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La guerra si fa per l’economia?
La risposta istintivamente positiva a questo quesito banale è il frutto della perdurante influenza del marxismo sulla cultura contemporanea, e anche di un diffuso e convinto cinismo sfoggiato da tutti coloro che si pregiano di essere realisti nel loro modo di pensare.

Ovviamente, siccome qui si scivola su un territorio decisamente più filosofico che tecnico, non ho certo la pretesa di avere la risposta corretta. Però, se mi giro a guardare la storia, la vedo piena di episodi in cui le guerre sono state decise e condotte in assoluto spregio agli interessi economici di chi le ha iniziate.
Se poi guardiamo alla storia recente, NESSUNA guerra è risultata conveniente dal punto di vista economico. Addirittura, in certi casi per assurdo è stato il contrario: se guardiamo alle condizioni economiche del Giappone del 1935 e a quello del 1955, sembrerebbe che essere sconfitto nella II Guerra Mondiale e aver subito due incursioni nucleari dal punto di vista economico gli sia convenuto. Stesso discorso per l’Italia, che nello stesso periodo è passata dalla “battaglia del grano” al “boom” economico industriale.

Certo, quelle sconfitte economicamente vantaggiose a lungo termine, sono giunte al prezzo di enormi sofferenze materiali e soprattutto umane a breve termine.
Ma il punto fondamentale è che – con poche eccezioni, come l’America nel II Conflitto mondiale – la guerra non è economicamente conveniente di sé, e quindi non è una motivazione credibile per lo scatenamento di un conflitto.
Si potrebbe affermare che quindi le guerre siano tutte provocate da errori di valutazione da parte delle leadership che le hanno scatenate, erroneamente convinte di ricavarne un vantaggio economico?
Direi che sarebbe pericolosamente illusorio pensarlo: significherebbe da un lato che quasi tutti i Governi del passato, in tutto il mondo, siano stati retti da incompetenti, e dall’altro lato significherebbe che un Governo valido non scatenerebbe mai una guerra nel futuro… Il che avrebbe dovuto indurci a pensare che Putin – ritenuto generalmente un leader magari antipatico ma decisamente capace – non avrebbe mai invaso l’Ucraina.

Rimane solo da pensare che l’economia sia uno dei fattori considerati, ma non quello fondamentale nel decidere se iniziare o meno una guerra.
Tutt’al più si può fare il ragionamento inverso: la guerra si farebbe per imporre al nemico un danno economico superiore a quello che si subisce… Un modo un po’ “tafazziano” per prendere una decisione così importante.

Considerare l’economia il fattore fondamentale nella decisione di innescare una guerra è semplicemente sbagliato. Le guerre si combattono per acquisire obiettivi politici, che possono avere o meno un valore ANCHE economico, ma che in genere sono territori, popolazioni, diritti o privilegi.
Putin non ha scatenato la guerra in Ucraina con la prospettiva di arricchire la Russia catturando qualcosa di economicamente utile: se fosse così l’esercito russo non distruggerebbe sistematicamente tutto davanti a sé prima di conquistarlo. Il Donbass è sicuramente un bacino minerario e industriale piuttosto ricco, ma non così tanto da valere il costo di una guerra come questa, e in ogni caso anche se venisse conquistato lo sarebbe in condizioni tali che per tornare ad essere produttivo richiederebbe vent’anni di investimenti.
Una vittoria in Ucraina imporrebbe alla Russia l’onere economico di ricostruirla: un onere che la Russia non può permettersi, se non al costo di impoverirsi essa stessa.
No, decisamente Putin non ha invaso l’Ucraina pensando all’economia, anche se magari in astratto aveva la speranza che una vittoria a lungo termine avrebbe portato insieme al ritrovato status di grande potenza anche una maggiore prosperità.

La guerra dunque non si combatte PER l’economia. Però la si combatte CON l’economia.
In effetti, l’economia è l’arma più potente di uno Stato: è con essa che si acquisiscono gli armamenti e si genera la ricerca che produce armi migliori con cui affrontarla, ed è con essa che si alimenta lo sforzo bellico conflitto durante.
Di nuovo, osservando la storia, è davvero raro trovare una guerra del passato in cui un’economia debole o arretrata abbia prevalso in guerra su una ricca o avanzata. Le invasioni barbariche hanno portato al collasso un impero romano economicamente al collasso e prostrato da epidemie devastanti; durante la Guerra Civile, la Spagna nazionalista agraria ha prevalso su quella repubblicana industriale che però era stata privata della sua classe dirigente schierata dalla parte opposta; Napoleone è stato sconfitto dalla Russia zarista, che però aveva dalla sua parte l’impero commerciale britannico.
Per il resto, la storia ci mostra una serie continua di guerre in cui hanno sistematicamente prevalso le economie più forti, fino agli esempi più recenti: entrambe le Guerre Mondiali sono state sostanzialmente vinte dalla base industriale americana, che produceva al sicuro oltremare, e la Guerra Fredda è stata vinta senza neppure dover essere combattuta tale era il vantaggio economico dell’Occidente sull’Unione Sovietica.

Ovviamente, nessuna guerra si vince senza sacrifici. Anche la Guerra Fredda è costata ricchezze enormi, sangue versato in decine di conflitti locali minori e il sacrificio di decine di milioni di giovani soldati che hanno dovuto affrontare un servizio di leva così al disotto del loro normale standard di vita; però è stata vinta, e senza le devastazioni delle Guerre Mondiali.

Oggi siamo di nuovo in guerra.
Perché in questo, la propaganda del Cremlino ha ragione: si tratta a tutti gli effetti di una guerra per procura fra la Russia di Putin e l’Occidente, in cui questo combatte in maniera indiretta attraverso il sacrificio del popolo ucraino, consenziente e deciso nella sua vasta maggioranza a difendere la propria dignità.
In questa guerra l’Occidente oltre a sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina, combatte con le sue armi economiche: le sanzioni.
Come ogni altra arma, le sanzioni hanno un effetto tutt’altro che immediato, e comunque assai meno risolutivo di quanto la gente si aspetterebbe. Nessuna arma funziona così in guerra, perché una guerra non è come un conflitto a fuoco in strada, in cui un taser abbatte il cattivo di turno e la questione è risolta.
Soprattutto una guerra limitata, in cui i contendenti sono costretti a porsi dei limiti per non esasperare il conflitto ed evitare un’escalation che oggi potrebbe perfino essere nucleare, le cose sono inevitabilmente destinate ad andare per le lunghe.

Le sanzioni sono un’arma che sta operando. Come la guerra sottomarina contro il Giappone o i bombardamenti strategici contro la Germania possono dare l’impressione di non avere un effetto sufficiente, e comunque l’effetto corrente risulta difficile da valutare.
Come si fa a valutare l’effetto delle sanzioni su una dittatura che è l’unica fonte dei propri dati economici?

Oggi si tende a ripetere il mantra secondo cui “le sanzioni non funzionano”, perché danneggerebbero “l’Occidente assai più di quanto non danneggino la Russia”… Già, ma se fosse davvero così, allora perché Putin insiste che la sospensione delle sanzioni sia la precondizione per qualsiasi trattativa diplomatica? Si preoccupa per la nostra economia?
Ho postato ieri lo studio condotto dall’Università di Yale, il primo condotto in maniera scientifica e non basato sui dati macro-economici forniti direttamente dalle autorità russe, che pare confermare l’effetto devastante delle sanzioni sull’economia russa.
Non lo commento nel merito perché non sono un analista economico e lascio ai professionisti tale compito. Mi limito ad osservare che l’analisi scientifica di un’università dovrebbe valere più di quella estemporanea di un commentatore che scrive sui social o parla dai media mainstream esprimendo – come me del resto – le sue opinioni personali.

Ma se le sanzioni sono così efficaci, allora perché l’orso Vladimiro non si arrende?
Perché, come ogni altra arma, richiedono tempo per fare il loro lavoro. E l’economia di una grande Nazione è un obiettivo che richiede tempo per essere colpito in maniera tale da sortire un effetto.
E fintanto che le sanzioni fanno il loro lavoro, a noi tocca stringere i denti. Gli ucraini li devono stringere molto più di noi, quindi forse non dovremmo lamentarci troppo.

Orio Giorgio Stirpe