I social media implicano strutturalmente un’assenza, quella del corpo. Le conversazioni attraverso Facebook, pubbliche o private che siano, comportano un’interazione nella quale nessun corpo si incontra. Un post su Twitter o la pubblicazione di un’immagine su Instagram non includono relazioni dirette tra corpi, bensì manifestazioni cognitive ed emotive tradotte in linguaggi. Si tratta, del resto, di un’esclusione già anticipata dall’uso di strumenti ormai primordiali, come il semplice telefono o la TV.
Di fronte ad un’esclusione non notata ma via via sempre più accentuata, acutizzatasi definitivamente nel corso di una pandemia che ha condotto, seppure forse reversibilmente, ad una carica d’ansia nell’incontro fisico, occorre chiedersi quali potranno essere le conseguenze di una tale limitazione, ad esempio nelle organizzazioni sottoposte a massiccia pratica di smart working.
Al di là di possibili tentativi di previsione, che nelle scienze umane racchiudono sempre incognite enormi, è forse possibile avanzare qualche ipotesi di carattere generale. La prima è che ogni limitazione significativa d’uso implica una qualche forma di atrofia, di perdita parziale di capacità o di traslazione della capacità: in altri termini, chi non fa più qualcosa disimpara a fare sviluppando ulteriori funzioni. Potremmo anche parlare, con un riferimento classico a Charles Darwin, di tendenza umana a conservare ciò che risulta utile per la sopravvivenza e a limitare o estinguere ciò che non fornisce un valore aggiunto per la specie.
In quest’ottica cosa rischierebbe di atrofizzarsi? È complicato da definire. Possiamo però ritenere che quando parliamo di esclusione dei corpi ci riferiamo al fatto che nelle relazioni umane, di qualsiasi tipo esse siano, tendano ad affermarsi modalità extracorporee di comunicazione (la rete, i mezzi di comunicazione di massa, i software informatici, ecc.)
Chi non coinvolge il corpo nella comunicazione, finirà per non saperlo più usare adeguatamente? Finirà per vincolare l’ascolto delle sue imperscrutabili, potenziali vibrazioni? La limitazione d’uso del corpo quali limitazioni comporterà sulla sfera emotiva più vicina e affine alla corporeità? E cosa accadrà alla mente e ad un suo eventuale iperutilizzo, in un ipotetico squilibrio di funzioni? In altri termini, quale concetto di umano ci attende se, come si desume dalla consigliabile lettura di Fabrice Hadjadj, “Mistica della carne”, il corpo non viene assunto come parte essenziale dell’uomo, fondamentale non solo nella sfera sessuale e sentimentale, ma anche nella vita sociale e politica?