Parliamo di Kaliningrad, visto che Severodonetsk è sempre il mattatoio dove i russi continuano ormai da oltre un mese a vincere finalmente la loro battaglia del Donbass…
Parliamo di Kaliningrad, che non è in Ucraina ma che con la sua semplice esistenza all’estremo opposto dell’istmo Ponto-Baltico (il “collo” più stretto dell’Europa fra il Baltico e il Mar Nero, che costituiva il confine politico dell’URSS e rappresenta l’obiettivo strategico della Russia di Putin) esemplifica il modo di pensare dell’orso Vladimiro.
Kalinigrad è l’antica Koenigsberg: la capitale della Prussia, a partire dalla quale si è sviluppata la Germania Guglielmina; è la patria di Kant, centro d’irradiazione di gran parte della cultura tedesca da cui trae origine la società della moderna Germania.
Al termine della Seconda Guerra mondiale è stata travolta dall’Armata Rossa lanciata verso Berlino, e quando sono stati ridisegnati per l’ultima volta i confini europei è stata assegnata insieme alla regione circostante all’Unione Sovietica, con il cui territorio confinava già attraverso la Lituania occupata.
Priva di collegamento culturale con la Lituania stessa e troppo piccola per essere eretta a Repubblica Sovietica, passò direttamente alla Russia di cui divenne un oblast, e quando l’URSS si dissolse seguì le sorti politiche della Repubblica di cui faceva parte. La popolazione tedesca era stata espulsa già dal 1945, e ormai i suoi abitanti erano quasi esclusivamente russi, quindi nessuno ebbe da obiettare. Perché l’Europa, preso finalmente atto delle lezioni impartite dalla propria storia, ha smesso di contendersi palmo a palmo ogni metro di terra e preferisce discutere di federalismo, multi-linguismo e di diritti delle minoranze.
Se invece l’Europa ragionasse ancora con le stesse logiche obsolete di Vladimir Putin, la Germania avrebbe tutto il diritto di rivendicare un territorio che rappresenta la culla della sua cultura nazionale. In fondo si tratta di un pezzetto di territorio russo strappatole al termine di una guerra ancora relativamente recente, e che per di più rappresenta una “exclave”, un territorio senza continuità territoriale con il resto della Russia. Qualcuno potrebbe tranquillamente definirla una “colonia” incuneata con la forza nel territorio europeo.
Dal punto di vista polacco, poi, rappresenta una minaccia militare diretta, visto che avvolge la Polonia dal nord con il suo territorio, fino a breve distanza da Varsavia. Peggio ancora per i lituani, che si vedono praticamente costretti a consentire il passaggio attraverso la loro stessa capitale dei treni che collegano l’exclave alla Russia attraverso la Bielorussia, e che rappresentano l’unico cordone ombelicale terrestre della città.
Tanto per rendere la similitudine con le rivendicazioni russe sull’Ucraina ancora più completa, Putin ha riempito quel piccolo territorio di armi: non solo Brigate di fanteria e artiglierie di ogni tipo, ma anche missili… Missili di tutti i tipi: superficie-superficie, antinave e contraerei, che messi a sistema costituiscono quello che in gergo tecnico militare si chiama “Sistema A2AD (Anti-Air & Area Denial)”. Parliamo di armi che includono testate nucleari in grado di colpire Berlino senza preavviso: armi che sono lì ormai da diversi anni, non armi che “potrebbero” essere schierate in un nebuloso futuro, come i famosi “missili NATO” in Ucraina, che mai ci sono stati e che nessuno ha neppure pianificato di schierare.
Secondo la logica di Vladimir Putin, l’Europa in generale e più in particolare Nazioni quali la Lituania, la Polonia e soprattutto la Germania, avrebbero avuto ogni ragione di reclamare la restituzione di un territorio storicamente non russo, incuneato con la forza in una regione che storicamente nulla ha a che vedere con la Russia, con fortissimi legami storici e culturali con l’Europa e che per l’Europa stessa rappresenta una minaccia esistenziale a causa delle armi e soprattutto dei missili di cui è stata riempita da parte di un regime chiaramente ostile e aggressivo.
Invece niente.
Nessuno ha messo in dubbio la sovranità russa su Kalinigrad, in base al principio che i confini sono inviolabili. Addirittura, nessuno ha messo in dubbio il diritto dei russi di schierare sul proprio territorio le armi che ritengono più opportuno: si è solo cercato di discutere sulla loro opportunità, nell’ambito di un discorso complessivo che abbracci tutto il continente, e si è giunti alla conclusione che i russi non fossero interessati a tale tipo di accordo.
Pur nella consapevolezza della minaccia militare rappresentata dall’exclave, nessuno ha messo in dubbio la ragionevolezza del libero passaggio di treni russi con merci russe non controllate attraverso il territorio europeo e la stessa capitale della Lituania.
Già: perché anche se schierare missili con testata nucleare (Gli SS-26 “Stone”, noti in Russia come “Iskander”) non è esattamente un atto amichevole, si è ritenuto che impedire il passaggio dei treni sarebbe stato un comportamento ostile. In fondo, l’exclave non produce abbastanza cibo per i suoi abitanti e per le truppe che ospita, e senza la cooperazione europea i russi che ci abitano morirebbero letteralmente di fame.
Esattamente come per la ancor meno nota exclave (non riconosciuta però) della Transnistria, ritagliata nel territorio della Moldova: è isolata fra l’Ucraina e la Moldova stessa, e qualsiasi movimento o commercio di chi vi risiede dipende dalla buona volontà della Romania (e della stessa Moldova) di consentirne il passaggio. Perfino i soldati russi che si recano in licenza lo fanno grazia alla disponibilità della NATO che li lascia passare.
Insomma: la Russia fa tranquillamente dal 1945 a Kaliningrad (dal 1992 per quanto riguarda la Transnistria) esattamente ciò di cui accusa di fare l’Ucraina e lo stesso Occidente dal 2014; non limita i diritti linguistici dei tedeschi di Koenigsberg solo perché li ha direttamente espulsi settantacinque anni fa, però occupa territori e schiera missili nucleari contro l’Europa. E l’Europa gli consente generosamente di farlo, sostenendo i loro rifornimenti.
Ora però, dopo l’aggressione russa all’Ucraina, l’Europa ha imposto le note sanzioni. Nell’ambito dell’applicazione dell’ultimo “pacchetto” di queste, il transito delle merci attraverso le ferrovie lituane è stato limitato: il materiale sottoposto a sanzioni non può più transitarvi. Non ci sono limitazioni per il cibo: la popolazione non morirà di fame… Però qualsiasi materiale volto all’espansione o al mantenimento delle infrastrutture o ovviamente dell’apparato militare risulta bloccato.
E l’orso Vladimiro si ritiene oltraggiato.
Naturalmente è ancora perfettamente possibile per la Russia rifornire Kaliningrad via mare da San Pietroburgo attraverso il Baltico; sì, ma il Baltico è controllato dalla NATO, più che mai dopo l’adesione di Svezia e Finlandia all’Alleanza… Per non parlare di cosa vediamo gli ucraini stanno facendo alle navi russe nel Mar Nero, senza neppure disporre di una marina.
Le minacce di Putin alla Lituania per questo provvedimento fanno ridere: con l’esercito completamente infognato in Ucraina le opzioni militari per aprire il corridoio con la forza sono scarsissime, e quelle di mantenerlo sono assolutamente nulle.
La situazione strategica di Kalinigrad non è seria: è disperata. In caso di conflitto, l’exclave non durerebbe che pochi giorni: i polacchi non chiedono che il via libera per occuparla.
Però Kaliningrad è utilissima alla NATO: perché la Russia vi mantiene con il sistema A2AD circa il 20% dei suoi assetti strategici più moderni e sofisticati, perfettamente a tiro dell’artiglieria della NATO (i famosi MLRS, però usati dall’esercito americano).
Finché questi sistemi si trovano praticamente in ostaggio delle Forze Armate occidentali, abbiamo la certezza che l’orso Vladimiro non farà stupidaggini: perché se lo facesse, perderebbe in poche ore i suoi giocattoli preferiti.
Orio Giorgio Stirpe