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Dopo la digressione degli ultimi post dove mi sono allargato oltre la mia sfera di competenza diretta per commentare l’impatto della propaganda russa sull’opinione pubblica occidentale e soprattutto italiana, è tempo di tornare ad osservare la situazione militare. La data “fatidica” del 9 Maggio si avvicina, e tutti gli osservatori internazionali si aspettano una svolta di qualche tipo; prima di sbilanciarmi in qualsiasi valutazione, è meglio tornare a considerare la situazione sul campo, che è quella destinata in ultima analisi a decidere gli eventi complessivi.

 

Cominciamo dalla situazione strategica.

Non ci sono stati scossoni nelle ultime settimane. Rispetto al momento in cui la Russia ha effettuato lo sganciamento dal fronte nord accettando la sconfitta nella battaglia di Kyiv e annunciando l’intento di concentrare i suoi sforzi militari sul settore del Donbass (fino a quel momento negletto), il fronte si è mosso poco. Secondo gli annunci da Mosca, dovevamo attenderci l’azione decisiva in un intervallo di tempo compreso fra l’inizio dell’offensiva stessa e la data del 9 Maggio, entro cui l’”Operazione Militare Speciale” doveva essere conclusa.

Se la data di conclusione della battaglia del Donbass era definita per ordine dell’autorità politica russa, quella di inizio era poco chiara: dipendeva infatti dai tempi di riposizionamento e raggruppamento dell’esercito russo.

Abbiamo già detto come quella del “raggruppamento” sia un’attività delicata e complessa che non si può affrettare più di tanto, ma in effetti i russi sembrano convinti di averla completata a dispetto degli evidenti gravi problemi evidenziati: lo schieramento di un numero impressionante di unità tattiche (i “BTG”) in un settore così ristretto in quella che adesso è la sezione centrale del fronte lo indica chiaramente. L’azione di fuoco di preparazione in corso, che in Occidente si definisce “shaping” (termine che indica l’”ammorbidimento” delle posizioni avversarie), è in atto da settimane e così i combattimenti preliminari lungo la linea di contatto. L’offensiva vera e propria però ancora non appare iniziata a dispetto dei numerosi annunci da parte ucraina e occidentale.

A testimonianza delle difficoltà organizzative degli attaccanti, abbiamo assistito alla visita del Capo di Stato Maggiore russo direttamente sulla linea del fronte, dove ha anche subito un attacco diretto: il Comandante non si porta così a contatto senza una buona ragione.

 

D’altra parte la situazione complessiva si presenta in chiaroscuro: le sanzioni occidentali mordono, l’economia russa rallenta e molti impianti militari hanno chiuso, comprese le fabbriche che producono e riparano i mezzi corazzati. Il rublo però sembra tenere, e gli analisti economici sono divisi sulle possibilità di tenuta a medio termine dell’economia di Mosca, soprattutto in rapporto a quella di Kyiv, che risulta reggere solo grazie ai pesanti aiuti occidentali. Se l’infrastruttura civile russa è praticamente ferma, quella ucraina è infatti devastata e si sbriciola sempre di più.

L’assistenza militare occidentale sembra essere diventata il principale obiettivo dei bombardamenti in profondità dei russi: i bersagli preferiti sono infatti i depositi di armi e i nodi ferroviari, così gli ucraini tendono a distribuire i nuovi materiali in maniera decentrata e principalmente su autocarri. La disponibilità di molti dei materiali in afflusso infatti potrebbe condizionare l’esito della battaglia, in quanto si tratterebbe soprattutto di armi e dispositivi per contrastare e controbattere l’artiglieria russa.

 

Dal punto di vista diplomatico le posizioni sono irrigidite: da una parte i russi non deflettono dalle loro richieste territoriali, dall’altra gli ucraini non intendono neppure discuterne. Entrambe le parti attendono l’esito dell’offensiva del Donbass, convinte come sono di poter ottenere un successo da far pesare al tavolo dei negoziati, che quindi rimane vuoto.

Anche a livello internazionale le posizioni sono rimaste le stesse. La Cina mantiene una posizione di distaccato supporto alla Russia, l’India persegue una rigida neutralità rispettata da entrambe le parti in guerra, e l’Occidente è trincerato in un sostegno all’Ucraina che si arresta appena prima di un impegno diretto, e che quindi rende impossibile un ruolo di mediazione: in sostanza non si vede ancora un mediatore credibile.

L’unica variante sostanziale è l’imminente ingresso nella NATO da parte di Svezia e Finlandia: un balzo epocale nella politica europea e uno smacco brutale per Putin, che aveva presentato l’arretramento della NATO come uno degli obiettivi strategici della sua iniziativa militare. Questo cambio di scenario porta infatti la NATO a meno di 150 chilometri da San Pietroburgo. I russi e i loro minions in Occidente gridano all’”espansione irresponsabile” della NATO e annunciano conseguenze devastanti per i Paesi scandinavi, i cui governi non si renderebbero conto del pericolo. Ma evidentemente la mancanza di fiducia nei confronti dei vicini russi è tale da aver convinto anche Nazioni tradizionalmente neutrali a schierarsi, ed è quantomeno arrogante pensare che governi e popolazioni sovrani siano tutti in errore nel giudicare i rischi a cui sono sottoposti e i mezzi con cui rispondervi.

 

Le gravi e imbarazzanti perdite subite dalla marina non hanno cambiato la posizione di dominio del Mar Nero da parte dei russi; è però aumentata esponenzialmente la presenza della NATO con i suoi assetti da ricognizione strategica, che evidentemente ormai forniscono con immediatezza dati informativi agli ucraini: i quali li impiegano in modo proficuo praticando il Targeting secondo criteri e procedure occidentali che infliggono gravi danni soprattutto alla catena di Comando e Controllo e a quella logistica nemiche.

 

La situazione del potere aereo è di stallo: di fatto, nessuno controlla lo spazio aereo sopra l’Ucraina. L’aviazione russa rende pericoloso anche solo decollare per gli aerei ucraini, ma la contraerea di Kyiv dissuade quella russa dall’approfittare di tale vacanza, e così il cielo ucraino è percorso quasi esclusivamente da missili di crociera, che continuano a colpire in gran numero le infrastrutture fisse ucraine senza però intaccare le difese militari. In sostanza gli attacchi in profondità sortiscono un moderato successo, ma l’aviazione russa sta fornendo all’esercito un supporto diretto assai modesto.

 

Infine, l’andamento del fronte terrestre. L’arco originario lungo il quale la Russia aveva attaccato il 24 febbraio, che correva dalla Bielorussia alla Crimea, si è notevolmente accorciato con effetti benefici sulla logistica di entrambe le parti, e consentendo un notevole riorientamento della gravitazione delle forze e del fuoco. Ora corre infatti solo dalla periferia di Kharkiv a quella di Kherson, con fulcro sul Donbass, Centro di Gravità su Kramatorsk e una lunghezza ridotta di oltre un terzo.

Dichiaratamente, i russi concentrano i loro sforzi al centro di tale arco, là dove le difese ucraine sono anche più forti, ma anche dove la logistica russa – prossima al nodo dei rifornimenti di Rostov – è più forte; questo porta ad un addensamento quasi anacronistico di forze in un’ansa del fronte piuttosto ristretta, e che ricorda sinistramente agli osservatori militari quella della geograficamente non lontana  Kursk nel 1943, dove si svolse la più grande battaglia fra corazzati della storia e dove la Wehrmacht subì un colpo decisivo.

 

Siamo quindi tutti in attesa dell’esito di questa battaglia annunciata, il cui esito doveva essere definito entro la data ormai prossima del 9 Maggio.

Annunciare i tempi e i luoghi dello scontro da parte dell’attaccante appare quasi romantico, e indica una grande sicurezza; ma offre al difensore una chiara indicazione di come organizzarsi.

L’orso Vladimiro si sta giocando molto – se non tutto – su questa battaglia che ancora non si capisce se sia già iniziata oppure no.