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Giovedì l’orso Vladimiro ha parlato di nuovo, avvertendo che la guerra potrebbe trascinarsi fino a quando “l’ultimo ucraino non sarà lasciato in piedi”.

Ha anche aggiunto: “Oggi sentiamo che vogliono sconfiggerci sul campo di battaglia. Ebbene, cosa posso dire? Che ci provino”, ha detto Putin durante un incontro con i capi delle fazioni del partito della Duma di Stato andato in onda sulla televisione di stato Russia-24; “Abbiamo sentito che l’Occidente è pronto a combattere con noi fino a quando l’ultimo ucraino non sarà rimasto in piedi. Sembra proprio che tutto stia andando in questa direzione”.

Naturalmente, fedele alla sua fantasia su nazisti e russofobia, Putin ha anche accusato l’Occidente di “incoraggiare e giustificare il genocidio contro le persone del Donbas”. Infine, ha concluso affermando che: “Non siamo noi a rifiutare i negoziati di pace. Ma coloro che rifiutano dovrebbero sapere che più il conflitto continua, più difficile sarà per loro negoziare con noi”.

 

Naturalmente si trattava di un evento “interno”, e quindi fondamentalmente Putin stava parlando ai russi, con i quali la retorica propagandistica è rivolta al messaggio secondo cui tutto il mondo ce l’ha con loro e quindi i russi devono restare uniti e combattere per sopravvivere, orgogliosi della loro presunta grandissima forza: ha anche affermato che finora la Russia avrebbe impiegato solo una “minima parte” del suo potenziale, e che il confronto con quello ucraino è “assolutamente incomparabile”. Quando si rivolge all’Occidente, forse consapevole di quanto appaia ridicolo a questo punto insistere sul presunto “genocidio” del Donbass, Putin preferisce parlare delle responsabilità legate all’”espansione” della NATO nei Paesi confinanti: concetto che per quanto assurdo continua a fare breccia fra tanti anche da noi (come se la Polonia o la Finlandia fossero state “conquistate” invece di aver fatto una scelta dettata proprio dall’invadenza del vicino).

Ma anche se si rivolge al pubblico di casa, le affermazioni dell’orso sono ugualmente preoccupanti per quanto risultano avulse dalla realtà, e lasciano poco da sperare in un accomodamento pacifico con lui ancora al potere al Cremlino.

 

Nelle settimane passate ho espresso più volte l’opinione che l’inevitabile esaurimento dell’offensiva russa nel Donbass avrebbe probabilmente condotto ad una qualche forma di trattative: qualunque fosse stato il bottino di tale offensiva – nel caso verificatosi, la conquista dell’oblast di Luhansk – sarebbe stato possibile farlo passare per una vittoria sufficiente per accettare un armistizio e l’inizio di una fase diplomatica magari anche destinata a durare anni. Purtroppo a questo punto temo di essermi sbagliato: Putin ha ripetuto talmente tante volte che il suo scopo è mutilare definitivamente l’Ucraina oltre a rivendicarne il disarmo, la “de-nazificazione” e la neutralità disarmata, che è diventato per lui impossibile accettare niente di meno. Poiché ovviamente il Governo ucraino non può in nessun modo accettare tali condizioni, il conflitto è purtroppo destinato a durare.

Naturalmente nessuno in Occidente ha mai detto di volere che il conflitto duri “fino all’ultimo ucraino”, semmai questa è una naturale espressione degli stessi ucraini che combattono per il proprio Paese (molti da noi se ne sono scordati, ma il patriottismo è un sentimento radicato nell’animo umano e non solo i russi hanno il diritto di provarlo). Quello però che preoccupa è l’enfasi con cui Putin ripropone al suo popolo l’idea secondo cui le risorse russe sarebbero “incomparabilmente” superiori a quelle dei suoi nemici e che la Russia non starebbe neppure impegnandosi troppo nel conflitto, almeno finora…

I minions entusiasti possono anche crederci, immaginandosi schiere di carri “Armata” e di jet di dodicesima generazione armati di missili fotonici pronti ad entrare in azione al comando del loro adorato “cattivissimo”, ma ormai è cosa nota anche alla famosa “casalinga di Voghera” che i russi hanno cominciato ad immettere in linea carri residuati degli anni ’60 e lanciano missili obsoleti con difficoltà crescenti nel trovare il bersaglio. E’ anche verissimo che dalla parte opposta agli ucraini i carri scarseggiano del tutto, ma indipendentemente dai proclami ottimistici di Zelensky, gli ucraini almeno per ora devono solo difendersi e ne hanno meno bisogno.

Insomma: le risorse “incomparabilmente superiori” della Russia sono agli sgoccioli, mentre l’Occidente ha appena cominciato a rifornire l’Ucraina con il proprio materiale, che invece è sicuramente se non inesauribile almeno piuttosto abbondante; e a differenza di quello russo, è anche in produzione.

 

Quel che è più preoccupante però, non è tanto la riconfermata intransigenza di Putin a trattare se non alle sue esatte condizioni, ma quella che comincia ad apparire come una sua genuina convinzione di stare vincendo.

Tutto, nelle sue parole, nei toni e nella postura, sembra indicare che l’orso Vladimiro creda veramente in quello che dice; se da un lato la presunzione ideologica che lo guida – la stessa in cui è stato originariamente indottrinato ai suoi tempi nel KGB – può giustificare le sue convinzioni circa il “nazismo” dominante in Ucraina e la minaccia immanente di un Occidente imperialista perennemente intento a cospirare contro la Russia, le sue infondate certezze riguardo le risorse e le capacità materiali del suo Paese potrebbero indicare uno scollamento dalla realtà capace di rendere una soluzione diplomatica virtualmente impossibile.

 

Come abbiamo detto tempo fa, Putin non sempre dice ciò che fa, ma di solito fa (o cerca di fare) ciò che dice; e se in pratica afferma di essere disposto a combattere ad oltranza finché le sue assurde richieste non saranno accolte, purtroppo c’è da credere che questa sia la sua reale intenzione. Se poi alberga una certezza messianica nell’inesauribilità delle risorse a sua disposizione e nella forza militare della Russia a dispetto dell’evidenza, esiste il rischio concreto che – complici anche le sue condizioni di salute – sia ormai vittima della sua stessa propaganda.

Abbiamo un regime che non solo avvelena gli oppositori e mette fuori legge le critiche, ma procede ormai apertamente alla purga sistematica dei suoi stessi quadri (di ieri la notizia di tre alti dirigenti del Ministero degli Interni arrestati), compresi i militari impegnati nella campagna. In una situazione simile, in cui gli uomini ancora vicini allo zar appaiono sempre più proni all’adulazione più smaccata (vedi Medveedev) e si allineano con prontezza a quanto dice il loro capo, la probabilità che qualcuno abbia il coraggio di rappresentare all’orso Vladimiro le reali condizioni in cui si dibatte la sua Russia appaiono sempre più ridotte.

A conferma di quanto sopra, purtroppo, abbiamo l’intervista appena rilasciata da Boris Bondarev, l’unico diplomatico russo ad aver defezionato dall’inizio del conflitto, attualmente ovviamente sotto protezione in località segreta: “Putin deve rivendere qualcosa ai suoi sostenitori e al suo cerchio di potere. Una piccola vittoria in Donbass non sarà sufficiente, perché ha promesso di conquistare l’intera Ucraina. Avrà sempre più bisogno di “vittorie”. Domani può essere Kiev e l’intero Paese, dopodomani l’annessione della Bielorussia, dopo ancora la Moldavia o perfino i Baltici. Il presidente può solo rivendicare vittorie militari, nient’altro. Per questo, finché rimarrà al potere, la guerra non finirà.”

Alla domanda se ci sia secondo lui un modo di sbloccare questa situazione, la risposta di Bondarev è stata: “L’unico modo per fermare Putin è sconfiggerlo sul campo di battaglia. Solo una sconfitta militare evidente, impossibile da nascondere agli occhi dei russi, potrà dare il colpo di grazia alla dittatura. Perché? I russi non amano vedere un perdente al potere. È la legge di un branco di lupi ed è la legge con cui Putin guida il Paese. Dopo, di fronte a una crisi economica senza precedenti, sanzioni dure e prospettive cupe, qualsiasi governo dopo Putin sarà costretto a fermare la guerra e negoziare la pace, volente o nolente.”

 

Non conosco Boris Bondarev. Ma temo di essere d’accordo con lui sull’orso Vladimiro.

 

Orio Giorgio Stirpe