La battaglia di Severodonetsk infuria sempre, con alterne vicende: i russi cercano di tagliare fuori ciò che resta dell’abitato, e gli ucraini irrigidiscono la difesa fra le macerie mentre mantengono una difesa mobile all’esterno. La manovra di entrambi è complicata dalla presenza del fiume, che rende difficoltoso tanto l’aggiramento che il rifornimento delle proprie forze.
La forte superiorità numerica dà un margine di vantaggio ai russi, ma la stanchezza di entrambi i contendenti favorisce i difensori… Vedremo come andrà a finire. Di sicuro la battaglia intorno a quella che à l’ultima posizione ucraina nel suo oblast più orientale assomiglia sempre di più all’ultima fiamma di un falò ormai ridotto quasi solo alla brace: rovente finché si vuole, ma ormai prossima a raffreddarsi a causa dell’esaurimento del combustibile.
Mentre aspettiamo che l’invasione si arresti del tutto e finalmente la diplomazia riesca ad avviare il suo (presumibilmente lungo) processo di pace, proviamo a dare un’occhiata più lontano da Severodonestsk, e di vedere come questo conflitto potrà cambiare la situazione internazionale.
Senza allontanarci troppo dalla zona di guerra, osserviamo il resto di quello che è ormai il fronte aperto fra la NATO e la Russia di Putin. I due rivali geopolitici erano direttamente a contatto solo in pochi punti, nell’Artico e nel Baltico, separati da Nazioni più o meno allineate ma dichiaratamente neutrali come la Finlandia e la Bielorussia oltre alla stessa Ucraina. Il conflitto ha completamente eroso tale “cuscinetto”, e adesso mentre la Bielorussia appare completamente fagocitata dal suo alleato troppo potente che ha così nuovamente raggiunto la frontiera polacca, non solo la Finlandia ma anche la Svezia hanno presentato ufficialmente domanda di adesione alla NATO.
Le due situazioni non sono equivalenti: mentre la Bielorussia rappresenta per la Russia un modesto guadagno territoriale e un peso morto dal punto di vista militare, Svezia e Finlandia sono due medie potenze militari perfettamente in grado tanto di badare a sé stesse che di contribuire alla difesa comune dell’Europa. Con l’indebolimento subito dalle sue forze convenzionali in seguito alle perdite subite in Ucraina, questo mutamento strategico rappresenta una grave svolta negativa per Putin sul suo “fronte occidentale”.
A peggiorare le cose c’è un altro stato neutrale la cui posizione è drasticamente mutata con la guerra in Ucraina: si tratta della Moldova, da sempre dilaniata al suo interno fra i fautori di Mosca e quelli di Bruxelles in maniera quasi speculare a quella dell’Ucraina, con la minuscola Transnistria occupata dai russi esattamente come il Donbass. La brutale invasione del vicino ha completamente cambiato la percezione della Russia da parte dei moldavi, esattamente come capitato ai finlandesi; inoltre il mancato successo nella cattura di Odesa da parte dei russi ha trasformato il Paese un’enclave circondata dalla NATO e dall’Ucraina stessa, rendendo il controllo russo della Transnistria del tutto aleatorio e letteralmente soggetto alla pietà occidentale, considerato che i soldati russi colà distaccati mangiano cibo acquistato al supermercato in Romania sotto scorta militare locale.
I cambiamenti generati dalla guerra ovviamente includono l’atteggiamento ucraino: a differenza di quanto millantato dalla propaganda di Putin e dai suoi minions in Occidente, in Ucraina non è mai esistita una “russofobia”. Gli ucraini somigliano moltissimo ai russi per cultura e per carattere, e la stragrande maggioranza di essi non si sarebbe mai immaginata la possibilità di un’aggressione da parte dei “fratelli maggiori”; ora che questa si è verificata, sarà difficile spegnere l’odio che ha generato per quello che è percepito come un tradimento. Per questa ragione l’Ucraina, indipendentemente da quella che ne sarà la posizione formale ufficiale in campo diplomatico, è e rimarrà per decenni un fermissimo alleato della NATO in funzione anti-russa, esattamente come lo è sempre stato Israele in funzione anti-islamista pur non essendo mai stato membro della NATO.
Con Svezia, Finlandia, Moldova e Ucraina ormai saldamente in campo atlantico e le relazioni reciproche deteriorate ad un livello di ostilità dichiarata, seppure non guerreggiata, il “fronte” di Putin con l’Occidente assomiglia in modo sinistro alle linee del Fronte Orientale nel 1943 subito dopo la battaglia di Stalingrado. Di fatto, tutti i guadagni conquistati con la famosa “Grande Guerra Patriottica” sono stati cancellati.
Considerato che all’atto della sua prima nomina a Presidente lo stesso “fronte” (all’epoca peraltro assolutamente pacifico) corrispondeva al vecchio confine occidentale dell’Unione Sovietica, l’orso Vladimiro ha da rendere conto ai nazionalisti russi di perdite ben superiori a quelle da lui imputate ai suoi predecessori…
Se poi aggiungiamo a tutto questo il fatto che a differenza dei nuovi alleati dell’Occidente l’unico satellite effettivo della Russia – la Bielorussia – è politicamente instabile, reduce da una fallita insurrezione repressa solo con l’aiuto militare russo, e con una popolazione in maggioranza di sentimenti filo-ucraini e filo-occidentali, se ne conclude che la posizione strategica di Putin in Europa risulta pesantemente compromessa, indipendentemente dal riarmo occidentale.
Se allarghiamo il campo di osservazione, le cose non migliorano molto.
L’auspicata partnership con l’altro autocrate regionale e con la sua Turchia è in pieno stallo: Erdogan aveva scommesso sulla rapida vittoria del suo sodale-rivale puntando su una neutralità regionale e rompendo la compattezza della NATO, ma così facendo ha solo indebolito la sua posizione: ora nella NATO non si fa più mistero dell’insofferenza nei suoi confronti, e una sua opposizione all’ingresso di Svezia e Finlandia potrà solo portare ad una sospensione della Turchia, non più indispensabile nel contenimento di una Russia pesantemente ridimensionata dal punto di vista militare. In queste condizioni, Erdogan ha già ridotto il suo presenzialismo diplomatico per passare all’incasso in Azerbaijan e in Siria, dove i suoi agenti stanno occupando le posizioni abbandonate dai russi.
In Armenia e in Siria, i tradizionali alleati della Russia si sono scoperti del tutto abbandonati a sé stessi da quello che si è rivelato un alleato inaffidabile. L’Armenia ora, esposta alla minaccia azera, guarda a Washington… Assad, per assurdo, guarda a Tel-Aviv come all’unica possibile sponda per proteggersi dall’ira di Erdogan.
Un po’ più in là, l’ormai quarantennale alleato iraniano rimane saldamente in mano agli ayatollah ostili all’occidente e quindi è percepito ancora come filo-russo; peccato però che le dinamiche economiche innescate dalle pesanti sanzioni occidentali alla Russia abbiano fatto dell’Iran un alleato quantomeno infido, se non addirittura del tutto inaffidabile.
L’embargo americano e britannico – e a breve anche europeo – sulle esportazioni russe di petrolio ha fatto sì che il limitato mercato su cui l’Iran poteva ancora esportare il suo greggio, rappresentato dalle pochissime Nazioni che possono permettersi di ignorare un embargo economico occidentale e cioè da India e soprattutto Cina, sta per essere allagato da un quantitativo enorme di petrolio russo a basso costo. L’economia iraniana si è retta nell’ultimo decennio grazie alle importazioni soprattutto cinesi di petrolio rifiutato dal resto del mercato; l’immissione sugli stessi ristretti canali di esportazione del greggio russo porterà ad una guerra commerciale fra Iran e Russia che oltre a far crollare i prezzi con gran gioia cinese, rappresenterà uno stimolo imprevisto per gli iraniani a riprendere in maniera costruttiva le trattative con l’Occidente e con Israele sul proprio programma nucleare.
In definitiva, perfino l’Iran finirà indirettamente con il riavvicinarsi all’Occidente in chiave anti-russa.
Indipendentemente dall’esito della battaglia di Severodonetsk, le prospettive diplomatiche dell’orso Vladimiro non sembrano buone.
Se poi guardiamo ancora più lontano, e andiamo ad esaminare la posizione dei giganti asiatici, ci rendiamo conto che potrebbero essere veramente pessime. Ma di questo parleremo la prossima volta.
Orio Giorgio Stirpe