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Antonio è in carcere da 25 anni, Rebibbia è ormai la sua casa e, anche se potrebbe chiedere i domiciliari, non ha un altro posto dove andare; dopo aver perso il lavoro di autista parlamentare, Loris si è reinventato come autista di car pooling e per guadagnare cifre accettabili deve praticamente viverci in macchina; Mila fa la cassiera in un supermercato e accetta tutti i turni disponibili da quando il marito attore non ha più offerte interessanti e passa le giornate incollato allo smatphone tentando di mantenere accesa l’attenzione su di lui attraverso i social; Sara è un medico di pronto soccorso, ex moglie di Loris, si è risposata con Luca, avvocato di successo, ma i due vivono esistenze parallele, incontrandosi e condividendo poco o nulla; Valerio sta per diventare padre ma dalla vita vuole di più ed è disposto a tutto per ottenerlo.
I personaggi del nuovo film di Paolo Virzì si muovono inquieti e disorientati in una Roma prosciugata da tre anni di Siccità, dove la vita è una lotta quotidiana per la sopravvivenza. L’acqua è razionata e gesti banali come lavarsi fuori orario o innaffiare le piante sono diventati una pericolosa infrazione alla legge.
La città è ridotta a un agglomerato apocalittico e spettrale, in cui il letto del Tevere si è trasformato in un canyon da cui riaffiorano vestigia dell’antico splendore, e i Pronto Soccorso degli ospedali sono invasi da pazienti affetti da una febbre misteriosa, che li fa cadere in una specie di letargo da cui molti finiscono per non risvegliarsi.
I poveri cercano di sopravvivere facendo interminabili code ai punti di distribuzione dell’acqua, non potendosi permettere di acquistarla visti i prezzi stellari (nei bar una bottiglietta costa 10 euro!). I ricchi che possono comprare l’acqua hanno altri problemi, quelli di sempre forse: nevrosi, ansia, dissidi familiari, tradimenti coniugali. C’è anche qualcuno che riesce a lucrare sulla situazione e, come se niente fosse, con l’acqua continua a riempire piscine concedendosi così il lusso di sfuggire alla realtà e convincersi che vada tutto bene.
Evidentemente il film è stato occasione per il regista e gli sceneggiatori di rielaborare alcuni tra i più significativi traumi collettivi del periodo più duro della pandemia ed ecco che ritroviamo nella storia alcune dinamiche che hanno caratterizzato gli ultimi due difficilissimi anni che ci siamo lasciati faticosamente alle spalle. Ad esempio il ricorso spasmodico all’informazione non stop che si autoalimenta in un flusso continuo, cercando di dare risposte a fenomeni di cui non sappiamo spiegarci l’origine, ricorrendo all’esperienza e alla preparazione di studiosi e professori.
Questi ultimi a dire il vero non sempre si rivelano all’altezza della situazione ma finiscono progressivamente per rivelarsi in tutta la loro umanità, sedotti dalle lusinghe della notorietà che ne alimenta la vanità e preda del desiderio di far parte della cerchia di quelli che contano.
La politica invece è completamente assente e chi non ha altri riferimenti a cui appigliarsi si rifugia nella fede, chiedendo, attraverso riti, processioni, momenti di preghiera, l’intervento di un potere superiore che metta fine al flagello.
Un film corale, dunque, pieno di attori che riescono a dare vita a un’umanità dolente e spaesata (solo per citarne alcuni, Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Elena Lietti, Max Tortora), in cui Virzì ci aiuta a fare i conti con il recente passato ma – dopo l’estate più calda e siccitosa di sempre – con un tempismo disarmante riesce a porci di fronte anche a possibili, inquietanti, scenari futuri.
AM