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Il 21 marzo 2023, lo United States Department of Energy – Dipartimento dell’energia
degli Stati Uniti d’America – ha confermato le indiscrezioni che circolavano da giorni:
gli scienziati della National Ignition Facility (Lawrence Livermore National Lab, in
California) sono riusciti a generare più energia da un processo di fusione nucleare di
quanta non ne abbiano immessa.
Un primato storico, vitale per la speranza di riuscire, un domani, a generare elettricità
pulita in quantità massiccia.
Il risultato annunciato è importantissimo, inseguito da tempo nel campo della fusione,
anche se la possibilità che si possa sfruttare questa nuova fonte nell’immediato è mera
utopia.
Si è, infatti, in presenza di meri dati scientifici, sperimentali che, se da un lato
confermano la plausibilità della fusione nucleare e la sua futura convenienza dal punto
di vista dell’energia in eccesso, dall’altro necessitano di ulteriori esperimenti, tentativi,
affinché si concretizzi la validazione della fisica esistente dietro al processo.
Solo in tal modo si potranno cominciare a costruire dei reattori in grado di produrre
energia pulita da utilizzare : cosa che, come raccontano gli scienziati statunitensi,
richiederà almeno altri due decenni.
Il prossimo passo, dunque, sarà di dimostrare di poter generare energia elettrica dal
sopra descritto processo .
In Europa, da circa un ventennio, si sta cercando di realizzare un maxi-reattore che si
differenzia dagli altri per le dimensioni di una futura centrale elettrica da fusione, pur
rimanendo un reattore sperimentale.
I ricercatori del consorzio internazionale che lo animano sperano di immettere 50
megawatt per ottenerne 500 : valore corrispondente ad una centrale elettrica medio-
grande.
Altrove nel mondo si sperimenta su macchine più piccole e progettualmente
innovative.
Alcune di queste realtà sostengono di poter effettuare una dimostrazione già nel 2025,
per arrivare alla loro commercializzazione nel 2030.
Trattasi, però, di una previsione assolutamente azzardata.
Tutte le macchine da fusione sono ancora lontane dalla sostenibilità della reazione,
dalle giuste dimensioni di un reattore aventi le caratteristiche e le dotazioni di una
centrale termica.
In tale ambito, l’industria italiana non detiene più la posizione strategica e di
preminenza di una volta.
Un tempo l’Italia era, in campo nucleare, tra le prime potenze al mondo : per la
precisione, negli anni settanta, era terza dietro soltanto agli Stati Uniti ed al Regno
Unito.
Il referendum del 1987 ha rappresentato una battuta d’arresto, anche se le aziende e i
centri di ricerca italiani hanno continuato a mantenere un importante presidio di
competenze.
La tradizione nucleare italiana si è personificata nell’Università di Roma prima e nel
Politecnico di Milano successivamente: istituti che hanno fatto da capofila a progetti
molto avanzati nel campo dei reattori, piccoli e modulari.
Aziende come Ansaldo hanno lavorato ad alcune importanti innovazioni nel campo del
nucleare di nuova generazione ed oggi sono operative nella costruzione di reattori, tra
cui lo stesso Iter.
Attualmente l’Italia possiede il predominio tecnologico del raffreddamento a piombo
fuso : peculiarità che rappresenta uno dei sei filoni del cosiddetto nucleare di quarta
generazione.
Ciononostante, le aziende italiane sono costrette a lavorare all’estero: il reattore
prototipo, basato interamente sulle tecnologie italiane, sarà costruito in Romania.
Mentre le nostre competenze sopravvivono a distanza di 35 anni dalla cancellazione
del comparto, altri Paesi, senza alcuna esperienza, stanno avviando programmi
nucleari.
Peraltro, l’attuale situazione di emergenza energetica obbliga, o dovrebbe obbligare,
l’Italia ad occuparsi fattivamente di energia nucleare, evitando quelle discussioni
puramente accademiche che, ancorché articolate, non tengono in alcuna considerazione
il ruolo crescente che avrà l’energia nucleare nel portafoglio energetico europeo, dove
sono programmate, o in costruzione, 29 centrali da aggiungere alle 122 già esistenti.
Attualmente il nucleare fornisce il 13% dell’elettricità in Europa; l’Italia zero anche se
ne importa per il 14% dalle centrali poste al confine.
Dobbiamo cambiare il nostro mix energetico : cambiamento che richiede una
programmazione di almeno 10-15 anni, necessaria per allontanare il Paese dall’attuale
80% di dipendenza dall’energia estera.
Queste condizioni vanno poste quanto prima.
Per costruire gli impianti in Italia ci vorrà tempo, come per qualunque centrale
energetica, anche se, è d’uopo sottolinearlo, non esiste altro impianto – fotovoltaico,
eolico, a gas o a carbone – che regga il confronto con una centrale nucleare in termini
di output continuativo, occupazione del suolo, durata nel tempo.
Un governo serio che voglia affrontare veramente la crisi energetica, non solo
attraverso interventi sulle bollette ma, con soluzioni a lungo termine, deve intervenire
sulle condizioni di volatilità dei prezzi generata essenzialmente dalla nostra dipendenza
energetica dai Paesi esteri.
Si studi un cambiamento della generazione elettrica italiana, con l’obiettivo di garantire
l’indipendenza energetica del Paese, senza discriminazione tra tecnologie non
emissive.

 

Dario Festa