimi salariali nazionali debba tener conto dell’incremento dell’inflazione prevedibile al netto dell’incremento dei prezzi delle fonti energetiche importate.
Da parte delle organizzazioni sindacali dovrebbe risultare difficile accettare una svalutazione del 5/8% del salario per oltre 6 milioni di lavoratori in attesa dei rinnovi contrattuali.
Che fare?
· Servirebbe alleggerire il carico fiscale dei lavoratori portando la riduzione del cuneo fiscale a 5 punti,
· ridurre le aliquote di prelievo dell’Irpef in proporzione alla crescita dell’inflazione,
· prevedere una legge che superi il precariato (modello spagnolo.)
· finanziare l’impatto dell’inflazione sui redditi con l’allargamento del deficit e del debito pubblico, (tema che si riproporrà per ridurre le accise sui carburanti e per gli aiuti alle bollette energetiche).
Soluzione che comporterebbe un ampliamento del debito pubblico ma anche un ricarico in termini fiscali sui cittadini del ceto medio, con redditi lordi superiori ai 35 mila euro, che pagano le tasse.
Per ridurre il deficit del sistema pensionistico, è stata ridotta l’indicizzazione 2023-24 delle pensioni lorde superiori ai 2600 euro svalutando tra il 7% e il 12% con un risparmio superiore a 40 miliardi sulla spesa pensionistica.
I contratti aziendali e territoriali potrebbero essere lo strumento per destinare parte di redditività e produttività alla crescita dei salari che la Legge di bilancio tassa al 5% o esentasse se destinati a prestazioni Welfare.
Ma…… allo stato attuale la contrattazione aziendale o territoriale coinvolge meno di un terzo dei lavoratori dipendenti.
La contrattazione procede in ordine sparso, il rinnovo di contratti collettivi e accordi aziendali, risultano in sofferenza i comparti dei servizi caratterizzati da una bassa produttività, con salari inferiori alla media e che faticano a trovare personale disponibile, non sarebbe male per la politica orientarsi sul salario minimo.
Orientare la contrattazione su obiettivi di crescita: della produttività, dei salari, della qualità del lavoro, delle competenze dei lavoratori, adottando soluzioni intermedie, con erogazione di anticipazioni su aumenti salariali in assenza del rinnovo dei contratti per i 3 milioni di lavoratori dei comparti del commercio, obiettivo che può essere colto nell’arco di cinque anni in parallelo all’attuazione del Pnrr.
Introdurre il Salario Minimo, premiare la produttività per contrastare l’inflazione, aumentare i salari; per rendere appetibile determinati lavori e superare la carenza di lavoratori.
La ricetta c’è sarà difficile farla passare.
Alfredo Magnifico
Segretario Generale
Confintesa Smart