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Abbiamo concluso il ragionamento di ieri ribadendo che l’intero esercito russo sta per culminare una seconda volta: il suo potenziale offensivo si sta rapidamente esaurendo a fronte di quello difensivo ucraino che invece tiene bene, e quando sarà finito le forze russe dovranno inevitabilmente passare alla difensiva, cedendo l’iniziativa a quelle ucraine… Che però come abbiamo visto hanno ancora un potenziale offensivo molto limitato.

Lo scenario che dobbiamo aspettarci a breve è un lento esaurimento dell’offensiva russa nel Donbass: non ci sarà probabilmente una sua conclusione ufficiale, ma la spinta già debole dei BTG russi continuerà a ridursi fino a cessare del tutto, mentre proseguiranno più o meno inalterati i bombardamenti di artiglieria (il munizionamento in quel settore è virtualmente infinito), ma solo quelli a corto raggio: quelli missilistici si diraderanno più lentamente degli assalti terrestri, ma al contrario dei proietti da 122 e 152 mm, i missili soprattutto se da crociera sono comunque contati e una riserva va mantenuta ad ogni costo.

I titoli dei giornali continueranno a parlare di “attacchi” a questa o quella località, ma si tratterà sostanzialmente di missili isolati e sempre più sporadici, mentre lungo il fronte assisteremo solo a duelli di artiglieria. La linea di contatto si stabilizzerà come durante la Prima Guerra mondiale, e indipendentemente da quello che dirà la propaganda il conflitto rimarrà bloccato e l’unica cosa che potrà variare di giorno in giorno sarà il tasso di attrito, cioè le perdite dovute agli scambi di artiglieria o alle scaramucce fra pattuglie avversarie.

Una situazione di questo tipo in teoria dovrebbe favorire una seria ripresa delle trattative, e magari anche un “cessate il fuoco” in stile coreano. Considerata la situazione, sarebbe una soluzione provvisoria del tutto accettabile dal punto di vista europeo.

Il problema è che ancora una volta i contendenti non vedono le cose come noi.

Putin in particolare, per accettare una seria trattativa e un “cessate il fuoco” a questo punto dovrebbe anche solo implicitamente riconoscere la sconfitta del suo esercito, incapace non solo di sottomettere l’Ucraina, ma anche solo di acquisire quegli obiettivi minimi che aveva esplicitamente annunciato all’atto dell’inizio dell’offensiva nel Donbass. Potrebbe farlo, in realtà: la sua macchina della propaganda funziona ancora a pieno regime, e per essa non sarebbe difficile vendere la situazione attuale come un “successo” che i suoi minions in Occidente rilancerebbero con orgogliosa convinzione. Una simile decisione sarebbe un segnale non solo di distensione, ma anche un gesto di responsabilità verso il proprio Paese. Purtroppo però sarebbe anche l’inizio della fine del suo potere in Russia. Non solo tutte le Nazioni interessate, e a maggior ragione i rispettivi Comandi militari, trarrebbero le loro conclusioni (in realtà lo stanno già facendo), ma anche la società civile russa si renderebbe conto poco a poco che lo stallo raggiunto in Ucraina costituisce un risultato non solo insufficiente ma addirittura umiliante a fronte del costo – politico, economico e soprattutto umano – pagato per ottenerlo. Un regime militarista difficilmente sopravvive ad un insuccesso militare, specialmente se ha gravi ripercussioni economiche, e Putin se ne rende perfettamente conto.

Del resto neppure Zelensky a questo punto è molto interessato: l’infrastruttura civile del suo Paese è devastata, mentre il suo esercito appare decisamente vincente e l’entusiasmo per i suoi successi ha rinsaldato la coesione nazionale. Smettere di far leva sulle Forze Armate per concentrarsi sulla ricostruzione del Paese senza aver prima liberato i territori occupati potrebbe provocare un crollo di consenso e compromettere quella stessa coesione. Il supporto occidentale sta costantemente rafforzando l’esercito ucraino in rapporto al suo avversario russo, ed in una situazione di conflitto bloccato tale rafforzamento aumenterebbe ancor più rapidamente: in pochi mesi il potenziale offensivo ucraino potrebbe raggiungere un livello tale da consentire con una serie di controffensive limitate il recupero dei territori occupati, come avvenne da parte della Croazia nei confronti della Serbia nel 1995.

Insomma, appare abbastanza chiaro come la prospettiva di un “cessate il fuoco” effettivo appaia lontana per la mancanza di interesse da parte di entrambi i belligeranti; mancanza di interesse derivante da considerazioni completamente diverse ma convergenti su una stessa condizione di conflitto bloccato. E’ a questo che si riferiscono gli Stati Uniti quando affermano di temere un conflitto prolungato.

Se Putin si rifiuta di accettare che il suo esercito ormai non può vincere la guerra e gli ucraini pensano di poterla vincere loro pur non disponendo del potenziale offensivo per recuperare subito i territori occupati, il conflitto infatti rischia di trascinarsi in maniera assolutamente inutile fino al momento in cui uno dei contendenti sarà in grado di riprendere l’iniziativa; e come abbiamo visto, è molto più probabile che questi siano gli ucraini.

In conclusione, a medio termine l’evoluzione più probabile è che il fronte si stabilizzi con l’infognamento definitivo dell’offensiva russa ben lontano da Kramatorsk, e che si trasformi in un semplice duello di artiglierie, come un gigantesco Golan fra Siria e Israele.

In alternativa, Putin potrebbe farsi un esame di coscienza, accettare l’inevitabile e sedersi finalmente ad un tavolo senza chiedere la luna a uno Zelensky che annusa la vittoria… Ma dato il personaggio, lo vedo possibile solo nel caso che l’esercito lo costringa a farlo e quindi lo vedo poco probabile.

Una parte dell’opinione pubblica occidentale vorrebbe che l’Occidente facesse pressioni su Zelensky perché pur in posizione di forza accettasse di fare qualche concessione; ma è una situazione molto improbabile. Innanzitutto una tale scelta sarebbe estremamente impopolare in Ucraina, e lui non è un dittatore come Putin: si rischierebbe una forte instabilità interna e addirittura un collasso, che è esattamente quello che Putin spera di vedere. Poi costituirebbe un regalo per un dittatore che ha commesso un’aggressione, e fornirebbe un precedente tanto per lo stesso Putin che per altri: insomma, sembra una buona idea, ma è inaccettabile.

Resta l’ultima opzione, che è un’improvvisa uscita di scena di Putin stesso. Ma l’orso Vladimiro non sembra molto interessato ad una simile eventualità, almeno per ora.

Colonnello Stirpe