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Nei gioni scorsi abbiamo preso in esame i possibili scenari a medio termine in Ucraina, ora che il conflitto si è chiaramente insabbiato dal punto di vista militare; ne abbiamo concluso come questo si possa sbloccare solamente in seguito ad una perdita di volontà e di interesse da parte occidentale nel sostegno politico, economico e militare all’Ucraina, oppure ad un collasso interno della Russia dovuto alla pressione diplomatica e finanziaria dello stesso Occidente.
La prima eventualità è ipotetica, perché giunti al punto attuale appare oltremodo improbabile che la maggior parte dei Governi possano cambiare radicalmente la propria politica, che fra l’altro appare vincente.
Ma anche la seconda sembra quantomeno vaga e indefinibile.
E’ davvero così?

Che aspetto potrebbe assumere un “collasso” russo, quali modalità seguirebbe, e soprattutto quali potrebbero esserne le avvisaglie’?
Non è facile immaginarlo, anche perché l’unico precedente storico è rappresentato dal crollo del regime zarista più di cent’anni fa. E’ interessante però osservare come ci siano numerose analogie fra i due momenti storici: un impero apparentemente granitico, coinvolto in una guerra ad alta intensità che non riesce a vincere e sottoposto contemporaneamente ad una pressione economica insostenibile.
Nel 1917 il crollo avvenne di schianto, assolutamente imprevisto tanto dal governo che dai suoi alleati e dalle cancellerie occidentali, a loro volta pressate da problemi enormi.

Gli aspetti militari della situazione russa li abbiamo già esaminati abbastanza in dettaglio per quanto di interesse per un pubblico non specializzato, e quelli economici come si sa preferisco lasciarli a chi conosce tale campo assai meglio di me. Ma come si sta evolvendo la situazione politica e sociale interna della Russia dopo sei mesi di “Operazione Militare Speciale”? Come sta reagendo la popolazione russa nel suo complesso?
Difficile dirlo, perché esattamente come per l’aspetto economico, i dati statistici di cui disponiamo sono tutti di origine governativa russa, e quindi non esattamente affidabili; dobbiamo quindi affidarci a dati estrapolati ed empirici, partendo comunque dal dato di fatto che all’inizio del conflitto il regime appariva estremamente solido.

Nell’ultimo decennio, la larga maggioranza dei russi hanno scelto di ignorare o almeno tollerare la repressione di Putin soprattutto perché l’economia andava bene. Gli indici di approvazione di Putin, nella misura in cui possiamo considerarli credibili in quanto di fonte governativa, erano e rimangono tuttora alle stelle. Lo “Zar” ha sempre goduto di un forte sostegno popolare, in gran parte perché controlla i media, alimentando la gente con una dieta di propaganda costante e ben dosata. Coloro che hanno osato criticare il suo governo si sono ritrovati imprigionati, avvelenati o finiti in disgrazia, oppure hanno incontrato sfortunati incidenti, come cadere dalle finestre. Quanto basta per far sì che la maggior parte dei disillusi scelga di tenere il naso fuori dalla politica, mentre la massa della popolazione ha assunto un atteggiamento apatico di accettazione acritica della situazione, concentrandosi sui propri interessi personali.

Ma quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la repressione si è intensificata, rendendo per molti sempre più intollerabile vivere sotto le regole di Putin. Le regole orwelliane – come vietare l’uso della parola “guerra” per descrivere, appunto, la guerra – rendendo quasi impossibile vivere in Russia per coloro che rifiutano ciò che il loro paese sta facendo e soprattutto per coloro che temono di perdere tutto ciò che hanno conquistato in campo economico negli ultimi vent’anni.
Dall’inizio del conflitto, l’Economist e il progetto russo per i diritti umani OVD-Info hanno registrato più di 15.000 arresti. Le ricerche su Google “Come lasciare la Russia” hanno raggiunto il massimo degli ultimi 10 anni.
Già dopo il primo mese di guerra, un economista russo ha calcolato che 200.000 persone avessero già abbandonato il Paese, e un esperto di emigrazione ha stimato che altri 100.000 già all’estero hanno deciso di non tornare.
E’ vero che si tratta del 10% di quanti hanno abbandonato l’Ucraina, ma questi ultimi sono profughi in fuga dalla guerra, e in base alle interviste intendono quasi tutti tornare a casa a guerra finita.
Altri dati suggeriscono che da quando Putin ha preso il potere se ne siano andati fino a due milioni di russi con titolo di studio superiore. Una conferma indiretta dell’esodo è fornita dal fatto che Putin ha appena rilanciato un premio dell’era di Stalin, la “Madre Eroica”, premiando le donne che hanno 10 figli con un milione di rubli (circa 17.000€).
Negli ultimi mesi nuovi gruppi di esiliati si sono formati in Georgia, Armenia e Turchia, e decine di migliaia di rifugiati hanno raggiunto Australia, Stati Uniti e Israele.
Oggi, dopo sei mesi senza vittorie significative e con la situazione economica in chiaro costante peggioramento, con fabbriche chiuse e negozi stranieri scomparsi, la repressione del dissenso non mostra segni di allentamento.

La prima fuga dal Paese includeva coloro che si sentivano più direttamente minacciati: attivisti politici, scrittori, artisti. Ora si è avviata una seconda ondata che include imprenditori, famiglie, persone comuni che vogliono uscire da un sistema che non sta solo cercando senza successo di conquistare un Paese vicino e di reprimere il dissenso interno, ma sta anche conducendo la Nazione al disastro economico.
La fuga delle élite produttive ed intellettuali è sempre un segnale inequivocabile di grave disagio e di decadenza economica, e la direzione presa dalla fuga da tali élite normalmente indica anche quale sistema alternativo sia considerato preferibile agli occhi della maggioranza.
Quando poi alle élite si aggiungono anche le persone comuni del ceto medio, il segnale di disagio diventa una campana d’allarme.

Il sistema è solido, e non si vedono al suo interno forze capaci di rovesciarlo, almeno per il momento. Ma i suoi segnali di debolezza si moltiplicano: non solo l’esodo di popolazione (che si somma ad una gravissima crisi demografica pre-esistente), ma anche gli “incidenti” sempre più frequenti che intaccano la fiducia nella sicurezza interna. Sabotaggi, incendi dolosi, ora anche omicidi di personalità in vista in zone considerate sicure; ad aggravare le cose, l’Ucraina comincia a colpire in profondità in zone finora considerate ben al di là delle capacità di reazione di una piccola Nazione aggredita, e questo viene a minare anche la finora granitica fiducia nell’invincibilità delle Forze Armate.
I turisti russi sono dovuti figgire dalle località di villeggiatura in Crimea, sotto il tiro dei missili ucraini; il reclutamento di volontari per andare a combattere ricorre ad espedienti sempre più assurdi, come l’incremento esponenziale dei premi di arruolamento, l’innalzamento dei limiti di età e il taglio del periodo di addestramento, e nel frattempo le notizie finora rigidamente controllate sulle perdite subite cominciano a trapelare.
Perfino le fonti ufficiali ammettono che, se il sostegno al regime rimane nel complesso elevato, questo si sta sgretolando presso le generazioni più giovani e urbanizzate: quelle con un maggiore accesso all’informazione digitale internazionale ed anche maggiormente a rischio di reclutamento forzato in caso di mobilitazione generale (il che spiega la riluttanza di Putin ad ordinare una misura ormai disperatamente necessaria per rimpolpare un esercito professionale ormai dissanguato).

Le notizie che filtrano dal basso, provenienti da comuni cittadini russi, parlano di una popolazione apatica, disillusa e sostanzialmente perplessa sulla situazione; una maggioranza ancora restia ad opporsi ad un sistema consolidato e largamente accettato da decenni, ma anche sempre meno convinta del suo interesse a sostenerlo ad oltranza.
Sono un militare e non un sociologo; ma da quanto ho modo di vedere, il regime dell’orso Vladimiro apparirà pure ancora ben saldo e senza possibili rivali interni, ma sta rapidamente perdendo la sua anima e i pilastri su cui si poggia mi sembrano sempre meno solidi.
Come ben sappiamo noi italiani che abbiamo vissuto la tragedia del Ponte Morandi, quando l’anima d’acciaio non c’è più, anche i pilastri di cemento più grossi si sgretolano all’improvviso.

Orio Giorgio Stirpe