Chiarito il contesto e la situazione militare di partenza, possiamo finalmente cercare di capire cosa sia successo nell’ultima settimana.
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Dalla parte del Regime abbiamo le milizie di Assad, che come abbiamo visto sono un guazzabuglio di formazioni su base politica e/o etnica vagamente organizzate e variamente equipaggiate in base all’ordinamento delle ormai scomparse SAAF (Syrian Arab Armed Forces), tenute insieme dalla presenza delle formazioni della Guardia Rivoluzionaria iraniana (in sostanza fanteria leggera) e sostenute dal corpo di spedizione russo, che a sua volta opera prevalentemente per mezzo dell’aviazione. I russi sono pochi, anzi pochissimi da che l’Ucraina risucchia tutte le risorse, mentre gli iraniani sono un contingente più sostanzioso, ma pur sempre limitato e con scarsa potenza di fuoco. C’era Hezbollah, che però ha subito una batosta pazzesca da Israele e si è dovuta ritirare (tornerà in gioco per un paio di giorni sul fronte di Homs, senza assumere un ruolo significativo). I siriani hanno come sempre problemi di personale, ma hanno ancora più equipaggiamento pesante di qualsiasi altro attore nell’area.
Il centro logistico da cui la maggior parte di queste forze attingono i rifornimenti non è Damasco, ma è la zona costiera che ospita il porto di Latakia, la base navale russa di Tartous, la raffineria di Bamiyan, le basi aeree russe e soprattutto la minoranza alawita dominante. Gli iraniani invece si riforniscono attraverso il cantone sciita dell’Iraq e il corridoio desertico fra l’Eufrate e il confine giordano, attraverso cui poi accedono anche alle basi di Hezbollah in Libano. Elemento geografico da ricordare.
Dalla parte dei ribelli abbiamo tre formazioni distinte, più una quarta dormiente che si attiva solo alla fine. Innanzitutto il CMO: l’ombrello che raccoglie sotto una “sala operativa” militare unificata le varie formazioni “ribelli” concentrate nella zona di Idlib. Questa formazione raccoglie gruppi arabo-sunniti di diversa estrazione, quasi tutti di orientamento fondamentalista: alcuni legati a personalità individuali, molti riconducibili agli integralisti dei Fratelli Musulmani, e soprattutto l’HTS, il gruppo più organizzato di tutti. L’HTS discende da al-Nusrah, il franchise siriano di al-Qaeda, e quindi ha origine jihadista: è ancora retto dal suo leder originario Al-Jolani, che ha una storia complicata di rapporti con Al-Zarkawi e Al-Baghdadi, defunti leader rispettivamente di al-Qaeda e dell’ISIS, da entrambi i quali ha rotto i rapporti
senza però mai rinnegare il jihadismo. L’HTS è la punta di diamante del CMO, ma ne rappresenta comunque solo una minoranza anche se vi esercita una sorta di controllo in forza della sua superiore organizzazione; la sua organizzazione a sua volta dipende dal sostegno economico del Qatar (da sempre sostenitore dell’ Integralismo, ma non del Jihadismo: quest’ultimo è sovvenzionato dai nababbi privati del Golfo), e questo lascia pensare che Al-Jolani abbia in qualche modo moderato il suo approccio radicale allo scopo di ottenere i finanziamenti dell’emiro Al-Thani e la collaborazione degli altri gruppi integralisti e fondamentalisti (per quanto un integralista possa essere definito “moderato”… È sempre una questione di proporzioni e i termini sono relativi).
La seconda formazione è il Syrian National Army (SNA): ciò che resta del vecchio Free Syrian Army nel nord della Siria e delle milizie raccoltesi intorno ai disertori sunniti delle SAAF di dieci anni fa. Questo gruppo, apparentemente, dovrebbe essere più “secolare” e professionale, ma le passate sconfitte e la carenza di sostegno economico lo hanno logorato fino a ridurlo ad un semplice “proxy” della Turchia, che lo finanzia e lo equipaggia con le capacità ridotte del governo Erdogan in gravi difficoltà economiche, ed è impiegato prevalentemente in funzione anti-curda. Tanto il CMO che l’SNA ricevono i rifornimenti attraverso il territorio turco, e questo lascia intendere che Erdogan, Al-Thani e Al-Jolani abbiano coordinato i loro piani e concordato le successive azioni.
Il terzo gruppo sono le SDF (Syrian Democratic/DefenceForces): si tratta dell’ombrello sponsorizzato dagli americani nel nord-est siriano per combattere l’ISIS, che raggruppa i curdi e una serie di gruppi arabi minori che controllano le zone petrolifere. Questo gruppo riceve i rifornimenti attraverso l’Iraq con una catena logistica gestita dagli americani, e si collega con il “cantone” curdo in Iraq. Da notare che questo gruppo è in contrasto con la Turchia di Erdogan, e che lo scontro fra i due è impedito solo dalla volontà americana di preservare il controllo dell’area siriana a est dell’Eufrate… Dettaglio geografico anche questo da tenere a mente.
Infine, nel deserto meridionale è sopravvissuta con l’aiuto delle Forze Speciali americane basate in Giordania un’enclave del vecchio Free Syrian Army alla triplice frontiera della Siria con Giordania e Iraq: un tentativo del Regime di ridurla con i mercenari della Wagner tre anni fa si concluse in una strage di russi da parte americana, cui Putin si guardò bene dal reagire.
Più ad ovest di questa si trovano i territori dei drusi, rimasti sostanzialmente neutrali durante la maggior parte della guerra civile, e la provincia di Daraa, a contatto con la Giordania e il Golan controllato da Israele, dove è in atto da oltre sei anni una tregua sponsorizzata dai russi e che ha visto una limitata pacificazione locale.
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L’iniziativa è partita da Erdogan e Al-Thani: da quale dei due per primo è impossibile dirlo oggi, ma uno non avrebbe potuto agire senza l’altro, visto che il primo ci metteva il territorio di partenza e transito e il secondo i soldi. Insieme, hanno messo Al-Jolani in grado di agire e di coagulare il CMO intorno al suo HTS.
Il morale di tutti gli attori in campo era basso: bassi stipendi, poche armi, pessime condizioni di vita e memoria di combattimenti sanguinosissimi per risultati minimi.
L’afflusso di finanziamenti e quindi di armi, convogliati strategicamente sui gruppi prescelti dai burattinai, ha cambiato le cose, risollevando il morale in misura pari ai rifornimenti ottenuti. La pianificazione militare, sorprendentemente precisa rispetto al passato, reca una chiara impronta professionale turca: evidentemente Erdogan si è finalmente risolto di passare all’incasso, ora che chiaramente Putin non fa più paura a nessuno.
Quando due formazioni di entità simile per numero e capacità di fuoco si scontrano all’improvviso o quasi, e l’unica differenza è il morale superiore dell’aggressore, gli esiti possibili sono sostanzialmente due: nel primo caso l’attaccante con il morale più alto consuma il suo vantaggio in pochi giorni contro le difese avversarie e l’offensiva si spegne senza risultati (l’attacco “culmina”); nel secondo caso l’attaccante sfonda, e allora il difensore demoralizzato deve ripiegare. Quando il difensore ripiega, è ancora il rapporto del morale reciproco a fare la differenza: se l’attaccante ha subito abbastanza perdite da essersi scottato e il difensore non si perde d’animo, il fronte si riforma più indietro; ma se le perdite dell’attaccante sono state scarse e il suo morale si è ulteriormente accresciuto, allora il difensore può non riuscire a consolidarsi all’indietro e va in rotta (il difensore “collassa”).
Il giorno dopo la caduta di Aleppo ci siamo chiesti se le milizie del Regime sarebbero riuscite a consolidarsi a Hama; nel giro di 24 ore ci siamo accorti che non era il caso. Nel frattempo, l’SNA eliminava le posizioni del Regime a est di Aleppo e si spingeva a contatto con i curdi, respingendo anche loro verso il fiume, e i curdi stessi superavano l’Eufrate più a sud occupando l’intera vallata fino al deserto, obbligando gli ultimi assadisti dell’est a una precipitosa ritirata generale verso Damasco.
Il CMO era bene organizzato: disponeva del sostegno logistico pianificato per alimentare lo sfruttamento in profondità, e avendo subito poche perdite ha travolto anche Hama.
A questo punto le forze del Regime da sole non potevano più farcela: era indispensabile l’aiuto degli alleati di Assad. Ma i russi, semplicemente, non erano disponibili sul terreno, e gli aerei erano troppo pochi per avere un impatto sulle colonne leggere e veloci (non corazzate!) dei ribelli; Hezbollah era tutta in Libano, sconfitta da Israele… Restavano gli iraniani, che si sa hanno poca capacità di proiezione e dunque reagiscono lentamente, ma soprattutto hanno bisogno del corridoio menzionato precedentemente, nel deserto fra l’Eufrate e la Giordania.
A quel punto si è attivata l’ultima formazione ribelle: quella al sud, direttamente sostenuta dagli americani e che evidentemente non era stata messa a parte delle intenzioni di Al-Jolani, ma che disponeva della capacità di reagire con una certa prontezza al collasso del regime. Le forze del FSA si sono spinte a partire dalla loro enclave verso nord per prendere Palmyra, e così facendo si sono congiunte con i miliziani delle SDF provenienti dall’Eufrate. In questo modo non solo hanno bloccato le roccaforti dell’ISIS ancora presenti nel deserto e che il Regime non aveva toccato negli ultimi anni, ma hanno soprattutto tagliato il corridoio iraniano dal cantone sciita dell’Iraq.
C’è stato qualche scontro fra miliziani siriani e guardie della rivoluzione iraniane nel deserto, ma l’aviazione americana ha facilmente supportato i suoi alleati, e agli uomini di Khamenei è rimasto solo da tornare indietro o fare la fine dei wagneriti di qualche anno fa.
L’aviazione americana ha fatto il suo lavoro, quella russa, no. Questo ovviamente non costituisce una sorpresa, ma ha determinato il collasso totale del fronte.
Probabilmente Al-Jolani non si aspettava di andare oltre Homs con le sue sole forze: la città a differenza di Aleppo e Hama, aveva una maggioranza alawita e con l’aiuto iraniano probabilmente il Regime sarebbe riuscito a difenderla, precludendo l’avanzata più a sud e mantenendo il collegamento fra Damasco e la costa. L’attivazione del fronte sud ha reso la difesa di Homs impossibile, e scatenato l’effetto domino.
I drusi del sud (da sempre in contatto con gli israeliani) hanno ripreso le armi, e subito dopo lo hanno fatto i miliziani “dormienti” di Daraa, che insieme al FSA attivo nel deserto hanno dato vita ad un’improvvisata “Sala Operativa del Sud”, parallela al CMO ma molto più vicina a Damasco. Con le ultime forze del Regime tutte concentrate a Homs, Damasco era indifesa da un attacco proveniente da sud, e ad Assad non è rimasto che tentare la fuga in aereo.
Damasco è stata liberata dai ribelli del sud e Al-Jolani ha raggiunto la capitale già controllata da forze non-jihadiste mentre i suoi stavano ancora combattendo a Homs…
A questo punto lo Stato Maggiore delle SAAF – non in grado di condurre una manovra in ritirata da Homs verso la costa, dove comunque una difesa sarebbe stata difficilissima a causa del terreno montuoso sì, ma troppo stretto – si è arreso.
Fine della campagna: una settimana, circa mille morti in tutto secondo le prime stime indipendenti, e la guerra civile siriana si è finalmente conclusa con la caduta del Regime.
ORIO GIORGIO STIRPE