Eccomi.
Tre giorni abbondanti dall’inizio dell’operazione ucraina nell’Oblast di Kursk, e in tanti hanno già scritto la loro. Devo dire che ormai c sono fior di esperti sul web anche qui in Italia, e diversi sono già intervenuti scrivendo cose con le quali mi trovo completamente d’accordo e che in alcuni casi ho anche rilanciato, quindi non starò a ripetere quanto da loro già esaustivamente messo in chiaro.
Dal punto di vista tattico, mi limito ad osservare come il tipo di manovra osservato sia esattamente quello che francamente mi aspettavo già dall’estate dell’anno scorso. Solo che l’anno scorso si è scelto di colpire non solo nel punto dove tutti (perfino i russi) se lo aspettavano, ma soprattutto contro una fascia minata la cui densità abnorme ha sorpreso non solo me, ma anche il Pentagono e lo Stato Maggiore ucraino (quindi mi sento in buona compagnia nel mio errore di valutazione).
Si tratta di un’azione meccanizzata particolarmente dinamica, fondata su un’accurata preparazione di intelligence e imperniata sulla propria superiorità di manovra, di fuoco e di sostegno tattico e logistico. Si attacca lungo assi preordinati, senza fuoco di distruzione preventivo, facendo della tempestività il criterio di impiego fondamentale (gli altri sono efficienza ed efficacia, se qualcuno ricorda il concetto del “triangolo decisionale”). In questo modo si coglie l’avversario di sorpresa, lo si isola piuttosto che prenderlo di petto, lasciando al secondo scaglione il compito di eliminare le sacche di resistenza: le perdite così risultano contenute da entrambe le parti, la penetrazione è molto più profonda e il nemico perde il controllo della situazione. Dottrina NATO “da libretta”, si attacca laddove il nemico è più debole e il costo dell’attacco è minore, in modo da poter prontamente reimpiegare le forze impiegate per lo sfondamento, scelte fra le migliori e non fra quelle “sacrificabili” come da dottrina russa…
Ripeto: quello che mi aspettavo l’anno scorso, solo che stavolta si è fatto nella zona giusta. Non per essere polemico, ma magari qualcuno ricorda ancora che la mia preferenza per un attacco ucraino era nel nord?
In ogni caso: l’aspetto tattico dell’operazione è già stato trattato esaurientemente da molti, e non vedo ragione di ripetere qui le analisi di chi mi ha preceduto.
Piuttosto voglio inquadrare l’operazione nel contesto strategico più vasto, cercando di mettere in luce il suo significato ai fini della condotta del conflitto.
L’esercito ucraino è un esercito di leva sostenuto dalla mobilitazione, ed è in fase di transizione da un modello post-sovietico ad uno occidentale; ha un morale ragionevolmente alto, poche Brigate esperte ma bene equipaggiate e diverse altre meno esperte e baate su fanteria leggera. Dispone di un vantaggio qualitativo ma è in svantaggio quantitativo rispetto al nemico: quindi non può permettersi di subire perdite troppo gravi; di contro, avendo necessità di liberare i territori occupati – e non potendo permettersi di riconquistarli con assalti frontali – deve infliggere al nemico perdite elevate, tali da portarlo al collasso.
Dall’altra parte c’è un esercito russo che ha subito una metamorfosi da semi-professionale a mobilitato, ha enormi problemi di addestramento, comando e controllo, sostegno tattico e logistico e mobilità, ma grazie a grandi riserve umane e materiali dispone di una netta superiorità quantitativa e in termini di fuoco. E’ anche vero però che la massa di questo esercito NON è infinita, e per poter sfruttare il proprio peso deve necessariamente essere concentrata nel Teatro prescelto per avanzare: questo Teatro è il Donbas, e qui hanno luogo TUTTE le offensive russe basate sull’attrito, mentre sui fianchi (il “Corridoio” a sud e la “spalla” di Kharkiv a nord) presentano masse di fanteria, fortificazioni e campi minati tali da imporre agli ucraini un tasso di attrito insostenibile in caso di attacco da parte loro.
Questo, il contesto generale in Teatro.
Il punto fondamentale da capire è che questa massa operativa russa concentrata nel Teatro prescelto è praticamente priva di mobilità: combatte appiedata, sostenuta dal fuoco di artiglierie a traino meccanico che sparano da ferme e alimentata da linee logistiche stabili imperniate su nodi ferroviari protetti da sistemi contraerei a loro volta quasi fissi.
Quest’organizzazione, là dove si trova, è efficacissima nel ruolo per cui è stata schierata: condurre una guerra d’attrito basata su assalti frontali continui. E’ poco efficiente perché consuma moltissimo e produce poco, ma questo ai russi importa poco perché i consumi elevati (di risorse umane e materiali) sono la norma. Ma è anche assolutamente privo di reattività e di tempestività.
Ricordate la “cavalcata della Wagner”? Partirono da Rostov e si spinsero a nord in autostrada fino oltre Tula, senza che nessuno provasse neppure a fermarli… Questo perché la famosa massa dell’esercito russo è tutta in Teatro e alle sue spalle non c’è praticamente nessuno in grado di manovrare con tempestività per parare una minaccia imprevista.
Niente riserve mobili a livello strategico: solo grandi riserve umane con cui alimentare lo sforzo nella guerra di attrito. I mezzi da combattimento, sempre più obsoleti man mano che escono dai magazzini, sono sempre meno mobili e perfino i camion sono sempre più scarsi; i russi muovono e combattono prevalentemente a piedi, e infatti le distanze che coprono giornalmente (o anche mensilmente) si misurano in centinaia di metri.
A tutto questo aggiungiamo l’assenza dell’aviazione da entrambe le parti, e il dominio della contraerea basata a terra e dei droni sui vettori pilotati: l’unico impiego utile dell’aviazione russa è il lancio di bombe plananti, che sono efficaci solo contro bersagli fissi e ben individuati. Insomma: una concezione di guerra assolutamente statica.
Ora non starò a ripetere cose già dette da tempo: le risorse umane russe per ora sono sufficienti ad alimentare l’attrito, mentre quelle materiali sono destinate ad esaurirsi entro il 2025. Dopo, anche per la Russia sarà impossibile mantenere la pressione attuale.
Ma anche per l’Ucraina le perdite sono dolorosamente pesanti, specialmente quelle umane, e il costo dell’attrito si fa sentire anche da loro.
Per assurdo, agli ucraini conviene che i russi assaltino frontalmente nel modo per loro più costoso possibile, in modo da consumare le proprie risorse più velocemente e ad un costo minore per i difensori; se i russi rallentassero riducendo quindi i propri consumi, la loro spinta durerebbe più a lungo. Mentre gli ucraini hanno bisogno di portare l’esercito invasore al collasso: recuperare i propri territori di forza costerebbe perdite troppo elevate.
Non mi stancherò mai di ripeterlo: gli ucraini operano orientati al nemico e non al territorio; lo scopo è portare l’esercito russo al collasso e quindi costringerlo a ritirarsi, non conquistare combattendo la città di Donetsk.
Ora: l’estate è alla fine, e la pressione russa nel Donbas dura da mesi; il suo culmine è prossimo, occorre evitare guadagni territoriali eccessivi, ma occorre anche garantirsi che i consumi di risorse russe proseguano anche dopo tale culmine e durante il Grande Fango. Occorre che le perdite russe rimangano elevate e anzi aumentino, senza che aumentino anche quelle ucraine: così si procede verso il collasso dell’esercito nemico.
L’operazione ucraina nel Kursk ha molteplici obiettivi tattici da raggiungere, e un paio di obiettivi operativi possibili… Ma ne ha uno strategico fondamentale: costringere i russi non solo a distogliere risorse dal Dombas, ma soprattutto a montare un nuovo “tritacarne” ad altissimo consumo di risorse umane e materiali in un Teatro scelto dagli ucraini e tale da non lasciare scelta ai russi sul “se” e sul “quando” condurre questi attacchi ad altissimo costo. L’occupazione da parte ucraina di territorio russo è politicamente intollerabile per Putin: la riconquista di tale territorio per lui è assolutamente prioritaria e irrinunciabile, a qualsiasi costo. E il costo sarà elevatissimo, perché per un esercito statico come quello russo un cambio di gravitazione offensiva così drastico richiederà tempo e sforzi immani, che a loro volta condurranno a costi crescenti, da pagare nei tempi e nei luoghi scelti dagli ucraini.
Insomma: Putin ha perso l’iniziativa, ed ora è costretto ad aumentare i consumi proprio quando le sue riserve si stavano esaurendo in vista di una pausa operativa (dettata dal Grande Fango imminente).
Gli ucraini hanno sferrato un’operazione relativamente a basso costo (le perdite per ora sono limitatissime da entrambe le parti) che costringerà i russi ad accollarsene un’altra a costo elevatissimo sul proprio stesso territorio, dove le devastazioni saranno a spese della popolazione russa.
Ma non è tutto: imponendo questa situazione proprio alla fine di un ciclo operativo stagionale, probabilmente gli ucraini porranno Putin di fronte a un dilemma. Con le riserve umane e materiali già prossime al culmine, dovrà imporre di proseguire oltre il punto di culminazione (come avvenne a fine 2022, con le note conseguenze), oppure ordinare finalmente quella mobilitazione generale che potrebbe minare il consenso di cui ancora gode sul fronte interno (e che infatti finora ha evitato di autorizzare)?
Vedremo.
Per ora gli ucraini continuano ad avanzare… E a quanto sembra, non solo nel Kursk.
Già: questo tipo di operazioni, di solito vengono condotte su più assi di attacco, e finora ne abbiamo visto solo uno.
E gli assetti asimmetrici come la “Legione Russia Libera”, particolarmente idonei a combattere in territorio russo, ancora non si sono visti…
Ahi ahi ahi, orso Vladimiro…
Orio Giorgio Stirpe