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Con l’ordinanza n. 3405 del 10 febbraio, la Cassazione ha stabilito che un’azienda può licenziare per giusta causa un dipendente che svolge attività in contrasto con gli interessi aziendali, anche se queste avvengono al di fuori dell’orario di lavoro.

Il caso riguarda un lavoratore di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) che si è visto recapitare una lettera di licenziamento dopo un’indagine che ha fatto emergere il suo coinvolgimento in attività economiche parallele nel settore della cantieristica navale.

Il problema? Non aveva informato l’azienda, violando il codice etico interno, che impone di dichiarare ogni collaborazione esterna.

Di solito, quando si firma un contratto di lavoro ci si impegna a rispettare le regole scritte e tutta una serie di principi fondamentali, dagli accordi ufficiali e ai contratti collettivi, sono previsti valori come la correttezza, la lealtà e la diligenza, che ogni dipendente deve seguire, per cui, non basta svolgere bene il proprio lavoro ma bisogna evitare comportamenti che possono danneggiare l’azienda.

La giurisprudenza ha chiarito più volte che il dovere di fedeltà, o il patto di non concorrenza, non si limitano a vietare solo la concorrenza diretta, anzi, il lavoratore deve evitare qualsiasi azione che possa creare problemi alla propria azienda, anche se non ci sono danni economici immediati, questo vale per tutti, indipendentemente dal settore o dal ruolo ricoperto.

La recente sentenza Cassazione ribadisce con forza questo concetto. Il caso esaminato dimostra come un comportamento ritenuto scorretto possa portare al licenziamento immediato, anche se il dipendente non è materialmente sul luogo di lavoro.

Secondo la Cassazione, l’articolo 2105 del Codice Civile, che regola il dovere di fedeltà del lavoratore, non si limita a impedire la concorrenza sleale, questo principio va letto insieme a quelli di correttezza e buona fede, previsti da altre norme del codice civile.

Nel caso specifico, il dipendente ricopriva ruoli di gestione e operativi in altre società senza informare RFI, secondo i giudici, la sua collaborazione con l’altra società ha compromesso il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, giustificando il licenziamento immediato, anche senza la prova di un danno economico diretto.

 

Alfredo Magnifico