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I dati Istat sull’occupazione di luglio hanno evidenziato una frenata dell’occupazione (-22 mila posti di lavoro sul mese precedente), una riduzione del numero delle persone che cercano lavoro e un aumento (+54mila) delle persone inattive, anche se emerge; il recupero dei livelli occupazionali precedenti la pandemia (143 mila occupati in più rispetto a febbraio 2020) con record storico del tasso di occupazione (60,4%), favorito dalla riduzione della popolazione in età di lavoro.

Ma non son tutte rose e fior, c’è in agguato un fascio di spine cosa succederà in autunno sulla tenuta degli assetti produttivi e dell’occupazione, destinati a scontare l’aggravante dei costi degli approvvigionamenti energetici e l’impatto dell’aumento dei prezzi finali sui consumi interni?

La crescita occupazionale dei mesi precedenti (+140 mila rispetto al trimestre precedente e +463mila rispetto al mese di luglio 2021), è dovuta al progressivo recupero delle attività economiche nei comparti dei servizi, turismo, ristorazione, e intrattenimento, penalizzati dai provvedimenti di chiusura adottati nella fase del lockdown.

La voglia e il recupero di libertà hanno smentito le previsioni di una ecatombe di licenziamenti, e di perdite di posti di lavoro, che gli analisti prevedevano con la fine del blocco dei licenziamenti, attuato in materia di politica del lavoro nel periodo del lockdown .

Il boom delle prenotazioni turistiche, superiori a quelle del 2019, considerato eccellente dagli operatori del settore, è destinato a generare effetti positivi anche per il resto della stagione estiva.

Il recupero di occupazione di lavoratori dipendenti (+454 mila), risulta equamente distribuita tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato, in sofferenza i lavoratori autonomi e professionisti che, nonostante il trend positivo, non recupera le perdite subite nel corso della pandemia, positivo,anche, l’aumento dell’occupazione femminile (+190mila) e under 35 anni (+182 mila).

Consistente l’incremento di occupati over 50 anni (+345 mila) causa; invecchiamento della popolazione in età di lavoro  e il mancato ricambio generazionale negli ultimi 15 anni, determinati dalle due crisi la bolla del 2008 e la pandemia che hanno sderenato la fascia di età tra i 35 e i 49 anni, che dovrebbe svolgere il ruolo fondamentale sul piano quantitativo e di competenze acquisite, nel mercato del lavoro.

Quello di cui nessun partito e nessun politico ha messo in agenda o programma elettorale è la fascia NEET, la popolazione inattiva rimasta inalterata al (34%) rispetto al 2019, nonostante la riduzione delle persone in cerca di lavoro e dell’aumento delle opportunità lavorative disponibili.

Le prospettive occupazionali del prossimo futuro sono particolarmente disastrose a causa dei costi energetici che peseranno notevolmente sulla redditività di molti comparti produttivi, con il pericolo che alle aziende manifatturiere potrebbe risultare più conveniente contenere o addirittura bloccare le attività, infatti, in alcuni settori l’utilizzo delle casse integrazioni è in forte crescita.

Per attutire l’urto negativo, serviranno misure rivolte a sostenere: i costi di approvvigionamento, la tenuta dei livelli occupazionali e il sostegno al redditi delle famiglie.

L’ aver interrotto anticipatamente la legislatura e bloccate le iniziative del governo, di coesione nazionale, si potrebbe definire la classica martellata sui c…ni poiché si rischia  di aumentare la spesa pubblica per soddisfare in modo estemporaneo aspettative incompatibili con il contesto economico e con gli equilibri del bilancio, le promesse elettorali che stanno caratterizzando la competizione.

Come se non bastasse ci si mette anche la riduzione della popolazione in età di lavoro, tra i 250-300 mila l’anno, la bassa occupabilità delle persone in cerca di lavoro, la carenza di profili professionali occorrenti al fabbisogno, il carretto c’è ma manca l’asino che lo traini.

La carenza e non da oggi, di formare risorse umane competenti, quelle poche che ci sono fuggono all’estero schifate dall’ umiliante situazione salariale per cui si rischia di non essere coerenti con la quota degli investimenti pubblici e privati che ci siamo impegnati a intensificare per rendere sostenibile la crescita economica e il debito pubblico.

Gli indicatori sull’attuazione dei 5 miliardi di risorse del Pnrr destinati alle politiche attive del lavoro sono sconfortanti, le iniziative finalizzate al coinvolgimento nei percorsi di formazione e di inserimento lavorativo dei disoccupati, che devono essere raggiunti per aspirare ad avere le successive quote di finanziamento dei fondi Next Generation, rimane largamente al di sotto degli obiettivi prefigurati per il 2022.

I tempi di avviamento, dei centri pubblici dell’impiego, di selezione, assunzione e formazione del personale, in molte regioni faticano a decollare, perché privi di una governance nazionale in grado di rimediare ai ritardi e distanti dal coinvolgimento degli attori primari, leggi le imprese e le parti sociali, che rimangono reticenti nell’ assumersi quelle responsabilità che competono loro in prima persona.

Purtroppo  si è consolidata negli anni una politica tesa a potenziare modelli di sussidi, aiuto e sostegno al reddito, a discapito di interventi tesi a sviluppare le politiche attive del lavoro o a favorire le attività imprenditoriali.

Con il perverso risultato che si è creato un paese parassitario, che consegna alle future generazioni un paese invecchiato con un numero di persone esorbitante a carico di quelle poche che lavorano.

Ci fosse un solo partito che ne parli e che lo abbia messo al centro della campagna elettorale, silenzio assordante sul tema.

Alfredo Magnifico