La ristorazione, ormai, è un fenomeno globale. Sì, anche in Italia, anche nella patria del mangiar bene, la globalizzazione è arrivata nel settore food con i suoi pregi e i suoi difetti. Si potrà essere a favore o contro, ma questo non cambierà le cose: è un processo inarrestabile e irreversibile, pertanto i ristoratori si trovano davanti alla classica scelta dentro/fuori. Siamo al punto di non ritorno: o si accettano le nuove regole del gioco, oppure il mercato ci metterà in condizione di uscire dalla porta sul retro.
Per dirla in parole povere, il settore sta vivendo una stagione dinamica e complessa, un momento di profonde trasformazioni e contaminazioni che obbligano gli imprenditori del comparto a modificarsi geneticamente per cavalcare e non subire tali cambiamenti.
I due anni di pandemia non hanno solo costretto i ristoratori a chiusure forzate e pesanti restrizioni, ma hanno anche rivoluzionato radicalmente i comportamenti dei consumatori. Soprattutto nel primo anno, con il grande lockdown, abbiamo assistito a questa spasmodica ricerca di sicurezza che si manifestava con l’assalto agli scaffali dei supermercati, poi pian piano l’offerta ha iniziato ad adeguarsi alla situazione e hanno iniziato a prendere piede i servizi di delivery.
Con il graduale ritorno alla normalità i consumatori hanno iniziato a rivalutare i propri consumi alimentari, ma l’effetto che sembra emergere con maggiore forza nel medio-lungo periodo, è quello psicologico che va ben oltre il superamento dello stato di emergenza: la pandemia ha portato nei consumatori una nuova consapevolezza legata all’importanza del benessere, ampliando la già crescente attenzione rivolta alla salute mentale ed emotiva.
Inoltre, da anni assistiamo a un forte cambiamento di paradigma nei comportamenti di consumo, non più fine a sé stesso ma vissuto come esperienza: il concetto di Experience trova sempre più spazio nella Ristorazione, in cui assistiamo alla progettazione di percorsi sensoriali studiati per emozionare e fidelizzare il Cliente.
Negli anni a venire, secondo gli osservatori più attenti, i consumatori andranno sempre più alla ricerca di prodotti e servizi in grado di apportare benefici di questo tipo, le aziende del settore offriranno soluzioni innovative per soddisfare il bisogno di benessere mentale ed emotivo, la ricerca di esperienze, e i brand saranno chiamati a svolgere una funzione di esaltazione dell’identità delle persone e del loro stile di vita.
E così, sulla spinta delle nuove coscienze e della globalizzazione, si impongono sul mercato nuovi modelli di business: le startup entrano prepotentemente anche sulla scena Food&Beverage portando la forte ventata di novità di giovani talenti che con coraggio, visione e creatività stanno dando un’impronta innovativa al settore con l’introduzione di nuove tecnologie e l’adozione di nuovi modelli di business fondati sul Delivery come la consegna a domicilio, l’asporto, le Ghost Kitchen, le Dark Kitchen e le Cloud Kitchen. Ma anche modelli basati su nuovi stili alimentari, sempre più basati su una proposta vegetale come nel caso del Pokè, piatto simbolo Hawaiiano che oggi spopola tra le pause pranzo degli italiani, o della carne vegetale, prodotto dalle caratteristiche simili a quelle della carne ottenuto da proteine vegetali.
Rispetto agli operatori della Ristorazione tradizionali, queste nuove realtà non hanno dalla loro soltanto un’offerta nuova e interessante che incontra il gradimento di una fetta crescente di consumatori, ma anche una spiccata una cultura del Restaurant Management che permette loro fare efficienza e di presentarsi sul mercato in modo organizzato, con look molto curati, un’offerta di qualità e prezzi alla portata di tutti.
Con questo non voglio dire che tutto questo sarà mai in grado di sostituire la ristorazione tradizionale in Italia: è impensabile per noi rinunciare alla nostra cucina, la migliore del mondo, così come irrinunciabile è l’elemento esperienziale, emozionale e sociale legato alla frequentazione dei nostri locali. Ma se la ristorazione tradizionale è destinata a prosperare nel tempo, altrettanto non si può dire di molti Ristoranti e Ristoratori appartenenti a questa categoria: una inesistente cultura del management, una gestione approssimativa senza la minima attenzione al food cost e ad altri indicatori di performance, la mancanza di una seria politica del personale, l’assenza di una strategia di brand e di marketing, sono fattori comuni di un modello che appartiene al passato, non più sostenibile, che va superato al più presto per poter sopravvivere e svilupparsi sul mercato italiano.
Mentre si delinea questo nuovo scenario, il settore enogastronomico italiano post-pandemia manda comunque segnali incoraggianti, confermandosi forte e resiliente. Secondo le rilevazioni FIPE, infatti, nel primo trimestre del 2022 l’indice del fatturato delle imprese della ristorazione è cresciuto rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente dell’88,7%.
Se il clima di fiducia, sempre secondo i dati FIPE, è tornato ai livelli del 2019, il fatturato del settore è ancora distante dai livelli pre-pandemia, ma la strada intrapresa sembra essere quella giusta. O almeno lo è stata fino all’arrivo della crisi in Ucraina, che come un fulmine a ciel sereno è arrivata a complicare ulteriormente questa congiuntura economica per i Ristoratori e sull’intera economia italiana. Lo scenario che si delinea in questi mesi è segnato da forte incertezza, l’impatto sul settore food è ancora difficilmente quantificabile. Di sicuro subiamo l’effetto di un importante aumento del livello dei prezzi in due comparti cruciali per il mondo della Ristorazione: quello energetico e quello agricolo. La guerra sta infatti amplificando le difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali come grano, mais e olio di semi, utilizzati nell’industria alimentare. L’aumento dei costi nel settore agroalimentare è il tema che preoccupa di più gli addetti ai lavori: secondo un’indagine FIPE l’84% teme conseguenze importanti per la propria attività a seguito dell’aumento dei prezzi.
Questo ulteriore effetto negativo, legato alla circolazione a livello globale delle materie prime e al conseguente shock sui prezzi di una crisi militare a livello continentale, accentua ulteriormente il problema di cui sopra: i Ristoratori che non sanno fare efficienza, che non hanno il pieno controllo dei costi sulla produzione dei piatti, subiranno un impatto notevolmente amplificato rispetto agli imprenditori che si ispirano a una cultura manageriale per fare ristorazione.
A tutto questo si aggiungono fattori endogeni di un settore che oggi fa fatica a trovare le giuste professionalità. Un tema ampiamente dibattuto in questa fase è proprio relativo alla difficoltà a trovare addetti, ma anche la capacità di attrarre e mantenere i talenti, al di là degli aspetti legati ai contratti di lavoro e al salario, va di pari passo con lo sviluppo interno di una cultura manageriale e organizzativa adeguata alle dinamiche del mercato.
Concludo tornando all’inizio del mio ragionamento. Siamo a un punto di non ritorno, ma questo non rappresenta necessariamente un dramma: nella Ristorazione soffia un forte vento di cambiamento, bisogna solo cambiare. Bisogna evolvere il proprio modello di business attraverso una crescita culturale, avvalendosi di risorse umane, di tecnologie e di strumenti in grado di supportare la ricerca dell’efficienza, l’ottimizzazione del food cost, l’adozione di un modello organizzativo agile e performante, lo sviluppo di una strategia di marketing vincente.
Il settore ha bisogno di stimoli e di nuove visioni: per questo nasce FutuRisto, la rubrica attraverso la quale spero di poter dare, da oggi in poi, il contributo alla grande svolta epocale in atto nel mondo della Ristorazione.
Vincenzo Liccardi