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Putin ha parlato alla Nazione.
Ma cosa ha voluto dire esattamente?

Ci sono esperti diplomatici, economici, comportamentali e di ogni altra disciplina al lavoro, e presto avremo le loro opinioni. Mi limiterò agli aspetti militari e ai loro riflessi.
Cominciamo con: “a chi stava parlando?”

Prima di tutto si rivolgeva al popolo russo. Ha ribadito gli scopi iniziali per l’”Operazione Militare Speciale” (Shoygu ormai parla apertamente di “guerra” e non è ancora stato arrestato… Mah!) senza deflettere dalla sua narrativa iniziale. Quello che è cambiato è lo sfondo: le operazioni militari eroiche contro cui si staglia il suo discorso sono passate da un’invasione “imperiale” ad una “eroica difesa della madrepatria”.
Il senso di sconfitta imminente permea il discorso, ed è evidente il tentativo di mobilitare lo spirito patriottico dei cittadini in modo da renderli non più spettatori sugli spalti del circo, quanto gladiatori nell’arena: il “secondo esercito più potente del mondo” ha fallito la sua missione, e ora tocca al popolo stringersi intorno al suo zar per difendere la Rodina.
Putin cerca di ricreare lo spirito del 1941, quando i russi si strinsero intorno a Stalin sebbene lo detestassero in tanti, perché la Patria era in pericolo. Anche i referendum appaiono volti a questo scopo, perché attraverso l’integrazione dei territori contesi nella Federazione, nella sua logica Putin trasforma gli ucraini in invasori da fermare e ricacciare indietro.
Il referendum sulla Crimea innalzò la popolarità di Putin a livelli stratosferici, e adesso spera di ricreare lo stesso effetto.

L’audience secondaria è l’opinione pubblica occidentale. In sostanza Putin sta rilanciando a poker, come al solito. La sua è la classica tattica dell’”escalate to de-escalate”, una sorta di minaccia “datemi retta altrimenti spacco tutto!”, con cui spera di convincere l’Occidente ad accettare negoziati che lascino ai russi se non tutto quello cui ambiva inizialmente lo zar almeno quello che hanno in pugno attualmente.
La minaccia all’Occidente appare duplice: da un lato si agita il feticcio della guerra nucleare davanti al naso dell’opinione pubblica sperando di spaventarla e di ottenere pressioni pacifiste sui governanti; dall’altro si preme sui governi con il messaggio che in mancanza di un accomodamento sui termini russi la guerra durerà molto a lungo.

Un’audience accessoria era il resto del mondo, e in particolare un’Eurasia ormai piuttosto scettica davanti ai fallimenti militari e allo stallo di fatto in Ucraina.

Quindi in sostanza da una parte ha chiamato i russi a non essere più solo spettatori, ma attori della sua guerra, e dall’altra ha premuto sull’Occidente per invitarlo a favorire una trattativa che accolga le principali richieste di Mosca, cercando nel contempo di ristabilite il prestigio internazionale della Russia quale Superpotenza.
Abbastanza semplice.

Quando però entriamo nel merito delle dichiarazioni di Putin, la nostra analisi si complica.
Il pasticcio della “mobilitazione parziale” è un capolavoro di mediazione fra esigenze contrapposte propugnate dalle ali opposte del Regime.
L’unico limite di tale disposizione è la non chiamata in servizio delle classi di leva non ancora chiamate alle armi, ma per il resto è aperta ad almeno 25 milioni di cittadini cha hanno svolto il servizio militare in passato, non importa quando e in che forma.
Anche il numero accennato da Shoygu (“circa 330 mila”) è di gran lunga fuori dalla realtà.
Per richiamare tanti riservisti non basta inviare il corrispondente numero di cartoline. Occorrono una organizzazione di accoglienza e alloggiamento, strutture addestrative, personale istruttore, equipaggiamento individuale, tempo per eseguire l’addestramento (le tre settimane proposte sono buone a ricordare ai riservisti come si spara, se va bene) e una leadership di inquadramento con cui andare poi a combattere… E a quel punto occorre anche quell’equipaggiamento pesante di cui l’esercito regolare difetta anch’esso.

Questi problemi basterebbero a indicare come il massimo effetto possibile di questa mobilitazione sarebbe di disporre fra qualche mese (da due a sei indicativamente) di trecentomila uomini armati di fucile e in uniforme, capaci al massimo di stare in una trincea e forse di sparare a ciò che si vedono davanti.
Ma in realtà le cose stanno molto peggio.
Il primo effetto del discorso di Putin alla Nazione è stato l’esaurimento dei biglietti aerei per lasciare la Russia. I motori di ricerca hanno avuto un’impennata di richieste su “come uscire dalla federazione Russa”, “come lasciare l’esercito russo” e perfino su “come rompersi un braccio”.
Al confine con la Finlandia si è subito creata una coda di auto russe lunga trenta chilometri, piene di turisti pietroburghesi in età di leva ansiosi di visitare l’Occidente… Ancora peggio, le strade di numerose città si sono riempite di manifestanti arrabbiati.
Fintanto che la guerra di Putin era un affare da seguire in TV andava ancora bene, ma non sembra che ai giovani russi interessi prendervi parte attiva. Soprattutto quando si tratta non di vincere, ma di perdere in malo modo.
Dopotutto, quando il gruppo Wagner ha cominciato ad arruolare i carcerati, la risposta alle critiche dei russi era stata “o i carcerati o i vostri figli”… Ora Putin arruolerà sia i carcerati che i figli dei russi.
Come la cosa possa risultare sorprendente per il Regime non si capisce: in fondo la richiesta di volontari ben pagati era in atto da tempo, e a dispetto della convenienza economica si sono presentati in ben pochi fra quelli che avevano le stesse qualifiche ora indicate per la mobilitazione… Ovvio che nessuno gradisca la stessa prospettiva senza nemmeno la gratificazione economica.

Circa l’Occidente, i Governi hanno ovviamente accolto il discorso per ciò che è: un segno di debolezza e quasi di disperazione. I referendum sono già stati qualificati come illegali e le minacce nucleari restituite al mittente.
I media e l’opinione pubblica hanno espresso più recettività, perché la preoccupazione per la minaccia atomica rimane alta a dispetto delle rassicurazioni, ma non si vede quella mobilitazione pacifista in cui il despota del Cremlino sembra ancora sperare: la gente si stanca anche di aver paura.

Infine, il resto del mondo. Il Kazahstan che adotta le sanzioni occidentali alla Russia e la Turchia che ribadisce come la Crimea “debba tornare ai suoi legittimi proprietari” erano già un brutto segno, per non parlare dell’accoglienza entusiastica che gli armeni hanno riservato a Nancy Pelosi dopo l’”arrangiatevi” che Putin ha inviato loro in risposta ad una richiesta di aiuto, ma il fatto che la Corea del Nord abbia esplicitamente negato l’intenzione di vendere armi o munizioni alla Russia la dice lunga sulla considerazione di cui nutre Putin in Eurasia.
Come ciliegina sulla torta, la Cina incoraggia ugualmente entrambe le parti ad avviare trattative che concludano il conflitto: una posizione improvvisamente del tutto equidistante e distaccata.
L’orso Vladimiro sta diventando un pariah anche presso le smaliziate e ciniche cancellerie asiatiche…

Orio Giorgio Stirpe