Gli eventi si succedono più rapidamente di quanto si possa commentarli, e questo direi che è un bene. Un conflitto così rapido – almeno nelle ultime manifestazioni di quello siriano – provoca meno vittime, il che oltre ad essere un fatto positivo in sé, facilita anche un accomodamento pacifico della situazione.
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Intanto cerchiamo di capire cosa è successo dal punto di vista militare, e cominciamo dalle forze del Regime.
L’esercito siriano (Syrian Arab Army, SAA) era uno degli eserciti meglio equipaggiati, addestrati e organizzati del Medio Oriente; durante i conflitti del XX Secolo gli israeliani dicevano che – a parte la Legione Araba giordana – si era rivelato l’avversario più ostico di tutti quelli affrontati, e in effetti per equipaggiamento ed addestramento l’SAA era un’organizzazione della stessa categoria di quella di Tsaal. Un esercito di leva strutturato come uno europeo, con armi avanzate fornite da una superpotenza.
La superiorità israeliana, che aveva portato i siriani alla sconfitta in tutti gli scontri diretti, poggiava sull’inadeguatezza dei quadri dirigenti militari siriani e sull’inferiorità dell’aviazione araba, dovuta al netto vantaggio tecnologico degli aerei occidentali e sulle differenze dottrinali e addestrative dei piloti. Ciò nonostante le SAA erano considerate di gran lunga l’avversario più pericoloso di Israele, e infatti dominavano il Libano e – per avere un metro di paragone – costringevano Hezbollah e gli altri attori asimmetrici locali a fare esattamente quello che il Regime siriano voleva.
Poi però è intervenuta la rivoluzione, ed è cambiato tutto.
La rivolta, nata come manifestazione assolutamente pacifica e trasformata in sommossa violenta in seguito alla repressione selvaggia da parte del regime, ha posto la componente maggioritaria del Paese – quella arabo-sunnita – contro un Regime che si appoggiava alle minoranze proprio per controllare la maggioranza. Per un esercito di leva però questa è una situazione tossica: se i quadri dirigenti e le componenti di élite (quali la Guardia Presidenziale, i Servizi Segreti, le Forze Speciali, l’Aeronautica e alcune formazioni corazzate di punta) sono infatti composti dai membri del Partito e dal gruppo etnico dominante, la massa del personale di leva appartiene inevitabilmente alla componente maggioritaria; quando l’esercito è impiegato in una repressione di massa, il risultato sono le diserzioni di massa della componente
maggioritaria… E questo è esattamente quanto è accaduto al SAA fra il 2011 e il 2012: emorragia di personale di leva a favore del “Free Syrian Army” e conseguente perdita di capacità operativa a dispetto della enorme disponibilità di armamenti. Il regime ha risposto arruolando massicciamente membri del Partito Baath e della minoranza etnica alawita, ma così facendo si è trasformato da esercito regolare in un insieme di milizie etniche e/o di Partito, con ottimi quadri dirigenti e materiale avanzato, ma con relativamente poche truppe combattenti. Con il tempo poi la carenza di personale tecnico di base ha portato al rapido degrado del materiale bellico, ed ecco che quello che era un esercito di rango si è degradato fino a non poter più manovrare…
La guerra si è incancrenita, e senza l’apporto di aiuti esterni il Regime sarebbe stato travolto prima del 2015.
L’inserimento di miliziani iraniani della Guardia Rivoluzionaria, di quelli di Hezbollah e soprattutto del piccolo ma tecnologicamente superiore corpo di spedizione russo ha consentito al Regime di prevalere sui ribelli, fino a strappare loro tutte le aree urbane tranne Idlib e a relegarli in una zona limitata sotto la protezione turca.
Il fatto che le milizie di Hezbollah a questo punto si rivelassero superiori in combattimento rispetto a quelle di regime è l’indice di quanto l’SAA si fosse ormai degradato.
Ai primi di dicembre del 2024 le forze del regime erano ormai un’accozzaglia di milizie equipaggiate con i resti di un esercito con equipaggiamenti che erano stati moderni negli anni ’90 ma che ormai erano poco più che rottami tenuti insieme a fatica in modo artigianale. Il carburante proveniva da un’unica raffineria funzionante (a Bamiyan, sulla costa) rifornita di greggio con petroliere iraniane (i pozzi sono tutti sotto controllo curdo, e quindi americano), e soprattutto gli alleati di Assad erano in crisi anche loro. La Russia non riesce ad imporre la propria superiorità aerea sull’Ucraina, quindi non ha quasi più aerei da impiegare in un Teatro lontano, Hezbollah è stato duramente sconfitto in Libano da Israele, e l’Iran è occupato a difendere sé stesso.
In una situazione simile, l’unica cosa che tiene ancora insieme una forza così sgangherata, è la sua convinzione di superiorità su un avversario ancora più malconcio.
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I ribelli erano partiti veramente male.
La società siriana, ancora agli albori della rivolta, era sostanzialmente laica; le rivendicazioni erano politiche ed economiche, e pur fatti tutti i distinguo culturali, rappresentavano un primo passo incerto verso la democrazia.
Ma il Regime Baath (che ricordo essere il “Socialismo Nazionalista Arabo”, nazional-socialista e originariamente fomentato dall’Abwehr tedesco durante la II Guerra mondiale) aveva convenientemente eliminato ogni possibile leadership di opposizione, e quindi i ribelli non disponevano di alcuna catena di comando.
Insomma, – contrariamente a quanto sarebbe avvenuto se la rivolta fosse davvero stata organizzata dal malvagio Occidente come suggerito dai filo-Russi – all’inizio i ribelli erano solo insorgenti male armati ed improvvisati, privi di leadership e di coordinamento fra loro; i disertori dell’SAA che erano andati a formare il FSA erano soprattutto soldati semplici di fanteria, con pochissimi ufficiali e pochissimo materiale pesante: avrebbero potuto essere supportati e organizzati dall’Occidente, ma mancò la volontà politica di farlo… Così l’unica organizzazione di opposizione esistente prese l’iniziativa: i Fratelli Musulmani. Si tratta dell’organizzazione politica transnazionale dell’integralismo salafita originario dell’Egitto e presente in tutto il Vicino e Medio Oriente (oltre che nella diaspora in Europa): la stessa che ha “scippato” le varie Primavere Arabe in virtù della sua organizzazione preesistente e profondamente radicata.
L’avvento di una leadership integralista ha portato ad una radicalizzazione dei ranghi della rivolta, un po’ come i nostri partigiani saliti in montagna nel ’43 subirono l’indottrinamento politico da parte dei quadri di Partito sotto cui si trovarono ad operare in mancanza di una dirigenza militare professionale.
La radicalizzazione purtroppo è progressiva: quando i Fratelli Musulmani non sono stati capaci di portare la rivolta alla vittoria, il processo è proseguito e sono subentrati sempre di più i jihadisti. Quanto più un’organizzazione militante è radicale e convince i suoi adepti al sacrificio, tanto più sarà efficace in combattimento, soprattutto se è adeguatamente finanziata.
Se la Turchia di Erdogan finanziava per affinità ideologica i Fratelli Musulmani, i petrolieri del Golfo finanziavano ancora di più i jihadisti per affinità religiosa.
Ecco così l’avvento del franchise siriano di al Qaeda (al Nusrah) prima, e dello stesso ISIS poi. Con i jihadisti in campo a guidare (non a controllare) la rivolta, il sostegno occidentale venne del tutto meno.
Peggio ancora, i diversi gruppi islamisti, a seconda del grado di radicalizzazione (fondamentalisti, integralisti e jihadisti) sono in naturale competizione fra loro per il controllo del personale armato disponibile e dei flussi di finanziamento provenienti dai Paesi simpatizzanti, e questo porta sovente a scontri interni fratricidi, che durano finché un singolo gruppo – spesso il più radicale di tutti – prende il sopravvento.
Sconfitto l’ISIS dall’intervento (sostanzialmente) americano, i ribelli erano all’angolo.
Poi però sono venute la guerra in Ucraina, che ha drenato le risorse della Russia, e il 7 Ottobre.
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Hamas è il franchise palestinese dei Fratelli Musulmani: integralista e non jihadista (ho cercato di spiegare la differenza fondamentale in un altro articolo). Mentre Hezbollah è sciita e in Siria combatte per il Regime agli ordini della teocrazia (integralista) sciita iraniana, come abbiamo visto i Fratelli Musulmani (e quindi Hamas) protetti da Turchia e Qatar sono dalla parte opposta. Dal 2012 al 2015 gli israeliani dal Golan hanno fornito supporto ai ribelli siriani del sud (regione di Daraa), Fratelli Musulmani (e quindi Hamas) compresi… Il che ha sicuramente contribuito al fatto che il Governo Netanyahu abbassasse la guardia a Gaza.
Hamas NON è controllato dall’Iran: al massimo i due attori si coordinano fra loro contro Israele... E non sono affatto convinto che lo abbiano fatto il 7 Ottobre: se così fosse stato, Hezbollah avrebbe dovuto sfruttare la sorpresa attaccando a sua volta. Invece è rimasto sulla difensiva limitandosi a pochi bombardamenti dimostrativi, finché Israele non ha approfittato della situazione dopo aver mobilitato ed è passato all’attacco schiacciando l’organizzazione senza che nessuno avesse a ridire.
La decapitazione e lo smantellamento di Hezbollah non hanno provocato alcun rammarico fra i sunniti (e i cristiani) libanesi e siriani: al contrario si è assistito ad autentiche manifestazioni di giubilo da parte loro alla morte del suo leader Nasrallah.
La dimostrazione dell’impotenza iraniana – con la famosa rappresaglia contro Israele annunciata e mai messa in atto – è stata l’ultimo fattore: Russia, Hezbollah e Iran non erano più un fattore deterrente, e i ribelli avevano una finestra di opportunità.
Gli serviva solo qualcuno che li finanziasse: in fretta e in segreto.
Ancora una volta, Turchia e Qatar… E loro sì, che si sono coordinati.
ORIO GIORGIO STIRPE